Grazie a Franca e Silvia che ci hanno inviato alla fine del 2020 questo scritto a tratti emozionante sulla vita, vista dall’interno, della famiglia di un funzionario e dirigente di quel partito che fu il PCI. Ed anche nel rapporto tra padri e figli, tema che per altro verso abbiamo ritrovato nel lavoro di Alessandro Scippa La Giunta di cui abbiamo di recente discusso.

***

STORIELLE DI FAMIGLIA

di Franca e Silvia Chiaromonte

Oggi 28 novembre papà avrebbe compiuto 96 anni. All’anagrafe il giorno della nascita è segnato come 29, ma la nonna Carmela gli auguri glieli faceva il 28 e lei lo sapeva quando lo aveva partorito.

Anche lui non era ancora nato quando è nato il Partito Comunista Italiano, che, per chiunque vi sia stato iscritto, anche solo per un anno, era il Partito, il Partito e basta, non c’era mica bisogno di specificare.

E noi della famiglia quelle tessere le abbiamo avute. Noi figlie, in particolare, abbiamo succhiato latte e politica, anche se nostro padre (come tutti quelli della sua generazione) era un uomo taciturno e di vecchia scuola comunista e, quindi, di politica tendeva a non parlare in famiglia, temendo di rivelare segreti della linea da solo successivamente divulgare!

Con Franca e Silvia



Quando InfinitiMondi ci ha chiesto di raccontare una storia di famiglia in occasione dei 100 anni dalla nascita del Partito, abbiamo pensato fosse perché le storie della nostra (come di tante altre) famiglia costituiscono un “pezzetto” della storia del Partito.

Giovanni Cerchia ha scritto una bella biografia politica di Gerardo Chiaromonte, qui ci limiteremo a quei pezzetti che speriamo riescano a descrivere il tessuto connettivo del Partito e la sua quotidianità.

Siamo nate a Napoli, ma, nei primi anni della nostra vita non abbiamo ricordi di partito napoletano, a questo ci arriviamo più tardi.

Partiamo invece dal 1965, anno di trasferimento di tutta la famiglia a Roma. Bice Foà, la nostra mamma, donna, ebrea e comunista è quella che ha maggiormente sofferto questo trasferimento, trovandosi a 35 anni a dover lasciare amici parenti e Napoli, città amata ogni oltre dire, con due bambine da crescere.

Papà tornava spessissimo a Napoli e la sua vita politica era in ascesa e estremamente assorbente, mentre noi “scendevamo” tutte le feste comandate, in cinquecento. Viaggi lunghissimi dove abbiamo imparato l’intero repertorio di canzoni napoletane e, visto che avanzava ancora tempo, anche qualche aria di opera famosa (libiamo, là ci darem la mano, ecc.). Sapevamo tutta tammurriata nera 10 anni prima che venisse ripresa dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare.

D’altra parte, in treno, ci si mettevano 3 ore abbondanti.

In Cina con Giancarlo Pajetta incontro con Mao Tse Tung


A Roma, naturalmente, la prima cosa che fa nostra madre è quella di iscriversi alla sezione territoriale della nostra nuova casa.

Abitavamo nel quartiere Portuense e la nostra casa era circondata da cantieri e pascoli di pecore. Chiamarla periferia è dire poco. La sezione si chiamava Portuense Villini. I primi amici a Roma, ovviamente, sono stati i figli dei compagni iscritti alla sezione.

Ogni volta che c’era una riunione (4 o 5 a settimana) Bice e Iva Micucci si chiamavano: “ti porti il piccolo, il grande o tutti e due?” il piccolo, Stefano, aveva l’età di Silvia (la piccola) il grande, Massimo, l’età di Franca (la grande). Avevamo tutti dai 5 ai 9 anni e ci divertivamo moltissimo nel cortile della sezione dove incontravamo di volta in volta altri più o meno coetanei, formando a volte delle bande di 10-15 ragazzini. Nascondini e vari giochi di gruppo epici.

Gerardo nel frattempo, tra le altre cose, si occupava della Commissione agraria del PCI, Bice insegnava e cominciava a capire il Partito romano, senza riuscire (e non c’è riuscita mai) ad ambientarsi davvero a Roma.

Tra doppi turni scolastici (ora sembra impossibile pensarci) nostri e di Bice e i diversi impegni dei genitori, spesso noi rimanevamo sole a casa con le chiavi attaccate ad una fettuccia e messe come collana sotto il vestito per non perderle. In quelle occasioni ci veniva sempre ricordato che, per qualsiasi necessità, potevamo rivolgerci ai compagni della vigilanza di Botteghe Oscure al 6711 (dal telefono di casa e senza lo 06 davanti: come è lontano quel tempo).

Forse non abbiamo mai telefonato, ma sapere di poterlo fare ci dava una grande tranquillità e Telmo (responsabile per un lungo periodo della vigilanza centrale) ogni volta che ci vedeva ci diceva “regazzì tutto bene? Io sto sempre qua, ricordatevelo!” e noi lo ricordiamo sempre.

Pausa di lavoro. Scopa con Luciano Lama


In quegli anni di soldi a casa ce n’erano veramente pochini, debiti per sposarsi, debiti per trasferirsi a Roma e quindi le vacanze estive si facevano in parte nei paesi dell’est e in parte ospiti dei compagni. Tra tutti vogliamo ricordare Bacinin di San Romolo (Liguria) che ci ospitò nella sua fattoria e qualcuno che a Trecchina (Basilicata) che ci mise a disposizione una casa dove per fare la doccia uno saliva al piano superiore e gettava secchi d’acqua su chi stava sotto.

