Il nuovo numero di Critica Marxista, interamente dedicato ai 100 anni dalla nascita del PCI è assolutamente da non perdere. Si apre con un importante saggio di Aldo Tortorella ed è arricchito da innumerevoli contributi. Tra questi vi è questo articolo scritto da Anna Maria Carloni e Franca Chiaromonte sulla loro FGCI.
Franca l’ha pubblicato sulla sua pagina fb anticipandone in contenuto : da lì l’abbiamo recuperato e ve lo proponiamo: da leggere.
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di Anna Maria Carloni, Franca Chiaromonte
Sulla nostra Fgci, quella degli anni Settanta, non è facile rintracciare studi né dati di archivio e questa è già di per sé una notazione interessante. Non è così per i decenni precedenti, per i quali esistono fonti a cui at- tingere informazioni e per il Pci una tradizione consolidata di studi, ricerche, tesi universitarie e tanta memorialistica.
La Federazione giovanile comunista italiana è stata una organizzazione politica che ha accompagna l’intero arco di vita del Pci fin dal 1921, sospesa nel tempo della guerra è poi stata riorganizzata nel 1949, dopo la parentesi unitaria con l’esperienza del Fronte della gioventù. Il suo tempo glorioso è stato quello degli anni Sessanta (quando supera i 200 mila iscritti), anni di boom economico, di speranze e di grande partecipazione popolare alla costruzione della democrazia attraverso i partiti, i sindacati, le organizzazioni di massa. A partire dal 1956 e fino al 1977 con la rivista Nuova Generazione i giovani ebbero anche un organo di stampa nazionale (un’altra pubblicazione assai importante tra il 1977 e il 1979 sarà poi La città futura).
Gli anni Sessanta
Negli anni Sessanta l’applicazione dei principi e dei valori della Costituzione antifascista divenne ideale ispiratore di lotte anche molto aspre contro i continui attacchi al nuovo assetto democratico.
Un anno emblematico fu il 1960. Il governo monocolore del democristiano Tambroni, con l’appoggio esterno del Movimento sociale italiano ingaggiò una violenta aggressione antioperaia e antipopolare nelle piazze italiane dopo che nelle fabbriche il padronato più reazionario aveva segregato iscritti al Pci e alla Cgil ed ex partigiani in reparti confino.
A partire da Genova fino a Palermo si svolsero grandi manifestazioni antifasciste, ovunque represse brutalmente dalle forze dell’ordine. Furono soprattutto giovani i protagonisti di quelle lotte che si conclusero con la caduta del governo Tambroni e un tragico bilancio di feriti e morti a Reggio Emilia come a Catania, tutti giovani operai.
La Fgci e non solo il Pci, in quegli anni e in quelle lotte, ebbe un ruolo significativo e rappresentò per tanti giovani il primo incontro con il partito e il primo approdo organizzato alla militanza comunista sui grandi temi del lavoro (il Piano del lavoro) e dei diritti sindacali, della democrazia, della pace, dell’emancipazione femminile attraverso il lavoro, la parità salariale i di- ritti nella maternità e i servizi sociali.
I giovani comunisti partecipavano attivamente alla vita delle sezioni e alle iniziative del partito gestendone alcune in prima persona. Per esempio in occasione delle operazioni di voto, erano i giovani ad assistere con generi di conforto e cibo gli scrutatori e i rappresentanti di lista del Pci nei seggi elettorali ed erano sempre i giovani a recarsi alle stazioni Fs addetti a rifocillare con acqua, panini e copie dell’Unità i migranti che con treni speciali tornavano in Italia per votare.
Nell’Italia della guerra fredda e nel mondo dei blocchi contrapposti quando il Pci della via italiana al socialismo , baluardo della giovane democrazia costituzionale restava però saldamente “da una parte della barricata”, nella Federazione giovanile, che non era altro dal partito, a cominciare dal finanziamento fino alla selezione dei dirigenti, il tema dell’autonomia resterà una costante, un tema critico sempre, anche per la Fgci degli anni a venire. Negli anni Sessanta è interpretata innanzitutto come contributo alla costruzione del partito di massa a partire dal radicamento tra i giovani lavoratori, non sarà invece mai intesa come separatezza né correntismo (si sarebbe detto frazionismo).
