“Le Sindache d’Italia” racconta attraverso la ricostruzione delle esperienze amministrative delle Sindache la storia del nostro Paese dalla fine del fascismo e dall’avvento dello Stato democratico fino ai giorni nostri. Una pagina importante e fondante, la quale tuttavia è spesso taciuta o raccontata in tono minore; essa invece ha contribuito, fin dai primordi, a segnare le tappe fondamentali per l’affermazione della democrazia e la costruzione dello Stato italiano moderno. Questo percorso si è formato gradualmente, anche e soprattutto nelle coscienze delle italiane e degli italiani; le donne hanno giocato un ruolo di primordine mostrando di essere pienamente titolari dei diritti che avevano conquistato sul campo e che si apprestavano ad esercitare con coraggio, capacità, tenacia e intelligenza. Il coinvolgimento delle donne nella Resistenza aveva messo in chiaro l’essenzialità del loro apporto nella conduzione della lotta di liberazione dal fascismo che negava, prima di tutto e in particolare a loro, ogni forma di riconoscimento e di diritti (1) . Già nel corso dei due conflitti bellici, quando gli uomini erano impegnati al fronte, le donne avevano iniziato ad assumere un ruolo centrale non solo nella gestione dell’economia domestica, ma anche in quella degli affari di famiglia facendo fronte alle drammatiche esigenze che la guerra, la carestia, il disagio e tutte le difficoltà connesse avevano lasciato. Fu, quello “dell’amministrazione”, un terreno di sperimentazione straordinario in cui molte delle donne coinvolte in prima persona dimostrarono di possedere capacità fino a quel momento sopite; al contempo poterono acquisire delle nuove competenze che poi spesero in tutti gli ambiti della vita, non solo privata. E’ in quei momenti che si posero le basi per una diversa concezione delle donne dentro una società in cambiamento, che si preparava ad accogliere il loro ingresso nel mondo pubblico e nelle istituzioni e a trasformarne il volto. Durante la Resistenza ed in una modalità del tutto inedita le donne italiane riuscirono ad acquisire un protagonismo che darà loro la forza di rivendicare un ruolo pubblico nella ricostruzione di un Paese da ripensare dalle fondamenta e stabilire i principi che lo avrebbero fatto funzionare a favore dei nuovi cittadini e cittadine. E’ nella lotta per la liberazione che le donne si impegnarono su vari fronti: «nello scontro armato, nel lavoro di informazione, approvvigionamento e collegamento, nella stampa e propaganda, nel trasporto di armi e munizioni, nell’organizzazione sanitaria e ospedaliera, nel Soccorso rosso, … nei Gruppi di difesa ella donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà» (2) . Provenienti da tutte le fasce sociali o esercitanti professioni diverse, giovani e anziane, del sud e del nord, del centro o delle isole, accomunate da una grande e profonda fede antifascista, le donne furono accanto agli uomini e in prima linea nella guerra di liberazione, diventando un corpo imprescindibile della Resistenza. Furono trentacinquemila quelle che si impegnano senza risparmiarsi ottenendo risultati significativi sia politicamente che militarmente.
Queste donne, pur dimostrando ancora un forte attaccamento alla vita familiare, aprirono una nuova prospettiva che le farà irrompere nella scena pubblica senza chiedere il permesso e contribuendo a scrivere una delle pagine più belle ed alte della storia d’Italia, fino all’approvazione della Costituzione italiana che entrò in vigore il primo gennaio 1948.
L’Italia, culla della civiltà comunale, mediante l’affermazione delle identità e delle autonomie delle Città e dei Comuni, ha realizzato le più profonde trasformazioni sociali; dentro i centri urbani infatti si andavano sviluppando le attività commerciali, e cresceva la nuova classe della borghesia, anche come forma di emancipazione dalla soggezione feudale. Nel nostro Paese lo sviluppo del mondo comunale si è affermato molto precocemente rispetto a quanto accadde altrove, proprio per l’esistenza di antiche radici urbane risalenti all’epoca romana che hanno contribuito a conferire all’attività amministrativa un ruolo preminente. Il fascismo ha cercato di cancellare l’autonomia dei Comuni, vedendo in quel fenomeno una delle più grandi minacce al proprio regime dispotico e centralista. La Costituzione ha fatto del riconoscimento del valore delle autonomie locali un proprio fondamento anche come antidoto al ritorno di regimi autoritari.
Nel periodo post-bellico si è quindi generato un contesto storico di grandi trasformazioni dentro il quale proprio le donne esprimono al meglio la loro visione innovativa e mettono al servizio della causa comune, a partire dalla dimensione locale, un entusiasmo che non si stacca mai dall’analisi della realtà e dei bisogni essenziali degli esseri umani perché abituate a vederli, sentirli, conoscerli e curarli.
“Le donne del ‘46” sono le donne italiane del dopoguerra che esercitano per la prima volta nella nascente democrazia (3) il diritto di voto, attivo e passivo, nel corso delle elezioni amministrative del 1946 (4) . In quella tornata si registrò l’affluenza alle urne fu tra le più esemplari raggiungendo l’89% del totale degli aventi diritto di voto (5). Le donne candidate in questa occasione furono circa duemila e molte di loro vennero elette nei Consigli comunali, alcune delle quali, dieci in tutto, anche nella funzione di Sindache (6) . La legge elettorale che venne approvata con il decreto legislativo luogotenenziale n° 1 del 1946 (7) stabilì due diversi sistemi a seconda del numero degli abitanti dei Comuni: per quelli sopra i trentamila abitanti si votò con un sistema proporzionale, mentre per i restanti Comuni si scelse un sistema maggioritario plurinominale con voto limitato ai quattro quinti dei seggi (8) .

