di Gianfranco Nappi.
Bisogna leggere l’articolo di Luigi Pandolfi su il Manifesto di oggi: Peggio che nel 2008 ci vorrebbero i coronavirus bond.
La sua riflessione tocca un nervo sensibilissimo che l’epidemia di coronavirus sta mettendo a nudo: l’occasione/necessità di una svolta rispetto alle politiche di austerità in Europa imposte negli ultimi dieci anni e passa, dopo la crisi del 2008 e che più che fronteggiarla ne hanno accentuato squilibri, storture, ingiustizie sociali.
Se, come risulta evidente, uno degli effetti della crisi sanitaria pressoché globale è un colpo all’economia che spinge al ribasso qualsiasi previsione di crescita e financo spinge diverse economie, a cominciare da quella italiana, verso territori recessivi il tema che si pone, e che andrebbe posto, non è, e non dovrebbe essere, quello di acconsentire a qualche briciola di indebitamento in più ai singoli Stati, come nel caso dell’Italia, i 7 miliardi richiesti : briciole buone per fronteggiare la prima emergenza ma assolutamente inadeguate a misurarsi con gli effetti profondi generati da un blocco quasi totale di fondamentali attività economiche e sociali.
Il tema non dovrebbe proprio essere quello della flessibilità, degli sforamenti minimi autorizzati dei tetti di deficit, di trattativa benevola tra Stati e Commissione…
Il di più a chiedersi non dovrebbe proprio rientrare nel calcolo del deficit.
Il tema da porsi è quello di una svolta nella politica a livello europeo per passare dal Quantitative Easing che nei fatti ha sostenuto Banche e circuito finanziario, con scarsissime ricadute sul terreno della vita dei cittadini europei e massimamente di quelli più esposti alla crisi, a quello che potremmo definire Direct Development Support: mettere così a disposizione del circuito sociale dei paesi più esposti oggi il di più che serve ad affrontare i primi effetti della crisi, e domani ciò che servirà per costruire le condizioni di uno shock positivo in termini di domanda pubblica, di investimenti per uno sviluppo socialmente ed ecologicamente orientato, al di fuori dei vecchi parametri sul deficit e sull’indebitamento. Risorse aggiuntive immesse nel circuito economico e sociale direttamente lì dove servono: a famiglie e imprese, al potenziamento di tutta l’armatura sociale per la salute, la formazione, le infrastrutture della vita civile che, non a caso, sono risultate le più colpite dai processi di austerità, di liberismo sfrenato, di privatizzazione.
Giustamente Pandolfi risponde alla facile obiezione: e ma così si alimenta l’inflazione…
Certo che occorre guardarsi da livelli di inflazione troppo alti, ma certo sono non meno perniciosi livelli troppo bassi o inesistenti.
La BCE aveva programmato il 2% di inflazione come necessario per una ripresa più generale dell’economia. Ne siamo abbondantemente lontani. A dimostrazione che quella politica, il Quantitative Easing, se ha fronteggiato il pericolo di un collasso dell’intero sistema creditizio e finanziario di sicuro non è stata capace di far fronte all’esigenza di una ripresa di investimenti diffusi e mirati e ad un elevamento della capacità di spesa dei settori popolari che sola può alimentare una ripresa più generale della domanda.
Bene, di grazia, se non ora, quando allora la richiesta di una svolta del genere?
E il Governo italiano? E il PD? E I Sindacati?
E’ su questi terreni che si misurerà la capacità di far fronte ad una crisi non sarà breve dal punto di vista sanitario e i cui effetti economici e sociali saranno ancora più profondi e duraturi nel tempo. Se nell’emergenza non maturano le idee fondamentali per un ordinario giusto ed equilibrato, essa in un modo o nell’altro corre il rischio di diventare essa sì, temporalmente endemica.
Interessantissimo ,come sempre nelle corde di “Infiniti mondi”ed ha il dono di essere ,senza retorica,un rinvigorente,un Diamoci da fare che è il momento giusto
Bello molto bello