“Quando finisce un mondo vecchio prima che nasca uno nuovo nel mezzo nascono i mostri”
Ho riportato, a memoria, e quindi mi perdonerete, una citazione di Gramsci a proposito della politica degli anni”20 del secolo scorso, mi sembra non solo profetica per i suoi tempi, ma attuale per l’oggi.
Siamo attraversando una soglia drammatica, quella che ci può portare a un conflitto mondiale in cui la Federazione Russa e la Repubblica Ucraina sono gli attori principali, gli Usa, il Regno Unito, la Cina, la Turchia, la Nato e l’UE sono i coprotagonisti, mentre “attori comparse”, sono le Donne, i Bambini, gli Uomini della Siria, del Maghreb, del’ Afghanistan, dell’ Iraq, del Kurdistan, che sono stati vittime delle politiche degli attori principali e usati come merce di scambio assieme alle migliaia di migranti sepolti nel Mediterraneo e che non hanno voce in questo scenario ma ne pagano tutte le crudeltà.
Al di qua della soglia ci siamo noi tutti confusi e timorosi, per lo più ci rifuggiamo nello schema dominate di “Buono contro Cattivo”, qualcuno in nostalgie sovietiche, altri guardando il videogame della guerra compulsando il proprio smartphone tra tik tok e app di ristoranti o ultimi pettegolezzi, con fastidio o assuefazione.


Siamo nel tempo di mezzo tra un mondo che non ce’ più e un futuro, ad oggi drammatico, in cui i mostri, le autocrazie di una parte dell’Est europeo, della Russia e delle repubbliche, tutte, che si sono formate dopo lo scioglimento dell’Urss, e il “moderato” neoliberismo occidentale che si pone come “bene” contro i mostri, si combattono con le stesse armi, scambiandosele addirittura in tempi “tranquilli”, ma entrambi legati alla sopravvivenza economica a scapito dell’altro blocco, esercitando entrambi un dominio egemonico sui popoli di proprio riferimento.
Oggi viviamo la guerra a due passi da noi: l’aggressore è Putin con il suo gruppo dirigente di oligarchi che hanno ridotto la Russia ad officina di diseguaglianze, di razzismo e omofobia.
L’aggredito è il popolo dell’Ucraina, su questo non ci sono dubbi!
Non vi sono dubbi che Putin e la Federazione Russa non sono gli eredi dell’Urss, e questa è la prima soglia della sinistra: nel Natale del 1991 finiva l’esperienza del “socialismo reale”, finiva il peso ideologico del Paese che aveva vinto Hitler e in nome del quale la sinistra comunista italiana e europea si inaridiva in tragiche connivenze vedi Budapest e Praga ma anche Varsavia. Si chiudeva il ciclo iniziato negli anni “20 del secolo scorso in cui socialismo e marxismo furono trasformati in politica di potere burocratico da Stalin.
Certo l’Urss ha resistito al nazismo vincendolo, ha svolto un ruolo di retrovia, molto interessato, alle lotte di liberazione dei Paesi ex colonie, ma da allora la logica del potere burocratico e militarista ha distrutto tutte le tensioni di ripresa di un discorso marxiano sulla liberazione dell’uomo.
Da quel Natale la sinistra italiana ed europea si è sentita orfana, il suo riferimento istituzionale, nel cui nome e potenza trattava con la controparte capitalista, si era disciolto lasciando solo macerie dietro di se’, si era dissolto un sistema di oligarchie di partito e statuali che aveva relegato le organizzazioni di massa, il popolo delle repubbliche socialiste, le aspirazioni dei giovani a meri soggetti esecutori della prassi sovietica di potenza concorrenziale al blocco occidentale, in cui il valore fondamentale era l’uso della ricchezza prodotta dal suo sistema per armamenti, separazione di ceti sociali mediante promozioni, diremmo clientelari, ma lì erano definite di fedeltà allo stato, assicurando il minimo sociale di assistenza e servizi ai suoi cittadini ed esercitando il controllo ideologico e culturale con strumenti inquisitori.
Da quel Natale si è andata affermando nelle società ex sovietiche un sentimento nazionalistico che ha preso derive autocratiche, autoreferenziali con innesti omofobi e integralismo religioso, governate da oligarchi (ex funzionari sovietici che si sono appropriati delle strutture che governavano), fino all’accordo con Putin di spartizione dei ruoli: a voi oligarchi mano libera, a me, Putin la ricostruzione della potenza Russa.
Non mi parve esagerata la scritta comparsa sul versante occidentale del muro di Berlino negli anni “70 del secolo scorso che così recitava: Ultima coca-cola prima di Tokio.
Non era finita la storia era finito un sistema mondiale di relazioni sociali ed economiche basate sul reciproco terrore del nucleare, basate sull’accumulazione di capitale tesa al mantenimento egemonico del proprio campo d’influenza; era finita l’esperienza politica e sociale iniziata nel 1917 che voleva liberare l’uomo dalla schiavitù del lavoro e costruire una società eguale e solidale, esperienza trasformata in logica di potenza ideologica per assicurarsi lo spazio vitale mutuando dal campo avverso forme e metodi di selezione di classe e distribuzione ineguale della ricchezza.


