Ecco qui un caso classico in cui si capisce cosa voglia dire per una sinistra che voglia guadagnare futuro, fare i conti con la propria storia e i propri errori.
La privatizzazione di TIM fu decisa dal Governo Prodi nel 1997. E’ del 2011 il Referendum sull’acqua pubblica.
Oggi, a distanza di tanto tempo da quelle scelte, possiamo misurare ancora meglio quanto lo sviluppo della società abbia assegnato centralità e carattere strategico al ruolo delle Reti per quella che nel frattempo è diventata società digitale, rivoluzione digitale che assegna un grande valore, strategico, a tutte le reti.
DELLE RETI DI TELECOMUNICAZIONE AL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
Non è che non fosse chiaro già allora, dico nel 1997. E non a caso visse in quel Parlamento e in quella maggioranza di centrosinistra, una posizione che cercò di sfuggire ai due pericoli presenti allora.
Da un lato, quello che in nome di una antica concezione del ‘pubblico’ , portava a difendere rendite di posizione e veri e propri blocchi di potere pervasivo che intorno alle grandi società pubbliche nel tempo si erano andati costruendo con influenza diretta e perniciosa su tutta la politica italiana. E dall’altro lato, quella che in nome della modernizzazione, dello svecchiamento ed anche del bisogno molto diretto di fare cassa per uni Stato indebitato, portava a spingere su una linea di privatizzazioni e di liberalizzazioni, due concetti spesso sovrapposti ma assolutamente diversi. Questa la linea del centrosinistra da ‘terza via’ blairiana, sposata a man bassa dai nostri Prodi, D’Alema, Veltroni ( e sarebbe interessante capire cosa Pierluigi Bersani, autorevole uomo di Governo in quegli anni, pensi oggi ) : magari divisi su molte cose ma unitissimi su questo.
Bene, vi fu un’altra posizione, nel Paese e in Parlamento allora. E la rappresentò un manipolo di pensiero e azione formatosi su questi temi nel tempo di Rifondazione Comunista e poi, quasi in blocco trasmigrato, nella rottura con Bertinotti, nell’esperienza dei Comunisti Unitari con Crucianelli, Castellina, Magri.
Ebbi l’onore di avere un ruolo di primo piano nella costruzione di quella elaborazione insieme, tra gli altri, a Michele Mezza, Valentino Filippetti ( che ha ricordato quelle vicende in un suo recente bel libro che raccoglie i contributi suoi di riflessione lungo un arco lungo di tempo, ERETICO FUTURO Ed.BORDEAUX 2021 ), settori dei DS stesso e del Sindacato. Quella iniziativa si snodò attraverso incontri, convegni, interventi nel confronto pubblico, atti di proposta legislativa in Parlamento. E il centro di essa si può riassumere sostanzialmente in due assunti:
1 Il processo di liberalizzazione ha un suo fondamento: l’idea di un mercato non chiuso è quella che più può favorire una spinta all’innovazione di processo e di prodotto, rompere incrostazioni burocratiche e di potere che frenano lo sviluppo, aprire uno spazio di tutela maggiore dei consumatori, favorire la nascita di nuovi servizi, con nuovi protagonisti….
2 Ma al processo di liberalizzazione non è essenziale quello di privatizzazione che invece metterebbe in mano a interessi e gruppi privati una delle realtà più sensibili del Paese, come la rete di telecomunicazione: l’infrastruttura che è diventata il vero sistema nervoso della società digitale e alle cui insufficienze e ritardi di sviluppo e concezione è legato non poco di quello che viene definito digital divide del nostro paese. E poi, una Rete privatizzata sarebbe andata, dicevamo allora, dove chiede il mercato non ovunque ve ne sarebbe stato bisogno. E infatti, siamo ancora qui a discutere di rete digitale per il paese, di fibra ottica che è ben lungi dal raggiungere tutte le case, che è lontanissima da Appennino e aree di Montagna, da tante parti del Mezzogiorno semplicemente perchè all’operatore privato interessano le aree e zone più profittevoli, quelle metropolitane sostanzialmente, e sulle altre, ci si arrivi puri con la ‘finta’ fibra…
Infine è cresciuto, rispetto ad allora, un altro profilo che allora si intravedeva solo, quello della sicurezza della rete e della sicurezza nazionale: risparmiamo l’elenco delle emergenze tra Guerra russa; per come vengono definite, presunte insidie cinesi; attacchi alla rete; cybersecurity.