Stante l’importanza del momento e il valore anche simbolico che quell’appuntamento richiamava, la mobilitazione da parte dei partiti di massa, a partire dal Partito Comunista Italiano e dalla Democrazia Cristiana, fu massiva e capillare. Il tema centrale era prima di tutto la chiamata al voto di una popolazione spesso incolta, che fece mettere in atto una campagna di sensibilizzazione di un’Italia semi distrutta in cui la più parte delle persone viveva in condizioni di precarietà e in cui l’analfabetismo era diffuso, la povertà lasciata dalla guerra molto evidente e la coscienza civile era tutta da costruire e risvegliare. La propaganda politica si sviluppò in particolare mediante l’organizzazione di incontri pubblici nei vari centri urbani e rurali, la diffusione di materiale informativo che utilizzava un linguaggio semplice e comprensibile ai più che dovevano acquisire la consapevolezza della solennità e dell’importanza del diritto appena acquisito (9) . Tutto questo consentì un’importante opera di alfabetizzazione che sollecitò e portò alle urne un numero considerevole di persone di tutte le fasce sociale; fu un grande momento collettivo che dimostrò la comprensione del valore del suffragio universale: ciascuna e ciascuno di loro poteva finalmente contribuire con il proprio voto alla scelta dei propri rappresentanti nelle Istituzioni. Questo lavoro produsse anche il benefico e virtuoso risultato di alzare il livello di cultura e di conoscenza della popolazione, un efficace mezzo di “acculturazione sociale e politica”, come ricorda Luca Ridolfi (10) , in cui giocarono un ruolo di primordine le donne dell’associazionismo di matrice laica e cattolica dell’UDI e del CIF (11) . Le donne per la loro capacità di essere dentro la società e le famiglie, insostituibili conoscitrici delle realtà locali, furono le principali interpreti degli umori che dentro la comunità si agitavano e furono le principali attiviste in questo difficile processo non solo di emancipazione delle donne, ma dell’intera società. Un momento anche di fondazione delle istituzioni democratiche ai vari livelli, di cui le amministrazioni locali costituivano il fondamento. Quel lavoro immenso ebbe importanti risultati perché la partecipazione al voto fu, benché differenziata da regione a regione, considerevole. Nei Comuni settentrionali andò a votare l’85,4% degli aventi diritto; con una percentuale appena più bassa nel centro Italia votò l’82,8% delle italiane e degli italiani con diritto di voto; meno virtuoso il sud Italia con il 78%, mentre nelle Isole si registrò la percentuale più bassa, pur considerevole, raggiungendo il 73,3% . Il sentimento di fare parte di un processo storico dalla portata unica era stato molto sentito dal giovane popolo italiano che accorse in maniera massiccia a questo appuntamento democratico grazie anche all’incessante lavoro, come ricordato, dei partiti politici. Furono in prevalenza gli uomini a recarsi alle urne, tranne che nel Sud Italia in cui le donne che espressero il voto furono il 78,5% contro una percentuale del 77,4% degli uomini (12) , con una tendenza inversa a quella che nazionale. Sono dieci le donne elette Sindache nella tornata elettorale del 10 novembre 1946 che, pur provenendo da realtà territoriali molto diverse, hanno tratti e sensibilità comuni, benchè espressione di forze politiche anche opposte: Ninetta Bartoli, Elsa Daminai, Margherita Sanna, Ottavia Fontana, Elena Tosetti, Ada Natali, Caterina Tufarelli Palumbo Pisani, Anna Montironi, Alda Arisi, Lydia Toraldo Serra. Sono donne che sentono