di Gianfranco Nappi

MORTI SUL LAVORO

Ha detto bene il Segretario Generale della FILLEA CGIL Alessandro Genovesi, dopo l’assurda tragedia di Torino, sottolineando i tanti nodi che questa ultima vicenda evoca e tra essi uno in particolare: se non si interrompe la ‘corsa’ nei cantieri edili, gli incidenti sono destinati a ripetersi e a crescere, come sta avvenendo. Fare in fretta, questa è la regola. Non fare in fretta per superare inutili lungaggini e congerie burocratiche. No. Fare in fretta, oltre ogni elementare regola di sicurezza e, spesso, oltre ogni regola…Fare in fretta questo è l’imperativo. E alla gara per aggiudicarsi gli appalti, magari fatta per bene, secondo i crismi, poi sempre più spesso si apre quella informale per uno o due livelli di subappalto, e si corre da un cantiere all’altro, e tutto deve essere sacrificato al ‘tempo veloce’. E ogni regola diventa un impaccio. E il lavoratore, la lavoratrice diventano l’ultimo anello di una catena su cui si scaricano gli effetti di questa ‘corsa’ in termini di ritmi di lavoro, di sua condizione, di sua esposizione, fino a quella suprema, la perdita della vita.

E allora, insieme a più ispettori e più controlli è questa corsa che bisogna mettere in discussione. Il tempo ha un valore. E il tempo di una vita ha un valore: il più grande.

E questo primo accenno di queste ore alla considerazione del lavoro edile come usurante ( non ancora del tutto!) con l’accorciamento di qualche anno di contributi per poter andare in pensione è forse una delle cose che rende più evidente il bisogno di un sistema pensionistico più giusto – c’era anche questo nelle ragioni del tanto vituperato e contestato dalle classi dominanti sciopero generale . E forse davvero la morte a Torino del ventenne Filippo e dei suoi due compagni di lavoro si potrà dire che pur non sia stata vana.

Il tempo. I turni. E perchè si deve lavorare di notte in una dilatazione di uso di questo tempo molto oltre ciò che è effettivamente necessario alla società? Quale fretta lo impone? Quale corsa contro il tempo in questo tempo capitalistico estremo in cui tutto diventa competizione, concorrenza, corsa? Bisognerebbe chiederlo a Rossella Mastromartino, operaia di 36 anni che uscendo alla fine del suo turno di notte alle 6.45 nell’azienda in cui lavorava a San Nicola è stata investita da un pullman. Ed è morta.

Mi chiedo, ma non è anche in questo che si misurano gli effetti regressivi per tutta la società della perdita di peso e di potere del mondo del lavoro?

E allora, a tanti soloni di Confindustria, a tanti intellettuali pret a porter, a tanti politici detti di ‘sinistra’ ma semplicemente paghi di una funzione di amministrazione – che governo è parola già troppo impegnativa – , al tanto versar lacrime, vale la pena di rammentare questa elementare verità.

Che indica anche un possibile punto di ripartenza.

Al confine fra Bielorussia e Polonia ( da il Manifesto )

SFRUTTAMENTO DEL LAVORO AGRICOLO E ALTRE MISERIE ITALO-EUROPEE

L’inchiesta aperta a Foggia ha fatto emergere il lato signorile, in doppiopetto potremmo dire ,dello sfruttamento del lavoro nei campi. Il ‘caporale’ si trasforma in agente di lavoro, interloquisce direttamente con le imprese, le quali così trovano una comoda mediazione per ‘non vedere’, per ‘non sentire’, per ‘non sapere’. E poi, lasciamo pure stare nel caso specifico, e però più odioso, che viene coinvolto nell’indagine uno stretto familiare di un allora prefetto che ha tartassato il povero Mimmo Lucano dando origine a quella risposta politica al Modello Riace che, salendo per i rami, si è tradotta in condanna di primo grado. Una condanna grondante ingiustizia e che trova il sostegno forte dell’osannato a destra e a manca Travaglio del Fatto Quotidiano che prende qui uno dei suoi non rari abbagli.