Guardando la serie storica dei segretari nazionali della Federazione giovanile è evidente come la direzione della gioventù comunista abbia rappresentato ancor più delle scuole di partito una palestra di for- mazione politica a livello nazionale e locale e una messa alla prova per dirigenti che si riveleranno di alto pro- filo e per l’appunto con riconosciute qualità di autonomia personale come Enrico Berlinguer, Rino Serri, Achille Occhetto, Claudio Petruccioli. Grazie a loro in molte occasioni la Fgci ebbe un ruolo rilevante nelle vicende giovanili del Paese. Alla leva Fgci degli anni Settanta appartengono ad esempio D’Alema, Veltroni e Livia Turco.
Lo spartiacque del ’68
Il ’68 per la Federazione giovanile è uno spartiacque. Il movimento studentesco travolge le organizzazioni giovanili di partito e coinvolge i giovani comunisti nelle manifestazioni così come nelle occupazioni di università e scuole. Il drastico ridimensionamento di iscritti è il segno tangibile della crisi dei tradizionali canali di rapporto partito-società nel suo “settore” più sensibile, quello giovanile. È soprattutto nei passaggi cruciali di crisi e radicale cambiamento come il ’68 che l’autonomia in pratica si traduce nel ripensamento delle forme dell’impegno e della militanza per rimanere ancorati alle vicende e agli orientamenti giovanili che si esprimono attraverso il movimento degli studenti.
Il campo delle relazioni tra giovani e partito comunista è campo di conflitti radicali, così come tra giovani e università, famiglia, autorità. Un conflitto generale e generazionale non più contenibile e gestibile attraverso la forma tradizionale della organizzazione giovanile e delle già sperimentate e limitate autonomie. Sarà scontro aperto tra movimento degli studenti e partito comunista e anche all’interno del partito, dove la dialettica tra destra (Amendola) e sinistra comunista (Ingrao) sarà proprio sui temi del rapporto partito-società- movimenti.
Se gli anni successivi al ’68 in Italia sono anni di straordinaria crescita democratica segnati più che dall’estremismo, cui approda una parte del movimento e dei suoi leader, dalla crescita di una forte spinta unitaria al cambiamento che proviene dal mondo del lavoro e dal profondo rinnovamento del movimento sindacale nelle scuole e nelle fabbriche, questo si deve, a nostro avviso, molto al Pci.
Il Partito comunista italiano nel ’68 (a differenza del Pcf in Francia), con l’anziano segretario Luigi Longo, prestigioso comandante partigiano, aveva scelto di confrontarsi criticamente con il movimento degli studenti respingendo le posizioni di rottura presenti all’interno del partito e aprendo la via ad una stagione politica nuova e bellissima di profondi cambiamenti culturali e sociali. La vittoria del piccolo e coraggiosissimo popolo vietnamita sul colosso americano (ricordiamo di Ivan Della Mea Ballata del piccolo An: «Piccolo uomo, oggi è la tua festa e la tua donna è pronta per l’amore; tuo figlio è in piazza, grida la protesta per il Vietnam…»), la fine di quella guerra e gli accordi di pace avevano rinnovato speranze e fiducia nel futuro.
Sono gli anni più belli della nostra Fgci oltre che i nostri anni giovanili. Quelli della solidarietà internazionale e delle canzoni di lotta, dall’Internazionale a Contessa, da Paolo Pietrangeli a Giovanna Marini, ma anche quelli della nostra musica giovanile, con Francesco Guccini, Patti Smith, Lou Reed. Sono gli anni dell’unità operai-studenti, dello studio dei classici, da Marx a Gramsci a Luxemburg. Delle grandi manifestazioni, delle mimose dell’8 marzo, dei garofani del 1° maggio e delle feste dell’Unità, dove c’eravamo anche noi con i nostri temi e il nostro modo di stare insieme.