un profondo sentimento antifascista, alcune anche perché hanno direttamente partecipato alla lotta di Liberazione. Si sono formate nelle università e nelle scuole, spesso espressione di una fascia sociale alta, ma capace di mettersi al servizio della cittadinanza che amministrano anche degli ultimi. Le prime Sindache, ciascuna a modo proprio, hanno modificato e migliorato le condizioni essenziali di vita delle cittadine e dei cittadini della propria comunità mettendo in atto, sin da subito, politiche di sviluppo di servizi primari, educativi e sociali che realizzano un nuovo modo di vivere nei centri urbani. La Bartoli, ad esempio si contraddistinse perché lavorò subito sulla costruzione di un piano urbanistico della città, anche donando dei propri terreni, che mirava al recupero di beni architettonici in cui realizzare attività di formazione in particolare per le donne; viene ricordata per il grande rigore morale che non mise mai da parte nel corso dei dodici anni di mandato da Sindaca. La Sanna, eletta sindaca di Oruni in provincia di Nuoro, era figlia di pastori, ma conseguì il diploma magistrale diventando un’insegnante dopo essere stata preferita ad un uomo, e nonostante avesse vinto un concorso per lavorare in Banca si dedicò all’alfabetizzazione ed educazione della sua gente. Venne anche arrestata ingiustamente da parte del governo fascista per le sue idee di rendere le donne libere ed emancipate, ma ciò non servì a distrarla, divenuta Sindaca, dalla sua missione di educatrice. Lydia Toraldo Serra, prima sindaca di Tropea, fu anche la prima calabrese ad essere laureata in giurisprudenza con una tesi sul voto alle donne; fu straordinaria nel dare sostegno ai suoi concittadini che pativano la fame anche per le condizioni particolari in cui si trovava quella regione ed i paesi di montagna, lontani da tutto e senza vie di comunicazione che rendevano impossibile l’approvvigionamento anche del cibo. Ella non si dette per vinta e riuscì a far dirottare una nave americana che portò cibo ai cittadini togliendoli dalla fame; si concentrò anche sullo sviluppo del settore del turismo, già allora, perché poteva essere una chiave di volta per sollevare le sorti economiche della sua terra. Si tratta solo di alcuni richiami delle valorose azioni svolte in tutto il territorio italiano da questa nuova classe dirigente di amministratrici che avanzava e che incrociava spesso l’azione locale con quella nazionale. Donne che avevano piena consapevolezza della necessità di rimettere al centro il ruolo della donna nella società e nelle famiglie senza rinunciare a queste, della necessità di realizzare prima di tutto i servizi per le famiglie e i minorenni, di mettere in atto politiche di ricostruzione che partissero dalle fondamenta.
L’Italia delle prime Sindache, da Nord a Sud, è un Paese che ha bisogno di coraggio e di forza per risollevarsi dalle cicatrici che la guerra ed il fascismo hanno lasciato, con una società piena di diseguaglianze e di ingiustizie. C’era bisogno di tutto nella nascente democrazia: e i bisogni di questa società sono stati ben interpretati e affrontati con tenacia e coraggio encomiabili dalle amministratici. Si trattava di problemi di varia natura, la cui soluzione era ancora più complessa per la condizione di indigenza e i problemi anche finanziari che affliggevano le casse dei Comuni, affrontati da donne che, al contempo, dovevano fronteggiare una cultura ancora troppo fondata su una gerarchia di valori che metteva sempre davanti gli uomini soprattutto nel contesto politico e delle Istituzioni.