L’ospitalità, con un canone di affitto quasi figurativo, di Carlo e Ginette Fermariello a Vico Equense dal 1967 ha risolto il problema delle vacanze.

Le ospitalità dei compagni sparsi in tutta Italia sono continuate nei periodi delle campagne elettorali a scuole chiuse. Andavamo (una per volta perché Gerardo insieme non ci “reggeva”) insieme a lui e venivamo affidate alle famiglie ospitanti (comuniste, è ovvio!), che si erano offerte di tenerci.

A Roma invece c’era Botteghe Oscure. Il “Bottegone” è oggi la sede operativa della società di servizi dell’Associazione Bancaria Italiana (e, manco a farlo apposta, la loro sede legale è a Piazza del Gesù, sede storica della Democrazia Cristiana) e quando si passa si notano un supermercato e un parrucchiere al posto della libreria Rinascita.

Per gran parte della nostra vita è stato invece il luogo della comunità: l’ambulatorio medico, il settore tecnico utile anche per qualsiasi guasto quando non c’era da costruire una festa dell’unità, la festa della befana (particolarmente sentita da Franca perché anche il compleanno), il luogo di lavoro di un “apparato” estremamente preparato sui diversi argomenti, il balcone delle vittorie elettorali, il portone chiuso in occasione delle manifestazioni studentesche più a rischio, e tante altre cose: in una parola il Partito. Il partito con le sue innumerevoli sedi, luoghi abilitanti alla politica, certo, ma intesa nel senso più largo possibile. Luoghi che davano il senso di appartenenza, che facevano conoscere tanta gente di tante generazioni e di diversissima estrazione sociale che discutevano insieme, alla pari e formavano un’opinione collettiva.

A San Giovanni a Teduccio con Pierino D’Angelo e Maurizio Valenzi


Oggi che, per colpa di un piccolissimo essere non vivente, un virus, siamo costrette a casa e a mantenere la distanza dagli altri esseri umani, il ricordo di un’esperienza così sociale e formativa, di un modo di stare insieme ad una moltitudine incalcolabile di persone (milioni e milioni), di conoscere personalmente una quantità di gente enorme (centinaia e centinaia) stimola una riflessione più generale su quanto incidano le relazioni sulla formazione, sulla conoscenza e sul carattere dei giovani.

E ritorniamo a Napoli e alle feste comandate.

Noi atei, con una origine materna ebraica, e comunisti ci ritrovavamo, a volte anche con Amendola, Napolitano e tanti altri che comunque passavano di lì per incontrarsi, il 24 dicembre mattina alla libreria di Macchiaroli dove fino a che non abbiamo avuto le nostre tessere in tasca, noi bambine sceglievamo i libri di regalo di Natale e loro, i grandi, si aggiornavano sulle ultime del partito di Napoli. Successivamente anche noi prendevamo parte alle discussioni, sempre però avendo i nostri regali in libri.

Capodanno si passava invece a casa di Carlo Fermariello, a Napoli o a Vico Equense, ma comunque sparando botti a volontà e parlando, in un fracasso terrificante, del consiglio comunale napoletano, della commissione cultura (non poteva mancare Pietro Valenza), e della vita quotidiana tra Milano (Fernanda), Roma (noi e Lea), Napoli (Ginette). Vita quotidiana fatta di cibo, viaggi e Partito per tutti e per tutte.


Vita quotidiana fatta anche di domeniche passate in campagna elettorale, di settimane intere senza vedersi perché dispersi in politica, di vacanze interrotte dai carri armati sovietici a Praga, dalle bombe sull’Italicus e alla stazione di Bologna. Non tutto rose e fiori.

Non tocca a noi fare una vera storiografia di una esperienza così importante per il mondo e per tanta gente.

Siamo passate per la rivoluzione del femminismo, gli anni di piombo e quel lento declino della vita di partito (tanti ricorderanno per quanti congressi si è discusso della “nuova forma partito” e del superamento del volantinaggio e della diffusione de l’Unità).

Poi la “svolta” e tangentopoli. Alle crisi del partito di Napoli (tante, una continuazione, più che in qualsiasi altra parte d’Italia) si aggiunge anche questa.

Aprile 1963 con Giorgio Amendola per la morte di Julian Grimau , dirigente del Partito Comunista spagnolo, ucciso dal regime franchista



Nel 1993 papà muore e il suo ultimo discorso alla federazione di Napoli è noto a tutti sul pericolo di un giustizialismo dilagante, dovuto anche agli enormi errori compiuti. Discorso che si conclude con una dichiarazione di amore nei confronti del Partito e di Napoli del tutto irrituale per lui così schivo e riservato nei sentimenti.

Il 1993 è anche l’anno in cui si vota per le elezioni comunali per la prima volta con il sistema maggioritario. A Napoli lo scontro è tra Antonio Bassolino e Alessandra Mussolini.

Bice, per elaborare fino in fondo il recentissimo lutto, decide di tornare a Napoli a fare campagna elettorale dopo più di 25 anni.

1975 Alla Festa de l’Unità di Napoli



Per un puro caso della vita a Silvia viene offerto di seguire un piccolo progetto da parte della azienda dove lavorava da svolgere al rione Sanità. Più familiarmente decide di ricordare papà andando a pranzo da Ciro a Santa Brigida.

Sono solo ricordi, non pretendiamo che siano del tutto veri, come diceva Bice la memoria erra, nel senso che viaggia e nel senso che sbaglia. Ma una cosa è vera. Quel Partito è parte della nostra vita e noi siamo state parte di quella storia. Ci riteniamo molto fortunate.

Franca e Silvia Chiaromonte

Vuoi ricevere un avviso sulle novità del nostro sito web?
Iscriviti alla nostra newsletter!

Termini e Condizioni

1 commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *