Non faccio difficoltà ad ammetterlo. Lo ripeto. Ho paura. Ci sono troppe cose che mi sembra stiano portando fino al punto di considerare come cosa ineluttabile, come cosa perfino desiderabile, una escalation militare dagli effetti inimmaginabili.

Le considerazioni che seguono hanno un valore se si parte dal dato che nessuno vuole una terza guerra mondiale nel mentre pur si corre il rischio di arrivarci.

Prima considerazione. Putin ha raggiunto i suoi obiettivi minimi: è ad un passo dal controllare interamente le due regioni di confine a Est ma comunque già ora ne occupa porzioni significative mentre la Crimea è nelle sue mani. Cosa altro può sperare? La Russia è impantanata in Ucraina, sorpresa dalla giusta e fiera resistenza di popolo oltrechè militare e, probabilmente, da una sottovalutazione della tenuta militare con dotazioni e sistemi d’arma accumulati in questi anni da parte Nato e irrobustiti in questi due mesi E comunque, a questo siamo. Putin può tutt’al più usare attacchi missilistici in profondità per colpire nel cuore l’Ucraina, altre città a cui infliggere distruzioni e morti ma non ha mezzi e possibilità di una occupazione militare del paese: se questa era una sua opzione, oggi non lo è più a fatti avvenuti. Perchè continua la guerra allora?

Seconda considerazione. L’Ucraina, la sua guerra l’ha già vinta. Ha resistito, ha bloccato i Russi. Sta pagando un prezzo altissimo. Sa però che , se riuscirà a non perdere altro di significativo, non è militarmente che potrà recuperare tutto o parte di quel che le è stato sottratto: è solo un tavolo di trattativa che potrà sancire il se e il quanto del suo sacrificio per la pace. E l’Ucraina sa che a quel tavolo avrà dalla sua il grosso della comunità internazionale con quel questo che significa. Ovviamente, lo ripeto, se non si pensa che la guerra nucleare sia un’opzione. E allora, perchè il suo governo continua a reclamare armamenti sempre più potenti che non riusciranno ad aiutarla a recuperare il territorio perduto ma solo ad incrementare i pericoli di una escalation nel mentre prolungano le sofferenze di un intero popolo?

Terza considerazione. Gli Usa hanno già vinto la loro guerra. Sono riusciti a compattare, sul breve, il fronte occidentale con la Nato, l’hanno rivitalizzata, ad essa guardano ora paesi europei che avevano scelto di rimanere fino ad ora neutrali; sono state assunte decisioni di riarmo – una svolta quella tedesca, una rottura con tutta la storia sin qui svolta dalla fine della Seconda guerra mondiale -, gli altri paesi, Italia compresa hanno fatto proprio l’aumento, per quanto diluito, al 2 % del PIL della loro spesa militare. E allora perchè a questo punto gli Usa non spingono davvero per la pace? Per fermare la violenza? Per reclamare sedi negoziali vere? E invece, i vertici Nato rilanciano con l’invio di nuove e sempre più sofisticate e potenti armi?

Putin non vuole la pace. E’ vero. Ha provocato la guerra. Sembra volere andare avanti.

Ma perchè, da tutti gli altri non viene una spinta per imporre la pace? Per fermare la violenza? Per effettive sedi negoziali di cui non si parla più? Forse Putin anche di fronte ad una richiesta ampia di sedi di trattativa internazionale continuerebbe per la sua strada. Ma gli risulterebbe più difficile se l’Europa, gli Usa, l’OSCE, l’ONU con determinazione reclamassero un tavolo di confronto negoziale. Una pressione del genere, sostenuta anche da una mobilitazione popolare sposterebbe orientamenti in modo positivo. Perfino per la Cina sarebbe più difficile non mettere in campo una nuova determinazione nel reclamare lo stop alla guerra al suo alleato russo.

Finalmente, ieri, il Presidente Mattarella ha fatto riferimento al bisogno di individuare sedi per la pace e ha ricostruito l’esperienza dei primi accordi per la sicurezza tra Usa, Russia ed Europa di Helsinki del 1975: questo è lo spirito giusto da invocare.