Molto è cambiato da allora ad oggi e tuttavia c’è ancora un tratto di strada da percorrere per realizzare un pieno diritto di cittadinanza delle donne. Questo coraggio che abbiamo descritto non è molto dissimile da quello che si riscontra nelle donne Sindache elette negli anni successivi, anche dopo la riforma del 1993 (13) ; e occorre aggiungere purtroppo quanto le difficoltà ancora oggi per le donne nel ricoprire questa prestigiosa carica siano ancora considerevoli (14), come dimostrano i numeri. Sono troppo poche le donne Sindache e nelle ultime tornate elettorali (15) le grandi assenti sono proprio loro: tra i comuni capoluogo di provincia e quelli con una popolazione superiore a 15mila abitanti, il numero di Sindache elette è quasi inesistente: due su centosei comuni al voto! Si tratta, dal mio punto di vista, di una vera emergenza democratica.


Ripercorrendo la storia delle amministrazioni locali degli ultimi decenni sono certamente emerse delle Sindache che hanno saputo intestarsi battaglie emblematiche che partono sempre dai bisogni principali degli esseri umani. Le donne amministratrici dimostrano una forte propensione all’ascolto dal basso come faro di indirizzo della loro azione politica e amministrativa E’ una storia estremamente interessante che si lega moltissimo con il sentimento che attraversa il Paese e che ne forma la sua essenza; la lettura di questo processo è una lettura dell’Italia intera e non solo delle realtà in cui si svolge questa storia. Alcune di esse hanno indossato la fascia di Sindache dopo aver rivestito ruoli nazionali di altissima responsabilità che hanno permesso loro di poter spendere le proprie competenze a livello locale. Non possiamo certamente dimenticare il ruolo svolto dalla Sindaca Eva Catizone che nella difficile terra calabrese ha messo in atto politiche innovative sul piano urbanistico che hanno profondamente cambiato il volto della città di Cosenza. Il coraggio di costruire un museo a cielo aperto collocando preziose opere d’arte nelle vie del centro della città è stata una sfida estremamente innovativa che non era mai stata realizzata precedentemente e che abbatte le barriere culturali, sociali e anche economiche consentendo la diffusione della conoscenza senza discriminazione alcuna. Qui risiede la magia dell’azione amministrativa con la sua ineguagliabile capacità di incidere in modo diretto nella vita delle persone, e le Sindache hanno saputo farsi carico dei bisogni che la città rappresentava dando risposte nell’immediato, ma anche in prospettiva cercando di recuperare quel gap inaccettabile che ancora disegna il rapporto uomo-donna. Encomiabile il ruolo svolto da Giusy Nicolini nella straordinaria terra di Lampedusa, tappa intermedia di sbarco del fenomeno migratorio, in ci si concentrano tra le più gravi violazioni dei diritti umani mostrando anche una reticenza delle istituzioni europee ad affrontare adeguatamente questa tematica. Come pure non si può tacere il merito della Sindaca di Milano, Letizia Moratti, anche lei prima donna della città ambrosiana a ricoprire questa carica, nell’ottenere la vittoria della città di Milano come sede di Expò 2015 in un’ottica di rilancio a livello mondiale della città e dell’Italia intera. Importante sono stati gli interventi strutturali realizzati dalla Sindaca di Napoli, on. Rosa Russo Iervolino, che ha fatto approvare un nuovo piano regolatore che ha cambiato il sistema di viabilità urbana con una rete di metropolitane innovative, dopo aver rivestito cariche prestigiose sul piano della politica nazionale. Fino a giungere alle attuali Sindache in carica in città importanti, come Torino, dove la Sindaca Chiara Appendino è la prima donna ad essere eletta prima cittadina della città sabauda incentrando la sua azione sulla promozione della partecipazione dal basso ai processi decisionali. Anche la Capitale d’Italia dal 2016 viene amministrata per la prima volta da una donna, con l’elezione dell’avvocata Virginia Raggi, che si impegna in prima persona a combattere la criminalità organizzata e inizia un percorso di digitalizzazione dei servizi e rimessa in sesto delle casse comunali.