La strategia della tensione
Il 12 dicembre ’69 a Milano con la strage di Piazza Fontana si inaugura però un’altra terribile lunga e tragica storia, quella della strategia della tensione (sarebbe lungo citare tutte le tappe, ma vogliamo ricordare la strage di piazza della Loggia a Brescia, durante una manifestazione sindacale) e profondamente corrosiva del tessuto democratico, ma l’impatto non fu immediato e la risposta delle piazze di giovani e lavoratori fu imponente.
La «Strage è di Stato», dicevano e gridavano i gruppi del movimento, da Lotta continua a Potere operaio, noi studenti comunisti non ci credevamo e avevamo torto.
I decreti delegati nella scuola rappresentarono un’altra tappa di grande impegno per gli studenti comunisti e le nostre liste ottennero buoni risultati a fronte della campagna di astensione dei gruppi extraparlamentari. Non altrettanto si può dire per i vari tentativi e proposte di organizzare la base studentesca attraverso formule associative che inevitabilmente apparivano calate dall’alto, tipiche della forma partito, non corrispondenti alle pratiche più orizzontali, fluide e aperte proprie dei movimenti.
E poi le ragazze. Si deve a Enrico Berlinguer segretario dei giovani se fin dagli anni Cinquanta nel linguaggio, nella proposta, nello stesso statuto, la Fgci si rivolge esplicitamente alle giovani, le ragazze. «La Fgci è risorta prendendo energicamente nelle sue mani la difesa delle rivendicazioni di tutte le categorie della gioventù lavoratrice e studiosa, […] per organizzare la lotta dei giovani operai, disoccupati, contadini, studenti e ragazze», affermò Berlinguer al congresso della Fgci del 1950. È ancora un linguaggio tradizionale: siamo al 1950. Resta indimenticabile però soprattutto la sua presenza alla Conferenza nazionale delle comuniste nel marzo del 1984, quando per la prima volta il Pci riconosce la contraddizione di sesso (non più solo quella di classe) e le partecipanti (soprattutto giovani ma non solo) si affollano in piccole sale. Con Berlinguer segretario del partito il linguaggio era cambiato, si parlerà di donne e uomini, lavoratori e lavoratrici, giovani e ragazze e Berlinguer godrà sempre di fiducia e simpatia tra i giovani e le donne.
Comuniste e femministe
Nella Fgci il linguaggio resterà invece neutro. È importante evidenziare che il neofemminismo separatista negli anni Settanta viaggia e cresce tra le donne del tutto fuori dal mondo e dalle organizzazioni comuniste. Non fu così per altre organizzazioni politiche come Lotta continua, che nel 1976 si scioglie sull’onda di una rivolta delle donne che occupano il palco del Congresso di Rimini contro la dirigenza maschile e i suoi tentativi egemonici e di rappresentanza politica del movimento delle donne.
Il femminismo irromperà come presa di coscienza anche all’interno delle organizzazioni comuniste solo attraverso il lungo e accidentato percorso della legge sull’aborto. Sarà soprattutto grazie alle più giovani compagne dell’Udi (certamente fu così in Emilia, e anche a Roma, dove l’Udi era molto radicata tra le comuniste) se si affermerà la pratica della doppia militanza con l’autocoscienza, le riunioni e le manifestazioni di sole donne e crescerà all’interno delle organizzazioni comuniste (partito e Fgci) il dibattito sempre più attento ai temi della famiglia, del rapporto tra i sessi, dell’aborto, della sessualità.
La presa di coscienza femminista per le giovani donne della Fgci sarà tuttavia un percorso del tutto asimmetrico rispetto all’organizzazione giovanile e non arriverà a produrre un conflitto esplicito all’interno. Invece fu significativo il tentativo di modificare tempi e modi della pratica politica. Per esempio il modo di stare nelle riunioni più attente alla orizzontalità e circolarità come nel movimento delle donne. Essere donne, giovani, comunisti e comuniste: significava in quegli anni essere esposte/esposti alle fibrillazioni che agitavano la realtà giovanile e condizionate/i dalla propria collocazione politica cui non si voleva (né si poteva) rinunciare.
