RIFLESSIONI NON RICHIESTE SULLA CANDIDATURA DI GIANNI CUPERLO ALLA GUIDA DEL PD


Gianni Cuperlo ha deciso e concorre direttamente al confronto sulla Segreteria del PD: gli faccio i miei auguri più sinceri.
Con Gianni credo di avere condiviso solo la pur fondamentale esperienza generazionale della FGCI: eravamo insieme in quel congresso che nel 1988 segnò il passaggio dalla FGCI di Folena, e di Vendola, Giordano, Stacchini…a quella di Cuperlo appunto.
Poi, dalla scelta di Occhetto e dalla Svolta, non ci siamo ritrovati più e quella generazione politica, forse l’ultima che allora avrebbe avuto la possibilità di segnare un altro esito per la sinistra, si frantumò.
Eppure, credo, quando è capitato di discutere insieme, di presentare suoi libri, di confrontarci, non da ultimo alla nostra Berlingueriana di giugno a Napoli, lo abbiamo fatto con amicizia e voglia di comprendere il cuore di una riflessione proposta.
Faccio questa premessa per dire che non conosco antefatti e dinamiche che hanno condotto Gianni a fare questa scelta né conosco fatti trascorsi di relazione interna ai gruppi dirigenti che pure un peso hanno nel formarsi di opinioni e commenti: giudico per quel che leggo e che Gianni dice.
Per un verso trovo nella sua scelta un fatto positivo ed importante: non può che suscitare interesse il confronto e il destino di quella che è oggi la principale forza politica di argine alla destra. Solo uno sciocco potrebbe guardare con disinteresse a quel che accade da quelle parti.
Cuperlo con la sua scelta di sicuro arricchisce il confronto nel suo partito e segna una sua più alta assunzione di responsabilità che non potrà non avere conseguenze sul dopo, checchè lui pensi o ne dica oggi.
Quel che mi rimane incompreso è il tema di fondo di fronte al PD oggi.
E cioè, se la sua deriva o il pericolo di rivivere le esperienze umilianti e destrutturanti del Pasok greco o dei Socialisti francesi degli ultimi venti anni, che proprio Gianni paventa nelle sue interviste, sia legato ad un distacco dalla sua ispirazione originaria, da una rottura in quel cammino disegnato al Lingotto di cui Renzi sarebbe il principale se non unico responsabile, o se invece in quel che è oggi diventato il PD e nei rischi che corre non ci sia qualcosa di più profondo che non attiene tanto a questo o quel passaggio nella gestione o a questo o quel Segretario ( e se ne sono cambiati tanti…), ma al suo stesso nucleo fondativo di cultura politica.
E questo nucleo io non lo individuo nel fatto che si sia provato a far vivere insieme diverse culture politiche parte del farsi della democrazia nel nostro paese. Tutt’altro.
Quindi il tema non è per me, i cattolici tornino con i cattolici e i socialisti con i socialisti…Sciocchezza enorme. Non è questo il ‘peccato originale’ della nascita del PD.
No, la vera contraddizione che l’ha segnato fin dall’inizio è stata l’idea, tutta veltronian-dalemiana ( si perché poi alla fine, pur con accentuazioni diverse anche significative e al netto di un’aspra e legittima contesa per il potere,i due non mi sembra abbiano remato in direzioni diverse ), e tutta interna alla cultura della ‘terza via’ anglosassone, che il ruolo della sinistra moderna fosse quello di ‘accompagnare’ l’esplosione vitale del neocapitalismo e che lo si potesse e dovesse fare dal Governo, quanto più è possibile, in qualsiasi modo ed in qualsiasi combinazione possibile, purchè lì e da lì, al governo e dal governo.
Ricordo l’idea con cui uno come Alfredo Reichlin cercò di nutrire, non a caso insieme a Pietro Scoppola, il progetto di una Funzione nazionale: un ritorno di togliattismo e cioè, provare a prospettare in questo tempo nostro , nella crisi democratica già evidente, quel che i grandi partiti di massa seppero fare nel dopoguerra e cioè accompagnare il paese, la sua società, le sue forze migliori e popolari a diventare protagoniste della democrazia, unendo il paese, oltre i conflitti, e salvaguardandone la tenuta in un tempo di guerra ( fredda).
I fatti duramente si sono incaricati di dimostrare che non puoi aspirare ad una nuova funzione nazionale, ad un salto in una espansione democratica, in una nuova tappa della rivoluzione democratica, come si diceva a quel tempo, e quindi non tieni unito il paese, se non sottoponi a critica proprio quel neoliberismo e neocapitalismo ( dentro cui c’è tutto, dai rigurgiti nazionalistici alla guerra che torna, all’annullamento delle ragioni del lavoro; dalla accelerazione dei cambiamenti climatici sotto la spinta di uno sviluppo ossessivamente vocato alla quantità alle nostre vite sussunte in un processo estrattivo di ricchezza umana e sociale da una Rete nelle mani di non più di 4 o 5 persone. E nella assolutizzazione del potere del denaro e di una politica priva di ideali ci trovi perfino il Quatar…), che è diventato l’ingrediente del trentennio alle nostre spalle e se anzi in qualche modo ne diventi aedo e cantore.
E’ qui che salta il progetto del PD. E il partito si separa dalla società, che diventa inessenziale; si autoimprigiona nelle dinamiche di corrente; un partito che, non dimentichiamolo, arriva ad Enrico Letta dopo che il Segretario che lo precedeva aveva dichiarato di vergognarsene e se ne era andato sbattendo la porta e con tutti, compreso l’interessato, che poi hanno ripreso come se nulla fosse successo.