Sto girando per presentare questo mio lavoro su Enrico Berlinguer e quando vai a questi nodi e a questi passaggi, ne discuti, emerge tutta intatta la visione di quei suoi pensieri, la loro forza – oggi il Manifesto ripubblica ad esempio il discorso dell’Eliseo, fondativo di una nuova visione dello sviluppo – fino al movimento per la pace degli anni ’80 che fu la spinta decisiva per giungere agli accordi di Ginevra del 1987 che dopo la crisi gravissima nel cuore dell’Europa sugli Euromissili, portò all’accordo sul disarmo nucleare più importante.

Dalle cose che dicono Americani e Inglesi, invece è evidente che si sta facendo strada, giorno dopo giorno, un’altra idea, che davvero spaventa: dare un colpo alla Russia. Quindi tenere viva la ferita ucraina per inchiodare la Russia, farle pagare un prezzo sempre più alto, fare sì che esca pesantemente ridimensionata nella scala geopolitica globale, diminuita, piegata. E, badate, fare tutto questo, usando la resistenza ucraina in questa sorta di guerra per procura: tanto, sono loro che muoiono sotto le bombe e nelle atrocità della guerra.

E’ da questa volontà sempre meno inconfessata e sempre più manifesta di regolare i conti che derivano pericoli enormi per una escalation militare fuori controllo. O esagero? Temo di no.

Se in un confronto internazionale nessuno parla di negoziati, di trattative, di sedi per costruire la pace, di dialogo e si parla solo di ancor più armi, ancor più guerra….cosa ne può venire fuori?

Ecco la paura per un avvitamento ad un passo dalla incontrollabilità della situazione.

E’ grave l’indirizzo emerso dall’ultima riunione della Nato: un salto di qualità nell’invio di armi, della loro potenza offensiva, della loro quantità a cui tutti i paesi, Italia compresa si accingono a concorrere.

Continuo a ritenere che fosse giusta la posizione espressa da Maurizio Landini alla prima manifestazione di Piazza San Giovanni dello scorso 20 marzo di contrarietà all’invio delle armi. Ma ora, lo dico a chi invece l’ha pensata diversamente, se ha un senso quel che abbiamo sin qui detto, cosa giustifica invece questo salto di qualità annunciato e sbandierato? Per l’Italia, addirittura senza alcun passaggio parlamentare e con l’evidente messa tra parentesi, fatto già accaduto ma ancor più grave nel momento in cui lo si reitera, dell’articolo 11 della Costituzione?

E l’Europa? E l’Italia appunto? Non sarebbe il loro interesse primario, di fronte a tanta irresponsabilità, di fronte alla arroganza inaccettabile di una invasione militare e di fronte a questo emergente volontà di regolare i conti tra superpotenze con la forza sul suolo europeo animarla questa spinta? Incarnarla? Farla crescere? Renderla percepibile fino in fondo verso tutti? E perchè invece tutto questo non c’è o non si vede?

Attenzione, questa guerra e le scelte dei governanti europei, stanno spazzando via proprio un ruolo dell’Europa.

La guerra non lascerà nulla al proprio posto : quante volte lo stiamo dicendo in questi anni di fine delle illusioni del finanzcapitalismo globale? La crisi del 2007-2008; i cambiamenti climatici, la pandemia…e ora la guerra. Non siamo di fronte ad un semplice crisi: si avverte il senso di un precipitare. Ed ora la guerra appunto non solo distoglie dalle priorità di ricerca delle soluzioni comuni sui più grandi problemi aperti per l’umanità, ma determina un arretramento generale che sarà difficile rimontare.

E dentro questo arretramento c’è lo sbocco delle logiche imperiali dal punto di vista economico che sfociano, la storia quante volte ce l’ha già detto? Ma si sa, orami la storia per noi è cancellata….: la competizione esasperata sul piano delle relazioni economiche internazionali alimenta la competizione tra Stati, tra Superpotenze: oggi è la Russia in campo. Forse che un rincrudimento delle relazioni, da entrambe le parti, tra Usa e Cina non è già all’ordine del giorno?

Vedete il bisogno vitale di un altro punto di vista agente? Questo è quel che manca intanto in Italia. E’ solo dalla capacità di un altro, di altri punti di vista, di altre impostazioni e logiche per affrontare i problemi, e qui davvero il pacifismo, l’impegno per una idea nuova di relazioni internazionali e di sicurezza comune, fino alla crescita di visioni forti di sviluppo comune sono decisivi, contro il bombardamento che ricevono ogni giorno dal sistema mediatico dominante : cosa abbiamo detto solo pochi giorni fa nella pandemia? Solo insieme ce la facciamo. Forse l’abbiamo dimenticato, ma rimane la sola strada per uscirne e guadagnare un altro orizzonte di sicurezza per tutti .