Anni di libertà e di piombo
Gli anni dal ’68 al ’75 per il rapporto giovani-politica- partito e per la Fgci, pur tra mille contrasti e contraddizioni, li ricordiamo illuminati da un senso di libertà tanto quanto la memoria dei successivi ce li rimanda oscurati e pesanti come il piombo. È bello il ricordo di una rivista romana, Roma Giovani (novembre 1974 – settembre 1975), per gli articoli di cinema, musica rock, droga, per il rapporto con Pier Paolo Pasolini e insom- ma per la libertà.
Di quegli anni non dimentichiamo il rilievo che ebbe in Italia il golpe dell’11 settembre 1973 in Cile. La tragica morte del presidente Allende, le torture e le esecu- zioni sommarie di tanti dirigenti e giovani comunisti e socialisti rappresentarono un trauma per i comunisti italiani. Di lì prese avvio la elaborazione e la proposta del compromesso storico che segnerà strategia e politica del Pci negli anni a venire e anche le crescenti difficoltà di noi giovani comunisti nel rapporto con gran parte dei giovani con cui avevamo condiviso lotte e movimento fino ad allora.
Dopo il grande successo del Pci alle elezioni amministrative del giugno 1975 la percezione diffusa (e le nostre attese) era di un imminente clamoroso sorpasso sulla Dc. Ma l’ascesa del Pci (34,37%) subì un arresto, non solo non vi fu il sorpasso ma da allora cominciammo a respirare un clima politico e sociale del tutto diverso e sempre più intossicato da violenza e terrorismo. Da una parte le Br, Prima Linea e Nuclei Armati Proletari , dall’altra Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale e poi i Nar.
Con il 1976 si avvia la stagione della non sfiducia, ovvero della astensione del partito comunista al governo monocolore della Dc. Una stagione che dal punto di vista delle conquiste legislative si rivelerà un vantaggio (una per tutte, la legge sull’aborto) provocò tra i giovani co- munisti disagio, perplessità e delusione, anche perché a guidare quei governi era Andreotti. I mesi successivi per la Fgci furono di difficoltà crescenti. Restammo più isolati e chiusi all’interno delle nostre comunità nel tentativo di reagire ed elaborare proposte capaci di incalzare il governo e conquistare vantaggi e risultati spendibili nel rapporto con le realtà giovanili. In realtà la distanza dagli orientamenti e dalle nuove culture che si andavano affermando aumentava sempre più, anche se l’impatto sulla nostra rete organizzata non fu immediato.
A Bologna vi fu l’enorme successo di Radio Alice, che segnò con il suo fervore creativo e l’ironia sarcastica e graffiante (soprattutto verso di noi) la nascita di un nuovo movimento. La Fgci in quei mesi si mise alla prova con grande impegno organizzativo e di proposta, realizzando a fine luglio il Festival nazionale dei giovani a Ravenna. Il tentativo fu quello di rilanciare un ponte, dopo le elezioni politiche, e canalizzare nuovamente verso il Pci fermenti e tensioni giovanili. Ancora oggi, cercando sul web, è possibile percepire la straordinarietà di quell’impegno, la passione e l’importanza di quella esperienza nel villaggio dei giovani che ne furono protagonisti. Un programma strepitoso: di concerti, cinema, dibattiti. Di incontri con i più im- portanti registi, musicisti, cantautori, intellettuali e i dirigenti di partito e sindacato, ovviamente presente il segretario dei giovani, Massimo D’Alema.
Tuttavia gli obiettivi non furono centrati e lo sforzo non fu del tutto ripagato. Fu aspramente criticato dai ragazzi per la distanza il campeggio di Nuova Generazione allestito a Lido Adriano, oltre che per la sua alta recinzione e la torretta in stile lager e da cittadella assediata.