Ed è proprio Alfredo Reichlin con rara lucidità e sintesi a cogliere questo dato in uno dei suoi ultimi scritti: il paradosso è che diventammo liberali!
Ora, Gianni dice che vuole concorrere a condurre il PD alle origini della sua missione.
Ed è qui che non mi ritrovo.
Al di là dei nominalismi, nella sostanza, questo carattere liberale del PD è da mettere in discussione o no?

Se si, non c’è una origine a cui tornare ma c’è tutto da mettere in discussione e costruire su nuove basi.

E’ su questo terreno che si muove Gianni? E’ su questo terreno che si muove Elly Schlein pur con il franceschiniano piombo nelle ali?
Se è così, comunque vada, da fuori, faccio il tifo per loro, perché se è così c’è una semina oggi che può dar frutti utili per tutta la sinistra.
Ma se non c’è questo elemento di chiarezza, allora temo si stia consumando un’altra tappa proprio di quel che Gianni vuole evitare delle derive greco-francesi dei socialisti in Italia.
In questo caso sì allora il presidio democratico ne risulterebbe colpito e potrebbe perfino venire meno.


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5 commenti

  1. Penso che sia importante porre in discussione quel cambiamento influenzato dal laburismo inglese.Ritrovare i valori della sinistra, essere vicini al popolo e ai loro bisogni afferma Cuperlo che è importante. Credo di aver letto bene gli scritti e interpretato le intenzioni del Cuperlo.

  2. Ottima riflessione. I termini giusti della questione PD. Purtroppo penso che Cuperlo sia nella stessa traccia di chi l’ha preceduto.

  3. L’autore alla fine si pone la domanda, il PD deve essere liberale (forse voleva dire liberista) o no?
    Questo aspetto non è approfondito.

  4. Semplice, anche se non chiarissima, la domanda posta da Nappi , ma è inutile aspettare la risposta da candidati che si muovono tutti, e sottolineo tutti, sia pure con diverse accentuazioni, nella stessa logica di un aggiustamento impossibile di un liberismo sempre più feroce. La mia conclusione è che il PD, più che una occasione di rinnovamento, è ormai un ostacolo per la sinistra. Spero di sbagliarmi.

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