La sinistra italiana ed europea si è trovata nuda senza referente, ha continuato a non vedere la sua storia criticamente, ha parlato di tragici errori da cui prendere le distanze e ha cercato nuovi riferimenti tra i vincitori; ha dismesso rapidamente i suoi vessilli e ha assunto acriticamente il sistema liberal democratico come identità pervasiva.
Da allora il mondo democratico, di cui facciamo parte, ha avviato una politica di frammentazione dell’Est europeo in cui i Paesi ricchi dell’UE hanno trovato gli spazi per alleggerire il peso del welfare esportando il peso del costo del lavoro verso est e gli Usa hanno steso il loro ombrello protettivo in tutto l’est Europa.
Oggi assistiamo alla seconda guerra europea della nuova era post guerra fredda, la prima fu contro la Serbia condotta dalle socialdemocrazie europee (Blair, D’Alema in testa) per segmentare l’ex Jugoslavia e la stessa Serbia riottosa ad arrendersi; sia chiaro che anche in quel caso non c’era da parteggiare ma da svolgere una politica inclusiva mentre si preferì bombardare Belgrado, per conto terzi, che era ed è terra europea.
Seconda guerra che ha, in questo trentennio, un punto di svolta: lo scontro è una competizione tra imperi per risolvere le proprie crisi, di riformularsi come baluardi del bene contro un male assoluto, che nello scontro possono superare il terrore nucleare.
Non sono neutrale ne’ pacifista senza se e senza ma, oggi si deve condannare l’aggressione russa, si deve fermare l’odio fratricida; si deve evitare lo scontro frontale.
Occorre una forza politica di sinistra che ponga al centro i valori umani e sociali per cambiare passo allo sviluppo mondiale, una sinistra che sia autonoma culturalmente e socialmente dal dominio neoliberista, che capisca che in un mondo di mostri generati dal dissolvimento del vecchio mondo, ci vuole una politica unificante dei soggetti sociali, inclusiva nella gestione della ricchezza che il popolo produce, che assuma la libertà delle donne e degli uomini di decidere come spendere la vita e non farsela usurpare da un algoritmo o da un carro armato.
Una sinistra che trasformi il nostro campo democratico, che affronti il tema della sicurezza dei nostri confini orientali senza revanscismi “occidentali”, che sappia che alla ristrutturazione della produzione di ricchezza, si può rispondere con una critica di fondo in cui i valori siano quelli del socialismo fondato sulla liberazione dell’uomo.
Una sinistra che recuperi il senso della storia uscendo dal dogma odierno in cui vale solo il presente, se fosse stato vero questo dogma non ci sarebbe stato il Congresso di Vienna, e la seconda guerra mondiale avrebbe potuto concludersi in un modo molto tragico per l’umanità.
Insomma l’esercizio della critica alternativa al governo della propria parte rimane il sale della democrazia, questa guerra non porterà nessuna innovazione se non si trova un modo innovativo di costruirci democratici capaci di contrastare il dispotismo russo, l’oscurantismo intellettuale.


Un’ultima notazione sulla sinistra: Enrico Berlinguer adottò una visione dinamica della distensione e la riforma del comunismo. Due assi portanti della strategia di Berlinguer che miravano al superamento della Guerra Fredda e alla fine del dogmatismo dottrinario sostenuto da Mosca. I due obiettivi collimavano nell’idea di una pace definitiva che sorpassasse il sistema capitalistico.
Questa politica di Berlinguer fu elemento di disturbo sia per gli Stati Uniti sia per l’URSS. Allo stesso modo rappresentava il tentativo di scuotere il marxismo-leninismo dalle sue radici sovietiche, laddove socialismo e socialdemocrazia avevano fallito: Berlinguer prefigurava una “terza via” capace di eliminare il capitalismo e garantire la democrazia e il pluralismo. Una “via” tutta in salita, che, oltre ad essere teorizzata, necessitava di fondamenta stabili esterne al PCI. Ma il limite maggiore a queste strategie proveniva dal partito stesso. Sebbene con la segreteria di Berlinguer si innalzarono i toni dello scontro tra PCI e PCUS, lo “strappo” con Breznev si realizzò soltanto nei primi anni Ottanta nella critica all’invasione dell’Afghanistan.
Berlinguer aveva individuato la strada europea per fornire uno stabile terreno su cui innestare uno sviluppo diverso da quello divisivo perseguito nella guerra fredda e basato sul terrore nucleare.
Questa proposta di Berlinguer mi pare, oggi, ancora valida a patto di non rinchiuderla nelle rigidità della ideologia, perché la modernità non è subire il benessere voluto da altri ma costruire con le innovazioni scientifiche un futuro liberatorio: perché ciò avvenga, però, è necessario un cambiamento di pelle della sinistra che da subalterna alle scelte dominanti diventi governo consapevole, affinché il rapporto con la società non sia più univoco dall’alto verso il basso.

Massimo Anselmo

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