E’ importante questo lavoro di Ferruccio Capelli, A Sinistra. Con uno sguardo umano. Guerini e Associati 2023. Capelli è Direttore della Casa della Cultura, prestigioso e storico centro di promozione culturale di Milano: un osservatorio privilegiato in quella Milano che già di per se’ è non poca cosa per l’intero Paese e per il contesto europeo a cui è intimamente legata.
Di Capelli poi abbiamo un ricordo di gioventù di comune militanza nella FGCI e nel PCI, e anche questo dice molto. Capelli nelle vicende che hanno seguito l’89 , pur oggi forse senza partito – e in questo accomunando la sua condizione a quella di tanti di noi di quelle generazioni di cui peraltro proprio a Milano c’è uno degli esponenti più significativi, e non a caso suo interlocutore affezionato, Marco Fumagalli – non ha smesso di cercare come si può ben dire fuor di retorica. Lo testimonia la sua intensa attività di ricerca propria della Casa della Cultura e lo dice un lavoro di scrittura di testi di cui questo è solo ultimo di un impegno che si è via via affinato a approfondito.
Rispetto a questo suo A Sinistra, e queste poche note vogliono essere più che altro un invito alla lettura, sviluppo due ordini di considerazioni: la prima assolutamente positiva e la seconda di interlocuzione critica.
La prima. Come egli stesso scrive, muove dall’avvertire ” l’urgenza di contribuire a un’altra narrazione. Servono altre idee in campo. Per individuare altri percorsi. Per favorire uno scarto. Per tentare altre strade, per proporre un approccio diverso. Questo libro vorrebbe essere un contributo in questa direzione. Un tassello, per l’appunto, per la costruzione di un’altra narrazione.” Da qui, si sviluppa la riflessione dell’autore che nella prima parte smonta pezzo per pezzo potremmo dire i cardini su cui si è poggiato l’impianto egemonico neoliberista in questi decenni; ne contesta le ragioni, ne mette a nudo le falsità e gli approdi opposti alle premesse/promesse : in questo particolarmente efficace è tutta la parte tesa a smontare l’ideologia dell’individuo padrone e sovrano del proprio destino che ha alimentato l’aspra competizione tra simili e ha concorso a frantumare ulteriormente la società e ad indebolire le ragioni dei più. La seconda parte del libro è invece dedicata a delineare il profilo di quell’altra narrazione di cui si avverte gran bisogno: non vi è dubbio infatti sulla centralità del terreno delle idee. Si potrebbe dire anzi, è lì che si è persa la battaglia, insieme alla dimensione sociale, ed è lì che va ricostruita una linea di risposta adeguata anche come condizione per un recupero di soggettività sociale, per animare nuove consapevolezze. E qui Capelli, costruendo una rete di riferimenti ideali per una sinistra rinnovata – sul primato della relazione, sul bisogno di un altro modello di sviluppo, sulla centralità dell’ambientalismo, sul dialogo tra culture diverse, su come leggere criticamente l’evoluzione della rivoluzione tecnologica in atto per porre al suo centro i bisogni dell’umanità, su come restituire nuova linfa alla democrazia – giunge poi a condensare tutto questo, in opposizione e in alternativa ad un capitalismo cresciuto senza freni, secondo una sua intrinseca caratteristica del resto, e che come è sempre più evidente ha assunto un carattere sempre più distruttivo, nell’obiettivo di un nuovo umanesimo .
” Nuovo umanesimo, quindi, come progetto culturale. Come pensiero critico per il nostro tempo. Per proporre un altro modo di pensare all’essere umano : centralità della relazione, coscienza ambientale e governo della rivoluzione tecno-scientifica ” , scrive Capelli. E sollecita con forza a vedere come la parabola cui è giunto il capitalismo, l’evidenza dei suoi limiti drammaticamente esplosi, per chi nutre un pensiero critico, rappresentino anche ” occasione storica. Come diceva Giambattista Vico, sembravano traversie ed erano in fatti opportunità “. E anche qui, bello questo richiamo al grande pensatore napoletano.