E così proponemmo. Rete pubblica e liberalizzazione invece dei servizi che su di essa possano viaggiare.
Ovviamente la nostra fu una battaglia di assoluta minoranza a sinistra. La demmo. E già basti questo credo. Ma l’aria che tirava andava in tutt’altra direzione. Lì come per le Autostrade a cui poi, con l’ausilio di governi di diverso colore, arriverà Benetton con la ‘rendita assicurata’ e la manutenzione chiusa in un cassetto…
Bene, dopo le vicende di TIM privatizzata di questi anni, con tanti privati che vi sono passati, con Veolia in posizione di primo piano, nei mesi scorsi si è fatto avanti il Fondo di Investimento Americano KKR con una offerta di acquisto del 100% della Rete TIM a cui ieri TIM ha dato parere favorevole ed ha avviato la fase di trattativa diretta per giungere ad un accordo mentre è stata considerata non adeguata l’offerta arrivata da Cassa Depositi e Presiti unita ad un altro colosso finanziario privato, il gruppo Macquarie con sede a Sydney.
Oggi, quando tutto passa attraverso la Rete, tutto, è venuto o no il momento di farci un ragionamento nuovo su? Questa Destra, così attenta all’interesse nazionale, perfino in modo ridicolo sulla lingua, ha da dire niente? Esercita il diritto di Golden Share il Ministero del Tesoro per imprimere un altro esito a tutta la vicenda? Ve ne sarebbe una opportunità straordinaria.
Ma il PD lo chiede al governo?
E la Sinistra, o quel che ne rimane, batte un colpo su questo? Cosa ha da dire, qui sì, la sua nuova Segretaria?
Mentre il balletto della politica televisiva si snoda a reti unificate nelle nostre case, la linea di riorganizzazione di potenti interessi economici e finanziari si sviluppa in assoluta continuità e sulle spalle del Paese per un’operazione in questo caso da oltre 1 punto percentuale di PIL, per dare un’idea delle dimensioni della cosa.
Infine, la caratteristica di un Fondo che investe non è quella di una politica industriale, di una politica di sviluppo ma quella di remunerarsi l’investimento con percentuali annue non inferiori al 10% e meglio se vicine al 15%: questa è la sua logica. Fin quando è possibile, bene. anche con tagli e compressione di reddito e diritti del lavoro. E quando non è più possibile? E beh, il limone che pur spremuto mantiene un suo grande valore , viene passato ad altri e ricomincia il giro della valorizzazione finanziaria.
DELL’ACQUA IN CAMPANIA
Il 31 maggio 2023 la Giunta Regionale della Campania ha approvato una Delibera che nei fatti contraddice pesantemente l’esito del Referendum sull’Acqua Pubblica del 2011.
Scadendo a novembre la Concessione per la Gestione delle Opere Ex-Casmez della Grande Adduzione affidata a Campania Acqua Spa, si poneva il problema di quale quadro di riferimento assicurare al primo e decisivo snodo del governo delle acque.
Una opportunità anche qui. Per allineare, finalmente la Campania, anche da qui passa la lotta ai cambiamenti climatici, ai risultati di quel Referendum del 2011 che sancì che l’Acqua ha da essere pubblica; alla migliore cultura dei Beni Comuni, dell’Acqua risorsa scarsa, dell’Acqua sulla quale non è giusto che si faccia profitto…
Peraltro il Presidente della Regione Campania ha inaugurato un’altra delle sue ‘guerre di cartone‘: quella per la sovranità dell’acqua, al grido: l’acqua campana ai Campani.
Impegno lodevole se questa battaglia intendesse dire, appunto, fuori gli interessi privatistici dall’acqua che scorre in Campania.
Invece significa esattamente l’opposto a proposito di una risorsa preziosa che peraltro, per le nostre necessità fondamentali di acqua potabile, guarda un po’, in larghissima maggioranza ci arriva da altre Regioni. Lazio e Puglia il primis: e così, alla ( finta ) autarchia del Governo nazionale si unisce anche la ( finta ) autarchia di quello Regionale.
