Una cartina d tornasole per cogliere la difficoltà a darsi una spiegazione di quanto sta accadendo in Afghanistan e intorno ad esso rimanendo entro gli schemi di analisi prevalenti e consolidati è dimostrata dalle analisi di alcuni grandi organi di stampa italiani. Primo tra tutti il Corriere della Sera. Domenica scorsa nel suo editoriale di prima Angelo Panebianco si è eretto, evidente riflesso condizionato di un passato duro a morire, a polemica frontale con l’antiamericanismo che a suo dire sembra prevalere nei commenti più diffusi: tutti o quasi critici con la politica degli Stati Uniti. Per Panebianco come ai tempi del mondo diviso in blocchi, è lesa maestà elevare sopra un certa soglia la critica agli amici americani. E così, si lancia in una vera e propria filippica : “…Perchè mentre fioccano i commenti liquidatori della guerra in Afghanistan nel suo insieme è importante ricordare, oltre agli errori, anche quanto di buono era stato comunque fatto? Perchè è evidente da molti segnali che quelli fra noi che l’hanno sempre detestata, si apprestano a istituire un “grande processo” contro la società occidentale, i suoi principi e le sue realizzazioni…”.

Per Panebianco , senza giri di parole, l’antiamericanismo è sintomo diretto di rigetto e opposizione alla liberaldemocrazia e ai suoi principi che hanno fatto grande l’Occidente…

Davvero impressionante bisogna dire. Quello che questo tipo di analisi non riescono proprio a cogliere è la crisi di tutto una visione del mondo, quella occidentale e liberaldemocratica appunto che non è più in grado di prospettare un orizzonte di progresso inclusivo. E la sua crisi non nasce da un complotto esterno nè l’attacco del fondamentalismo, che mai potrà e dovrà essere sottovalutato e sempre andrà contrastato, ne è la componente fondamentale. La crisi dell’Occidente nasce dal modo stesso in cui nell’ultimo trentennio ha lanciato una corsa libera di mercato e finanza che ha ridisegnato la mappa del mondo e ha minato alla radice quelle stesse istituzioni liberaldemocratiche di cui avrebbe dovuto essere paladino e alfiere nel mondo. E’ dallo sconquasso prodotto dal prevalere di mercato estremo sottoposto ad una finanziarizzazione altrettanto estrema che è nato lo svuotamento delle istituzioni liberaldemocratiche. Ed è da quello sconquasso che nazionalismo da un lato, con il condimento di tutti i populismi di accompagno possibile, e fondamentalismi esasperati dall’altro, uniti a derive in diversi casi terroristiche, che nasce la crisi di cui la vicenda dell’Afghanistan ci parla in modo drammatico in queste ore.

Ma di tutto questo non vi è alcuna traccia nella riflessione di Panebianco. Potremmo suggerire allora la lettura, sempre domenica, sempre sul Corriere, nel supplemento culturale però, la Lettura ( perchè poi il Corriere è anche questo, a onor del vero…), dove ritroviamo una interessante intervista a Ayad Akhtar, statunitense figlio di immigrati pakistani, vincitore del Premio Pulitzer nel 2013 con un lavoro teatrale sul rapporto tra Oriente e Occidente : ” L’ironia atroce è che quest’anno ricorrono i vent’anni dell’11 settembre e lo scopo principale per cui abbiamo invaso l’Afghanistan s’è rivelato un fallimento. Abbiamo fatto n modo che si verificasse ciò a cui ci opponevamo, ovvero che i talebani riprendessero il controllo del Paese. Possiamo prendercela solo con noi stessi“.

Nel frattempo, tra vertici e colloqui internazionali, date invalicabili e tensione umanitaria che cresce sempre di più lo spettacolo degli Stati più importanti della terra fa impressione. Ed anno proprio ragione gli amici de il Manifesto: siamo di fronte alle Grandi impotenze. E…ho detto tutto!

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