Grazie agli amici di la Repubblica e al Direttore Ottavio Ragone che hanno ospitato oggi questa riflessione di Gianfranco Nappi

LA NOSTRA MODERNITA’ MALATA

Scavare oltre l’orrore per capire effettivamente di cosa ci stia parlando Caivano con il suo Parco Verde.

Sì, camorra, droga, degrado, livelli di abbrutimento perfino nei rapporti tra le persone. Tutto vero e tutto tristemente non nuovo. E tutto su cui lavorare con determinazione e senza infingimenti. E verrà anche il Presidente del Consiglio in questo tempo in cui la politica si fa per annunci, per ostentazione del corpo nelle situazioni simbolo. E poi?

Ecco il punto. E poi?

La vita del Parco Verde è segnata da eventi sociali estremi da tempo, forse fin dalla sua nascita sbagliata dal terremoto.

Bisogna compiere lo sforzo per provare ad andare più a fondo nell’analisi perché è poi dalla bontà di questo sforzo che dipende sempre il giusto orientamento  per il che fare.

E allora la prima verità che dobbiamo dirci è che siamo di fronte al fenomeno estremizzato, patologico se si vuole, ma di una cosa che non è meno estrema e patologica: il processo di rottura di ogni legame sociale, di una frantumazione individualistica in un tempo in cui  questo individuo, nei messaggi dominanti e nella pubblicità, lo si eleva a signore incontrastato del proprio destino mentre, nella maggioranza dei casi e nella realtà, lo si condanna a insicurezza di vita, precarietà sociale, assenza di relazioni sociali, povertà economica e povertà culturale. E quindi alla perdita di speranza, alla disperazione di cui è segno la stessa esasperata esaltazione del proprio io che riducendo gli altri e soprattutto le altre a cosa non si rende conto di condannare se stesso a diventare cosa.

Se è così, vediamo se condividiamo l’analisi, qui non siamo in un grumo di passato che sopravvive testardamente al futuro ma invece in un presente che per quanto esasperato ed estremizzato ci parla molto della nostra modernità. Di questa malata modernità.

E allora, si facciano avanti tutti i cantori della fine della storia, del mercato unico Dio, della competizione sfrenata dell’uno contro tutti: dentro questa modernità ci sono anche le mille Caivano, le nuove povertà, le nuove schiavitù, i nuovi sfruttamenti, le nuove oscene ricchezze: oscene perché contemporanee ad estreme povertà ma soprattutto perché generate e fondate su quelle estreme povertà.

E allora, sommessamente, per tornare a Caivano, occorre partire da qui, da questa critica radicale. E muovere, di nuovo e nuovi, nella direzione di un pensiero che si immagini collettivo, sforzo comune di analisi e di coinvolgimento, tentativo di rispondere in tanti insieme a domande semplici: in che città noi vogliamo o pensiamo di avere il diritto di vivere? Come vorremmo la vita per i nostri bambini?  Con quali servizi? Con quale qualità ambientale? Con quale livello di cura delle persone? Con quale trasporto pubblico? E quanta scuola ci occorre? E quanti servizi socio-sanitari e prevenzione per la salute? E con che lavoro? E tutto questo non in astratto ma in una delle aree metropolitane a più alta densità abitativa e di vita del paese, in cui case, strade, asfalto, auto in tanti casi sono accatastati l’uno sull’altra. Oggi il mercato, l’economia, e le forze chiare e torbide che vi si muovono, tendono a nascondere queste domande. Invece noi abbiamo bisogno proprio di questo: un’economia pensata per la società, un mercato pensato per la società. Capovolgere la priorità di questa realtà malata.

E allora qui la domanda torna alla politica. Perché la guida della Città Metropolitana non apre essa coraggiosamente, e doverosamente, un grande confronto su come rispondere a quelle domande? Senza una nuova idea di  partecipazione e di politica la società non cambia. Caivano ci parla anche di questo peraltro: un Sindaco dinamico, coraggioso con il meglio di quella società, anche dentro il Parco Verde, impegnato in uno sforzo importante, certo nella solitudine più totale nei confronti degli altri livelli istituzionali, che con un agguato politico, nottetempo, due mesi fa, viene sfiduciato da pezzi della sua stessa maggioranza e si scioglie il Consiglio Comunale. Così vanno le cose della politica al tempo dei partiti che non sono partiti.

Gianfranco Nappi

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