Il disastro del festival pop del proletariato giovanile del parco Lambro (giugno ’76) con tanta violenza, musica, droghe pesanti e scontri, in misura minore si ripropone a Ravenna. Disordini in città, barricate, espropri e scontri con la polizia si consumarono prima a Ravenna contro il Pci e deflagrarono poi a Bologna nel marzo ’77.
Il ’77, Lama e Bologna
...e arriviamo al marzo ’77. Quando tutto cambia e non capimmo nulla di quello che stava succedendo. Noi della Fgci continuavamo a esserci e cercare testardamente il dialogo, per esempio a Bologna, nelle interminabili assemblee al Palasport, sfidando le atmosfere sempre più ostili. Le sigle storiche dei gruppi non c’erano più ed erano sostituite da altre come il collettivo “jaquerie”, il circolo “gatto selvaggio”, e soprattutto gli autonomi, non solo antagonisti ma sempre più minacciosi e violenti
A Roma il sabato restavamo chiuse in casa mentre si svolgevano le manifestazioni e gli scontri con la polizia.
Nel Pci, in primo piano vi era la necessità di contrastare con tutta la forza possibile l’insorgenza del “partito armato”. Noi giovani comunisti ci misurammo prin- cipalmente con questo orientamento del partito, seppure declinato con accenti diversi. Cercammo di proporre altri temi e altre letture della “questione giovanile”, del disagio legato alle prospettive di precarietà, e della rivolta. Tuttavia non sfuggivamo noi per primi allo shock, abituati come eravamo a una gioventù educata in un clima democratico.
Non è questa la sede per ripercorrere quei mesi, dalla cacciata di Lama dall’Università a Roma all’11 marzo bolognese. Il 17 febbraio, per garantire l’ingresso di Lama nell’università, furono mobilitati un centinaio di operai delle fabbriche della Tiburtina; nel cortile universitario venne allestito un palco per comizio sistemato su un piccolo camion posizionato tra la Facoltà di legge e la fontana della Minerva. Nel frattempo il cortile si riempiva man mano anche di studenti, alcuni dei quali simbolicamente appesero a una forca un pupazzo raffigurante il leader sindacale.
Il comizio incominciò con gli indiani metropolitani che dileggiavano Lama con slogan adattati sulle note di Guantanamera, quindi lo scontro fra studenti e operai si fece più violento fino a sfociare in una sassaiola verso il palco e in una vera e propria rissa. Lama uscì indenne dall’ateneo, protetto dal servizio d’ordine della Cgil, mentre gli studenti scandivano: «via via la nuova polizia!» e subito dopo alcuni di loro travolgevano il servizio d’ordine e si impadronivano del palco, distruggendo il camion.
A Bologna ci fu la tragedia dell’uccisione del giovane Francesco Lorusso per mano di un carabiniere, quando nelle drammatiche ore successive la discussione tra noi giovani e con il partito ruotava ossessiva- mente intorno al dosaggio delle parole sull’uso della forza da parte dei carabinieri. Con l’esito di una posizione che non fu di netta condanna.
Confusi e storditi come eravamo, non vedemmo mai lucidamente la domanda politica che proveniva da quegli studenti al netto delle frange più violente e fin da allora già orientate alla lotta armata. Eppure gli slogan irridenti dell’ala cosiddetta creativa erano chiarissimi. Risuona ancora una canzoncina: «Stretti stretti si va così, con l’accordo Dc-Pci». Finimmo per interiorizzare di quel movimento la potenziale minaccia per la democrazia.
Il distacco tra giovani e Pci
Fu un errore drammatico. Il 12 marzo a Bologna, in un clima di guerra civile, con i carri armati schierati e mentre un gruppo di autonomi assaliva una armeria, le forze dell’ordine entravano con le armi in pugno e chiudevano Radio Alice. Non ricordo posizioni di condanna da parte della nostra Fgci. A differenza del ’68 il gruppo dirigente nazionale del partito non si impegnò nel dialogo con la componente creativa di quel movimento e non seppe separare il dissenso legittimo dalla violenza eversiva, al contrario fece propria una politica di chiusura.