La grave crisi che ha investito il nostro Paese ed il mondo intero a causa della pandemia da Covid-19 ha caricato sulle spalle delle amministratrici e degli amministratori italiani compiti inaspettati ed inediti che tuttavia hanno saputo gestire con grande forza e coraggio. Il sistema italiano ha potuto reggere e affrontare gli effetti drammatici che le misure adottate di contenimento della diffusione del virus hanno generato nel tessuto sociale, economico e culturale delle nostre città e centri urbani grazie al lavoro incessante svolto dalle amministrazioni locali in collaborazione con le istituzioni nazionali. In questo senso, encomiabile è stata l’attività svolta dalla Sindaca di Crema, centro colpito dalla pandemia e subito “zona rossa”, Stefania Bonaldi, che anche grazie alle sue competenze in ambito sanitario è intervenuta efficacemente rispetto alle drammatiche prime esigenze di soccorso necessarie per salvare vite umane, anche ospitando una delegazione di medici cubani (16).
Sono solo alcune delle straordinarie esperienze che vengono dettagliate nel libro attraverso le ventisei schede dedicate alle Sindache che descrivono un’Italia più attenta ai temi delle Pari Opportunità e al percorso di emancipazione delle donne. Questa piena cittadinanza potrà essere realizzata solo con l’aumento della presenza dentro le istituzioni ai vari livelli di donne rappresentative di questo mondo e capaci di interpretare le istanze che vengono dalla società e dalle altre donne. Un percorso ancora incompiuto e che ci fa impegnare, anche con questo contributo, alla sua piena realizzazione perché le città, i Paesi, il mondo intero possa essere un luogo più giusto dove i diritti fondamentali di ciascuno trovino piena attuazione. La normativa sulle quote di genere nelle liste elettorali ha contribuito ad aumentare il numero delle amministratrici nei consigli comunali, ma tuttavia il numero delle Sindache donne è ancora troppo esiguo e serve un radicale cambio di passo in questa direzione da parte delle forze politiche.