Anche qui, c’è un generale a cui occorre risalire dal particolare. Le scene di quegli accampamenti di lavoratori sfruttati che vivono in condizioni disumane ci rendono chiaro che essi sono in Italia, come in Spagna solo per fare un altro esempio, le colonne portanti delle nostre insalatinepronteinbustadamangiare; dei nostri pomodori freschi buonituttol’anno; della nostra frutta semprefresca. Cioè sono il punto iniziale di una catena di produzione e distribuzione del ciboapocoprezzo che arriva a noi. E certo che servono più controlli, c’è una legge contro il caporalato che bisogna far funzionare, ci sono tante azioni che le istituzioni devono mettere in campo,c’è……..tanto altro da fare.

E però in primo luogo c’è da mettere a nudo questa catena che lega quello sfruttamento alla nostra tavola. Vederlo per metterlo in discussione e per spezzarlo.

E si apre un confronto su questo, oltrechè sulle facile lacrime che ciascuno di noi, dopo, versa?

Non voltare lo sguardo dall’altro lato. Non voltare lo sguardo da quelle due bambine morte a Foggia nel rogo delle baracche dem campo rom.

Stiamo costruendo una Europa fondata sul volgere lo sguardo dall’altro lato.

Ma che Europa è e sarà? Solidale al suo interno, solidale tra i forti e chiusa nei nuovi muri che sta erigendo. La Polonia parte con il suo. Lì, al confine tra Polonia e Bielorussia, nuova carne da macello umana è al freddo e alla neve. Qui nel Mediterraneo si continua a morire. Come ha scritto Adriano Prosperi nel suo Un tempo senza storia, stiamo tranquilli: così come oggi riflettiamo con orrore a quel guardare da un’altra parte dell’Europa di fronte all’ascesa di Hitler, del nazifascismo e dei campi di sterminio, tra cinquanta anni si guarderà con orrore a questo nostro voltare lo sguardo da un altro lato di fronte alla sofferenze procurata delle migrazioni. Ancora più grave perchè oggi, a cdifder4enza di allora, noi sappiamo, tutto, in tempo reale.

Oggi portiamo ancora dentro di noi il peso di quell’orrore del passato sprigionato nella civilissima Europa. Ma non stiamo ponendo le basi di un nuovo peso che nasce ancora nella civilissima Europa?

Lo scatto che l’Europa ha avuto nel contrasto alla Pandemia, la solidarietà che si è mossa al suo interno, l’avere acceduto per la prima volta con il Next Generation Eu ad un debito comune e aver finalizzato gli interventi in modo deciso in direzione dei cambiamenti climatici ha acceso una luce. Ed essa rimane. Indica una possibilità aperta, su cui lavorare. Un sentiero da allargare.

E però poi viene contraddetta dalla gretta pratica del monopolio dei brevetti sui vaccini. Grandi interessi economici che si oppongono alla sospensione, almeno, della validità dei brevetti per organizzarne l’utilizzo e la produzione anche nelle aree del sud del mondo : e fino a quando solo il 10/15 % della popolazione mondiale sarà vaccinato, hai voglia di chiudere frontiere, le enne varianti che si svilupperanno dove il virus circola più liberamente e più liberamente colpisce, si muoveranno globalmente: eppure siamo tutti in questo momento alle prese proprio con una di queste varianti, la omicron…

E poi, l’idea della transizione ecologica si sta trasformando nell’idea insostenibile di una lotta ai cambianti climatici di carattere solo sostitutivo, l’illusione cioè che si tratti solo di sostituire alle fonti fossili quelle rinnovabili: operazione pur necessaria ma che se avviene al di fuori di un mutamento radicale di modello di sviluppo, di produzione, di consumo, di organizzazione della società, per quel che occorre fare in tempi sempre più stretti, non solo ben difficilmente raggiungerà gli obiettivi mentre nel frattempo sta fornendo nuova forza alla tragica scorciatoia del nucleare.

E poi l’Europa viene meno come funzione, ruolo globali nella incapacità di far crescere una politica estera degna di questo nome. Assiste, gigante impotente, alla crisi Bielorussa, alla crisi Ucraina-Urss balbettando.

Ecco che, anche qui ,servirebbe un’altra politica : da altre radici, da altre ambizioni, da altre visioni, fondata su un autentico protagonismo della società europea e delle sue forze migliori.

E qui ha ragione da vendere il vecchio amico Gino De Giovanni.