La serie di eventi che attraversò il triennio 1976- 1979 segnò l’irrimediabile allontanamento di ampie sezioni del mondo giovanile politicizzato dalla sfera d’influenza del Pci, che si era infine dimostrato per lo più incapace di consolidare la relazione costruita con una parte della società così importante per la recente avanzata del partito. Questo momento di crisi diffusa influì profondamente, come prevedibile, anche sulla forza della Fgci, la quale entrò già dal 1977 in quelli che furono successivamente definiti «gli anni difficili dei giovani comunisti», una fase di drammatica contrazione organizzativa e difficoltà politica e culturale arrivata dopo la “ricostruzione” dei primi anni Settanta.
I mesi successivi al marzo furono impiegati nel tentativo di riproporre Bologna come città sempre aperta al dialogo, con l’unica discriminante della violenza. Ci preparammo così al convegno internazionale contro la repressione, che individuava Bologna come capitale della stessa, nel settembre ’77. Fu per noi un’esperienza importante e più ancora per i comunisti bolognesi che con le sezioni di partito e la tradizionale bonomia si prodigarono in gesti e azioni di apertura e ospitalità anche rifocillando moltissimi dei convenuti.
Dopo quel terribile ’77 di rottura cercammo di rialzare la testa, nel senso di pensiero e azione. Per esempio con due iniziative. Quella per ottenere una legge per il lavoro ai giovani, la legge 285, intorno a cui organizzammo tante esperienze sia al Nord con lo sviluppo della cooperazione giovanile sia al Sud e memorabile fu una grande, riuscitissima manifestazione nazionale a Napoli nel quartiere Sanità. La seconda fu una bellissima esperienza editoriale, quella della rivista “La città futura” che finalmente si rivolgeva con fiducia e apertura ai giovani riconoscendoli come soggetti di rinnovamento e cogliendo il valore di quella tensione alla libertà individuale che aveva fatto tanto problema alla nostra cultura comunista ed egualitaria.
La città futura
Con La città futura si riprese finalmente un dibattito di qualità intellettuale più libero e arioso. Molto spazio trovarono elaborazioni e linguaggi diversi. Dal femminismo, alla musica, alla bellissima serie esclusiva del fumetto d’autore e autrice come, tra gli altri, Daniele Panebarco e Claire Bretécher. La memoria di quegli anni, fatta anche di amicizie bellissime, amori giovanili, comunità appassionate e solidali, resta comunque fortemente e drammaticamente segnata dal terrorismo che aveva reso cupe le nostre città e vani tanti generosi tentativi delle giovani e dei giovani comunisti.
Al culmine di quel periodo, il più drammatico della storia della Repubblica, sta il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, in qualche modo l’epilogo di un decennio che per la prima parte aveva alimentato attese, speranze e un grande patrimonio di crescita democratica poi bruciate nel buio di anni di piombo e volontà di restaurazione.
Per noi, dopo più di quarant’anni, gli anni della Federazione giovanile restano gli anni della gioventù e della formazione, consapevoli del privilegio di averli vissuti in comunità appassionanti ricche di idealità, di relazioni umane e amicizie durature nel tempo. Per molte di noi, e per noi due in particolare, è stato possibile metterle ancora in comune passioni, amicizia e politica, da donne e grazie al femminismo, ma questa è un’altra storia che non abbiamo condiviso con i compagni di allora.
L’8 ottobre 1990 il segretario della Fgci Gianni Cuperlo propose ad Ariccia, seguendo la linea di Achille Occhetto, di sciogliere la Fgci per far nascere la Sinistra giovanile. La proposta passò con 91 voti favore- voli, 10 astenuti e 13 contrari.
Anna Maria Carloni e Franca Chiaromonte
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