La Giunta quindi, pur individuando tra le ipotesi possibili di governo futuro delle acqua, come opzione possibile, la Società Pubblica, la scarta e sceglie invece quella a ‘privatizzazione mascherata’ e quindi ancora più pesante. Avvia infatti la procedura per la costituzione di una società pubblico-privato a controllo pubblico, quindi nei fatti 51% pubblico e 49% privato, con la gestione in mani ai privati. e, quindi per la individuazione del socio privato con gara.
Ora, tutta l’esperienza di società del genere dice che per questa via in capo al pubblico rimangono gli oneri e gli investimenti mentre al privato vanno i profitti: ecco perchè diciamo ‘privatizzazione mascherata’.
E allora, esattamente coma la Destra al Governo, il governo della Campania fa la scelta di non invertire, come possibile, una rotta iniziata nel 1992 con la concessione ad Acqua Campania della gestione della Grande Adduzione : l’Spa è partecipata da due grandi soci, Vianini Lavori per il 47,9%, società del Gruppo Caltagirone, a sua volta proprietario de Il Mattino e de Il Messaggero tra l’altro; e Veolia Water Technologies Italia per l’altro 47,9% , ed ecco che ritroviamo anche per l’acqua quella Veolia già trovata in TIM, e qui davvero è un gigante: il gruppo francese è il più grande fornitore di servizi idrici al mondo.
Peraltro in questi anni, basta vedere i bilanci, i dividendi per i soci sono stati significativi e sicuri.
Si deve imboccare un’altra strada : quella indicata dai Coordinamenti per l’Acqua Pubblica; dal meglio del pensiero giuridico italiano che ha elaborato, intorno a Stefano Rodotà, l’idea e la pratica dei Beni Comuni; di tante esperienze di movimento e di lotta; di Legambiente; dell’impegno di una figura straordinaria come quella di Padre Alex Zanotelli.
E in quest’altra strada troviamo sicuramente una delle realizzazioni più significative dell’esperienza di Governo in Puglia di Nichi Vendola con la società lì realizzata che gestisce l’intero ciclo integrato delle acque ACQUEDOTTO PUGLIESE. Acqua Bene Comune. 100% pubblica. E che, cosa di non secondaria importanza, gestisce bene l’acqua e, non dovendo dividere utili tra i soci, destina tutte le risorse a migliorare la qualità della rete e del servizio. Possiamo fare così anche in Campania? Perchè no? Questa è anche la proposta emersa dal nostro incontro dello scorso 20 giugno. E hai voglia se ci torneremo. ( https://www.infinitimondi.eu/2023/06/21/soleventoacqua-per-un-salto-nella-produzione-di-energia-pulita-come-parte-di-un-nuovo-modello-di-sviluppo-e-intanto-blocchiamo-la-nuova-privatizzazione-dellacqua-in-campania-martedi-20-la-secon/ ).
Altra direzione coerente a cui guardare è invece proprio a casa nostra a Napoli, con la vecchia ARIN diventata ABC e al suo modello riformatore che langue e che invece andrebbe rilanciato.
Una cosa da fare nel concreto nel frattempo è sottoscrivere la Petizione lanciata dal Coordinamento Campano per l’Acqua Pubblica : https://www.change.org/p/difendiamo-l-acqua-della-campania-dagli-speculatori-privati-e-dai-loro-profitti
IL 24 GIUGNO CON LA CGIL A ROMA PER LA SALUTE DIRITTO
Non vorremmo sovraccaricare di domande il nuovo gruppo dirigente nazionale del PD, ma forse, invece dal farsi arrovellare sul pur importante tema del terzo mandato si terzo mandato no, varrebbe la pena di misurarsi primariamente con questi rovelli qua e su questi rovelli qua usare la clava.
Su questi.
E su quelli, ad esempio, della sanità su cui si annuncia per sabato 24 giugno, nel giorno di San Giovanni a cui sono dedicati tanti Ospedali…, una mobilitazione nazionale a Roma ad opera della CGIL che nella lotta contro la privatizzazione non può non avere la messa in discussione, anche in Campania, di un modello che, nonostante il Covid, continua a penalizzare la sanità pubblica e premia tutto ciò che è privato in convenzione . E ancor di più nello scenario dell’Autonomia Differenziata.
Gianfranco Nappi