E allora servono atti, gesti, scelte, iniziative che rompano questa cappa nella quale siamo artatamente immersi.

Segnali di controtendenza. Tracce di discorso altro da far crescere e sviluppare.

La Cina ad esempio. E’ vitale che non si saldi con la Russia, o no? E allora perchè non alimentarlo il dialogo con loro? E’ vero che sono in difficoltà con il coronavirus e le sue nuove varianti, che il loro vaccino sembra meno efficace, che addirittura Shanghai va verso la chiusura totale? E allora, perchè, nei modi più giusti e rispettosi verso quel paese, non si sviluppa una iniziativa che renda disponibili per loro i risultati della nostra ricerca, perfino i nostri vaccini se sono più efficaci? Dialogo, fiducia reciproca.

E verso l’Africa, non è la stessa cosa? Stiamo facendo le messe scalze per piatire gas e petrolio da Algeria, Congo, Monzambico…Africa, quel continente di cui stiamo respingendo i migranti e al quale abbiamo rifiutato perfino la moratoria sui diritti sui vaccini. E allora, anche qui, dialogo, fiducia : perchè, come nel primo caso, anche unilateralmente e incondizionatamente , non destiniamo 100, 200 milioni di dosi di vaccino a quei paesi?

Dov’è che si spezza la catena della chiusura, dello scontro, del rifiuto dell’altro?

Atti, gesti, scelte concrete che diano corpo ad un’altra prospettiva.

Questo è il punto.

Chi lavora per questo in Italia? Chi spezza quella che ho definito come la solitudine di Papa Francesco?

Oltre a volontariato e associazionismo.

La politica dov’è?

Il PD, dov’è?

Si avverte tutto quanto il peso di questo vuoto politico, con un PD che invece di rappresentarla questa ansia, esigenza, prospettiva di un’altra politica, ha messo l’elmetto ancor più di tanti altri. Sulla pace e sulla guerra: non su questo o quel punto programmatico su cui puoi discutere, confrontarti….No, sul punto fondamentale della vita e della morte, diciamola così.

Io l’avverto come una enormità, che oggettivamente cambia qualcosa di profondo nel tuo interlocutore, nel suo essere, nella sua funzione. Si può far finta di niente?

E voi, cari compagni di Articolo 1, come fate a gestire questa contraddizione lacerante? Ho visto abbracci, baci al vostro congresso con Letta….bene. Ma voi che in questo momento siete il gruppo più influente a sinistra del Pd, ne condividete l’impegno governativo, pensate di passare indenni da questo terremoto senza levare una voce diversa qui, oggi, ora?

E allora qui davvero c’è bisogno di un farsi carico dell’impegno per un altro destino.

Io spero che il mondo che si è raccolto alla Perugia Assisi, che si raccoglie in mille associazioni nazionali e locali, movimenti, gruppi, laici, cattolici e di altre religioni; che produce ricerche, analisi, idee in controtendenza come la campagna di Sbilanciamoci ad esempio, o nel lavoro del CRS di Pietro Ingrao; che ritrova ne il Manifesto uno strumento di riferimento; che si raccoglie in movimenti come Friday; che potrebbe ritrovarsi nell’impegno del sindacato, della CGIL…ecco, io spero che tutto questo mondo sappia vedere lo scarto che si sta producendo, il salto di qualità, lo slittamento a cui stiamo andando e produca una risposta che dia fiducia a tanti, che allarghi la mobilitazione, che sviluppi tutte le connessioni possibili a livello internazionale, in Europa e oltre. Enrico Berlinguer parlava del bisogno di una diplomazia dei popoli. Ecco, questo è esattamente il tempo di questo bisogno. Per dare spazio a quella diplomazia degli stati che è tutta da ricostruire.

E allora, intanto, venga da questo mondo l’idea di un appuntamento nuovo, grande, larghissimo a Roma, per levarla alta questa voce. Ora.

Gianfranco Nappi

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