Ieri sera ero con Gianfranco Nappi sotto il palco di piazza del Gesù Nuovo, al comizio con cui Antonio Bassolino ha chiuso una delle più belle e appassionanti campagne elettorali degli ultimi 15-20 anni e cercavo dentro di me un segno, una parola che mi aiutasse a mettere a fuoco quello che io, e almeno un altro migliaio di persone, stavamo vivendo in quel momento, in quella piazza. Mi sono girato e ho incrociato lo sguardo di Biagio de Giovanni, il filosofo ormai novantenne che aveva voluto esserci e la sua presenza, se non il segno, mi ha aiutato a trovare il senso. Perché, per dirla con la filosofia appunto, ci sono eventi, frammenti del divenire che, da soli, possono rappresentare la sintesi di un momento storico, facendosi storia durante il loro compiersi tumultuoso.
Poi, all’improvviso, oltre il senso mi è arrivato anche il segno. La parola. Anzi, le parole per dirlo. Me le ha date in prestito, grazie a un’improvvisa reminiscenza letteraria, un libro, “Mistero Napoletano”, letto circa un quarto di secolo fa. E’ quella pagina del suo indiscusso capolavoro in cui Ermanno Rea racconta la serata del 6 dicembre 1993, quando al Comitato elettorale “a un passo da piazza San Domenico Maggiore” (come ieri), arriva l’ufficialità: battendo al ballottaggio Alessandra Mussolini, Antonio Bassolino è stato eletto, con il 56% dei voti, sindaco di Napoli. Faccio parlare Rea, allora:

Ci sono eventi che, al di là del loro spessore, hanno forza di simbolo, una capacità di rappresentazione che li trascende e quasi li annulla. A me stanotte è sembrato che non fosse stato semplicemente eletto un sindaco, ma che fosse stato rimesso in moto il Processo, il gioco dei flussi vitali, belli o brutti che potranno poi essere giudicati. Io stanotte ho sentito il rumore degli orologi, il fiato della storia disseppellita, il tonfo nella fossa della Grande Necessità di cui Napoli soprattutto è rimasta prigioniera senza nulla poter fare per se stessa. Sono andato via dalla sede del comitato elettorale che era l’una di notte. In piazza San Domenico Maggiore c’era una grande ressa: una ragazza piangeva senza ritegno, tanto che non sembrava neppure un pianto di gioia. Soltanto passione politica? Me lo sono chiesto, e mi sono risposto di no. Mi sono detto che, forse, quella ragazza, stava scoprendo in quell’istante un’emozione nuova, quella della speranza come bene collettivo, sociale, oltre che individuale. Me non sono andato quando gli amici hanno cominciato a canzonarla e io mi sono sentito come rassicurato”.
Quando mi sono girato, il comizio di Antonio era finito sulle note di “I say ‘i sto ‘cca” di Pino Daniele, e sia Nappi che de Giovanni se n’erano andati, forse per tenersi stretta l’emozione e non sciuparne nemmeno un pezzetto. Sono rimasto solo nella piazza ancora gremita di gente che non voleva andare via, e mi sono sentito come la ragazza di piazza San Domenico Maggiore di 28 anni fa. Perché, qualsiasi sarà l’esito di queste amministrative questa campagna elettorale, tutta riassumibile e riassunta nel comizio di ieri sera, ha già creato un prima e un dopo. Bassolino ha ricaricato l’orologio della Storia, ch’era quello di cui Napoli, i napoletani, ma forse più in generale i cittadini della Campania, avevano bisogno. L’ineluttabile prende sempre forme strane.

E tutto quello che verrà a partire da domani non potrà non fare i conti con questa grande, inaspettata speranza risorta.

Massimiliano Amato


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