E così possiamo venire alla seconda parte di interlocuzione critica invece dentro un apprezzamento significativo per un lavoro che risponde largamente all’esigenza che abbiamo oggi, di mettere a punto uno spettro di analisi critica che solleciti e aiuti il nascere di quella soggettività sociale e politica che oggi manca. Questo è il punto. Probabilmente esulava dagli obiettivi di questo lavoro. Però, rimane un nodo di fondo su cui sarebbe stato interessante sviluppare il ragionamento di Capelli e che comunque rimane tema aperto di confronto: sulle spalle di chi poggiare uno sforzo così grande come quello che lui delinea? Per me questo è tema decisivo, perché è questo il terreno su cui oramai si avverte la maggiore difficoltà. Intanto, penso che l’affermazione dello spettro di visioni e di narrazioni nuove proposte si possa presentare solo come risultato non tanto di un armonico sviluppo ideale ma primariamente di una tensione, di un conflitto che naturalmente non potrà ripercorrere le strade e vedere i protagonisti del passato, ma, appunto, con quali volti e attraverso quali percorsi esso si può sostanziare oggi? E devo anche dire che pur vedendo le trasformazioni profonde del lavoro, la scomposizione intervenuta in quella che era la classe operaia, penso sia difficile immaginare una ripresa di soggettività critica che non muova anche da questo mondo. Il tema del conflitto quindi come dato centrale che conduce direttamente a quello della necessaria soggettività politica capace di fare oggi, in modo affatto nuovo, quel che in altra fase della storia del movimento operaio e della vita della Repubblica hanno fatto altri partiti e altri sindacati. Su questo sarebbe interessante sapere come la pensa Capelli. Perché poi questo conduce direttamente al tema del nuovo umanesimo con cui l’autore identifica sinteticamente il cuore della nuova narrazione. E assume questa definizione non senza aver lasciato aperto, secondo me giustamente, l’interrogativo affidato alle generazioni più giovani protagoniste potenziali di uno sforzo del genere, sul se invece non si possa usare quello di umanesimo socialista. Qual’è la sostanza, per come la capisco io, di nuovo umanesimo? Io la intendo come indicazione del punto limite raggiunto dallo sviluppo capitalistico che oramai, per riproporsi, esaurite tutte le aree di espansione – geografica, fisica, vivente umano e non – si vede costretto, incurante, a distruggere le basi stesse della convivenza e della vita. E in questo, non è solo una classe ad essere in causa, ma è l’umanità in quanto tale, ad essere messa in discussione. Se lo pensiamo così, nuovo umanesimo non elude il tema del conflitto ma lo assume e lo indica al livello più alto possibile. E in qualche modo fa propria quella preoccupazione che Mario Tronti ha bene espresso nei confronti dell’uso del termine, in postfazione all’ultimo libro di Stefano Fassina : Il mestiere della sinistra. Castelvecchi 2022 . Fassina assume anch’egli il temine nuovo umanesimo come indicativo di un nuovo paradigma di analisi e politico a cui Tronti obietta : ” Capisco le buone intenzioni di dire ‘umanesimo’, di dire ‘fratelli tutti’, di dire ‘salvezza del pianeta’. Ma quando guardo alla crude realtà delle cose come stanno e cioè a quello squilibrio delle forze tra il sopra e il sotto di questa società, quelle parole mi tornano insufficienti proprio ai bisogni del conflitto di classe in forme nuove, di cui qui si sta parlando. Qual è il problema? E’ che a quelle espressioni nessuno si sente di dire di no. La metto giù cruda. Quando una parola va bene a tutti, non va bene per rovesciare il tutto. E allora, chi ha più forza la usa per i propri interessi. E oggi ha più forza chi comandai l mondo“. Conveniamo? Ecco allora una discussione che sarebbe interessante proseguire.
Gianfranco Nappi