Biagio De Giovanni ( Foto da Il Riformista )

AUGURI PER I SUOI NOVANTA ANNI AD UN VECCHIO AMICO E COMPAGNO DA CUI DISSENTO MOLTO MA CHE SU ALCUNI NODI DI FONDO HA RAGIONE DA VENDERE

Auguri sinceri a Gino De Giovanni per i suoi 90 anni: studi, idee, passioni, impegno civile. Un esempio della migliore tradizione della cultura napoletana aperta al mondo e che sa parlare al mondo.

Biagio De Giovanni al Congresso Provinciale del PCI di Napoli nel 1972. Un altro modo per fargli gli auguri.

Io non penso come lui su tante cose. Ad esempio non penso che con il Novecento si sia esaurito anche il tempo della ricerca di nuovi orizzonti e di nuove grandi narrazioni sostenute da solide analisi, da rinnovati ancoraggi sociali e da forte tensione ideale. Anzi, ritengo che proprio nell’aver introiettato – a ridosso del mutamento storico dell’89 e della rivoluzione neocapitalistica nella quale siamo immersi – l’idea della fine della possibilità di una critica radicale ha concorso a condurci nella situazione di oggi quando c’è una umanità che si ritrova nella condizione in cui è più facile per essa immaginare la fine del pianeta piuttosto che il superamento del capitalismo reale che la sta determinando. Ed è in questa ‘mancanza’ che si sono generate da una lato una potenza senza ostacoli per gli istinti animali del capitale e, dall’altro, si è impoverita e immeschinita la politica a pura tecnica di potere separato dalla società.

E so bene, e qui viene la lezione di Biagio nella sua profondità, che serve una nuova cultura politica.

E però non si contrasta lo strapotere della finanza globale e non si restituisce dignità e altezza alla politica senza misurarsi con questo nodo: e qui davvero sarebbe interessante farla questa discussione con Gino.

E però, come si fa a non essere d’accordo con lui come quando, solo un paio di settimane fa su il Riformista, rtiflette sul bisogno di un pensiero europeo e scrive:

Ma l’Occidente, e soprattutto l’Europa, se non vuol morire come civiltà del conflitto da cui nasce la politica -primo maestro Machiavelli– può costruire solo al proprio livello unitario risposte capaci del necessario compromesso. Solo l’Europa può trattare con il capitalismo globale e le sue prepotenze. La sinistra, non sorretta da movimenti di classe che non ci sono più, deve rinascere da una volontà seria e operosa di unità politica europea, capace di contribuire a creare, con le necessarie alleanze, la cultura di un riformismo occidentale. Finalmente pensabile, se si costruisce la passerella giusta e collaborativa fra la dimensione nazionale e quella sovranazionale, attualissima per l’incalzare di problemi globali e per difendersi dall’invadenza delle democrazie dispotiche e delle loro prepotenze geo-politiche.

E’ così. Un nuovo pensiero critico e una nuova lotta per mettere in discussione gli attuali equilbri che non sono una condanna della natura ma il risultato di determinate condizioni storiche al cambiamento delle quali può certo dimostrarsi di nuovo possibile ciò che oggi sembra perfino inimmaginabile, e cioè una riespansione profonda della democrazia e del potere verso il basso, ecco tutto questo lo si può concepire solo quanto meno su una scala europea: e quanto lontani siamo tutti dalla assunzione di questa verità.

E AUGURI AL CILE

La mia è stata una delle generazioni su cui le vicende del Cile, dagli inizi degli anni ’70, hanno avuto un ruolo di primo piano. Con il golpe di Pinochet, il martirio di Salvador Allende, la dittatura e le stragi abbiamo imparato ad amare il popolo cileno, ne abbiamo cantato le canzoni, ne abbiamo amato la letteratura, la poesia. Addirittura Enrico Berlinguer trasse da quei fatti lezioni per la politica italiana. E oggi siamo felici per questo risultato, per la vittoria di Boric candidato progressista e dalle idee forti. La sua vittoria da’ l’esatta dimensione della sua importanza di fronte ad un candidato di destra estrema e anche della spaccatura profonda che rimane in quel Paese.

Dall’America Latina viene così un nuovo importante messaggio di fiducia, di possibilità. Toccherà anche a noi, qui, in Europa, sostenere tutti questi tentativi concreti di aprire nuove prospettive di democrazia, di aiutarne il consolidamento, di non voltare lo sguardo dall’altro lato.

Per oggi, allora, AUGURI AL CILE E VIVA IL CILE può bastare.

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Foto di apertura da CGIL

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