Le parole di Mariana Sofía González

Mariana Sofía González si è trasferita in Italia dall’Argentina nel 2001, qui nel Cilento si è dedicata alla produzione di ceramiche, coniugando il proprio bagaglio di esperienze personali e culturali con la ricca tradizione locale che, nel corso degli anni, ha riscosso un ampio interesse tra un nutrito gruppo di artisti internazionali.

Negli acquerelli che González presenta ricorre una figura femminile, di forte valenza simbolica per la semplificazione delle forme, che richiamano la pratica del disegno infantile, per la indeterminatezza di altre attribuzioni che non siano quella di una vaga e disincantata malinconia. Questa piccola figura è talvolta duplicata in un rispecchiamento di alterità, come a rappresentare una forma di dialogo, ma anche di conflitto interiore e con il mondo, uno sdoppiamento che può intendersi riferito tanto alla sfera del sé quanto ad una dimensione generalmente femminile. L’altro elemento che troviamo è rappresentato da segni grafici testuali, articolati in una forma surrealmente oggettuale: parole che diventano cose e cose che si disfanno nelle parole.

I termini di questo confronto che riguarda il vissuto e la sensibilità femminile, come vicenda individuale e collettiva, si collocano all’interno di un contesto di natura segnico verbale. Le parole “costruiscono” gli spazi e gli oggetti, ma mostrano al contempo la loro opacità e contraddittorietà nei corsivi raggomitolati al limite della leggibilità, nello svolgersi dalla bocca come un filo che imbriglia i corpi.

C’è una contrapposizione tra una pressione di costrizioni sociali, di ruoli predefiniti, di false aspettative, rappresentata dai segni verbali e l’esigenza di una espressione più libera e autonoma. Verrebbe, allora, da pensare che non ci si libera dalle parole, ma nelle parole.

Massimo Tartaglione

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