Grazie agli amici di La Repubblica Napoli per avere ospitato questa riflessione.
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C’è un’altra faglia che divide il paese, geograficamente e socialmente. Lo studio epidemiologico condotto dalla Sanità della Regione Lazio sugli effetti dell’ondata di caldo dello scorso luglio ha dimostrato conseguenze diverse nelle diverse aree del paese e giustamente le pagine de la Repubblica vi hanno dato rilievo:1500 morti in più in quel mese nel Sud d’Italia mentre il Nord, con ondate di caldo non dissimili, è lontano da questi dolorosi incrementi.
Malati; anziani per lo più soli e con scarsa assistenza sociale e sanitaria, in città cementificate e bollenti i più colpiti e al Sud si muore più che al Nord: Reggio Calabria +90%, Bari +50%, Taranto +42% fino alla stessa Napoli +10%.
Questo dato dice tre cose di fondo.
La prima. C’è una divaricazione di condizioni e aspettative di vita tra Nord e Sud che si è fatta insopportabile oltreché inaccettabile. Fino a poco più di dieci anni fa al Sud l’attesa di vita era superiore a quella del Nord. Oggi è inferiore di 3-5 anni. Sanità pubblica in crisi e defraudata negli ultimi dieci anni di 37.000 miliardi di euro in meno. Ambiente più compromesso. Perfino il cibo è peggiorato con l’esplosione di una Grande Distribuzione Organizzata che dilaga in modo sregolato nei territori con il suo cibo industriale e spesso junk soppiantando quello della tanto decantata Dieta Mediterranea: si vedano gli indici di obesità tra i nostri minori. Il segno di un logoramento economico e sociale non frenato su cui si accinge a piombare la bomba, si è una bomba, dell’autonomia differenziata. C’è qui materia di riflessione urgente per il governo nazionale ma anche per tutti i Presidenti di Regione assisi sui loro primati mondiali.
La seconda, connessa alla prima. La crisi ambientale e climatica, in cui queste morti si inscrivono, non colpisce tutti allo stesso modo. E’ accaduto anche con il Covid. Se sei socialmente più debole, esposto, solo, la paghi di più. Stesso caldo, uno vive, un altro muore. E non è il caso a deciderlo ma la tua condizione sociale. Più in basso stai nella scala sociale più paghi. Insopportabile. E quindi la crisi climatica, a differenza di quel che pensa il negazionismo di destra tutto è tranne che un balocco per ragazzini impazienti o argomento per i salotti bene di società. Sono proprio i settori più popolari, più esposti e colpiti ad essere i più direttamente interessati a guadagnare con un clima diverso, migliori condizioni di vita. E quindi, messa così, la stessa lotta contro il cambiamento climatico invoca e presuppone una misura grande di riequilibrio e di giustizia sociale: da noi e nei paesi più deboli nel mondo.
E, ultima ma intimamente connessa alla precedente, è venuto il momento davvero di assumere il dato unitario del discorso, oltre ogni frammentazione tesa proprio a nascondere una verità sempre più chiara: c’è una questione sanitaria, c’è una questione climatica, c’è una questione di ingiustizia sociale… ma ve ne è una che tutte evocano: l’esigenza di una messa in discussione radicale del modo in cui oggi è organizzato il produrre, il consumare, il vivere nelle città, la ricchezza è distribuita. La logica del mercato e del produttivismo esasperato sono all’origine dell’insieme delle crisi che stiamo fronteggiando e se volete, potete chiamarlo anche neoliberismo, che così minaccia di trascinare nella sua evidente e sempre meno contenibile crisi il più del nostro presente e del nostro futuro.
Ovunque, ancor di più nel Mezzogiorno, il tema diventa di stringente attualità politica.
Gianfranco Nappi
Ottima analisi, lucida e cruda. La condivido fortemente.
Gaetano Romano