Bisognerebbe rompere l’inerzia di questa campagna elettorale. È una brutta inerzia nella quale si afferma come scontato un risultato che potrebbe anche non esserlo: un mese può essere un tempo sufficiente per costruire una sorpresa positiva.

Anche se il centro-sinistra ha fatto di tutto per arrivare nel modo peggiore alla sfida. Anche se i sondaggi sembrano implacabili. Anche se fino ad ora zero  messaggi forti e solo un flebile e stancante ping pong di battute e contro battute, la rinuncia a qualsiasi offensiva culturale, la più totale soggiacenza alle vulgate dominanti. 

Questo è il piano inclinato da cui bisognerebbe disincagliarsi. Occorrerebbero  la forza e il coraggio  di compiere una scelta  radicale di riorientamento del messaggio della campagna elettorale nella direzione del lavoro e del grande e maggioritario mondo sociale su cui pesano crisi e  ingiustizie sempre più insopportabili, il dissesto di scuola e sanità, gli effetti perversi dei cambiamenti climatici, il crollo della progressività del prelievo fiscale che ha determinato la situazione tale per cui è sulle spalle di chi meno ha che grava il peso di un  prelievo che invece premia  chi più ha e i furbi.

Qui davvero occorrerebbe una Bad Godesberg nei confronti dell’ortodossia liberista del trentennio nero che è seguito a quello d’oro…

Rivolgersi anche esplicitamente a quel partito della sinistra che non c’è, e che non è quello di Santoro ma quello fatto di milioni di donne e uomini sfiduciati, disillusi, stanchi di una politica a sinistra che strutturalmente si priva di ogni spinta partecipativa. Donne e uomini quasi stabilmente ormai collocati sul terreno dell’astensionismo e che così esercitano una concreta, per quanto a tratti disperata,  critica alla deriva di una democrazia sempre più finta e sempre meno democratica.         

E poi, cosa di non poco conto,  dire oggi quel che si intenda fare domani dopo il voto: l’avvio di un percorso culturale, sociale, di organizzazione e di lotta per dare a questo paese una sinistra politica degna di questo nome attraverso un grande, creativo e partecipato percorso di riforma della politica, che di affermi con il protagonismo di quell’universo – oggi frantumato e che non può incidere per quanto ci sarebbe bisogno –  associativo ed esperenziale che si muove sul terreno della solidarietà, del volontariato, del comunitarismo, delle produzioni fuori dal mercato e del consumo critico, della lotta ai poteri criminali, della vertenza sociale e territoriale, della lotta contro lo smantellamento di interi comparti produttivi. E che pone il problema di una ricerca e di una innovazione che hanno bisogno di essere socialmente orientati per contrastare il dominio dei colossi della rete che tutto sta sussumendo, vite comprese,  nella sua voracità estrattiva.                     

E’ un mondo critico diffuso, giovane, che comprende, di fronte alle sfide del COVID come quella delle migrazioni ,della guerra e dei cambiamenti climatici che le soluzioni necessarie di trovano solo al di fuori di quella visione eurocentrica che ha segnato tanta parte della esperienza della sinistra novecentesca. E che afferma davvero una visione unitaria del Mondo e del suo futuro. E all’interno della quale solo l’Europa può di nuovo avere un ruolo attivo, per lo sviluppo comune e la pace.

Un Progetto nuovo, unitario e federativo, che dia a quella  frantumazione-diversitá la forza della messa in rete, della sedimentazione di pratiche e idealità comuni.

Questo spezzerebbe l’inerzia.

Certo, se ne potrá/dovrà comunque parlare il 26 settembre.

E però è una indicazione che  qui ed ora  sarebbe utilissima. Come apertura di orizzonte nuovo-antico che incide nel presente.

Gianfranco Nappi

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