Andrea Catizone

  Andrea Catizone è avvocata, specializzata in diritto di famiglia, della persona e dei minori. Giurista e studiosa, ha approfondito le tematiche relative ai diritti umani e alle minoranze in particolare modo quelle che riguardano il ruolo della donna e dei minori. Ha conseguito il titolo di Dottoressa di ricerca, presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Ha fondato e diretto l’Osservatorio sulle famiglie; è membro del Comitato Media e Minori presso il Ministero per lo Sviluppo Economico, è membro del Comitato Scientifico Ass.ne Family Smile insieme al Prof. Giuseppe Zambito collabora con l’Università della Sapienza

[1] Con il Regio Decreto 2480 del 9 dicembre 1926 le donne sono escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, vengono tolte loro alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, si vieta loro di essere nominate dirigenti o presidi di istituto (già il Regio Decreto 1054 del 6 maggio  1923 – Riforma Gentile –  vietava alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie.  Per estirpare il male veramente alla radice, sono addirittura raddoppiate le tasse scolastiche alle studentesse, scoraggiando così le famiglie a farle studiare)

[2]  Giovanni De Luna, Donne in oggetto: l’antifascismo nella società italiana 1922-1939, Nuova cultura 47, Torino, Bollati Boringhieri, 1995

[3] La storia del suffragio femminile in Italia può datarsi già  nel corso dell’Ottocento con vari periodi di espansione o restringimento del diritto medesimo.  Sul tema vi è una ricca letteratura tra questa,  si legga: Anna Kuliscioff “Donne proletarie a voi! Per il suffragio femminile, Milano, Società editrice Avanti 1913;  Teresa Labriola “Studio sul problema del voto alla donna, Roma Ermanno Loeschier&C 1904; Annarita Buttafuoco, Grazia Colombo, Lidia Menapace, Maria Paola Colombo Svevo, M. Grazia Liverani, Comune di Novate Milanese Assessorato alle donne, 1946-1996 L’altra metà del cielo in cammino: 3 serate di riflessione Maggio-Giugno 1996, [S.l, s.n.], 1996; Anna Rossi-Doria, Le donne nella modernità, Villa Verucchio, Pazzini, 2007; “L’Italia delle donne. Settant’anni di lotte e di conquiste” Fondazione Nilde Iotti, Donzelli 2018;  Giulia Galeotti “Storia del voto alle donne in Italia”, Roma 2006; Livia Turco “La repubblica delle Donne. Dal diritto di voto alla parità di genere. Settant’anni di conquiste politiche e civili delle donne italiane”, Unicopli 2015. Si legga anche “Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia” Assunta Sarlo e Francesca Zajcwyk, Laterza 2012.

[4] il 30 gennaio 1945 mentre si combatteva ancora la guerra in Europa e i tedeschi occupavano i territori dell’Italia del Nord si discusse nel Consiglio di Ministri della concessione del diritto di voto alle donne come percorso inevitabile. Il decreto venne emanato il giorno successivo e concedeva il diritto di voto alle donne con più di 21 anni ad eccezione delle prostitute che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. Tuttavia solo con il successivo decreto n. 74 del 10 marzo 1946 si concesse alle donne il diritto di voto passivo.

[5] P.L. Ballini, La rifondazione della democrazia nei Comuni: la legge elettorale amministrativa e le elezini comunali del 1946, in Id (a cura di.) Le autonomie locali. Dalla Resistenza alla I legislatura della Repubblica, Soveria Mannelli, Rubettino, 2010

[6] Le elezioni amministrative del 1946 avvennero in distinti momenti e furono le prime elezioni democratiche dopo la caduta del fascismo. Furono dieci le prime Sindache elette vedi infra.

[7] DECRETO LEGISLATIVO LUOGOTENENZIALE 7 gennaio 1946, n. 1   Ricostituzione delle Amministrazioni comunali su base elettiva. (GU Serie Generale n.8 del 10-01-1946 – Suppl. Ordinario n. 80)

[8] Le province invece vennero ancora demandate alle cosiddette deputazioni provvisorie che venivano nominate dai Prefetti.

[9] I manuali elettorali che furono pubblicati in quel periodo erano numerosi, si ricorda. “ Perché e per chi dobbiamo votare nelle elezioni amministrative”, a cura del Partito Comunista Italiano, la Poligrafica Roma s.d. 1946; Beppe e Tonio vanno a votare (come si vota), ATEM, Roma 1946 venne stampato in 530.000 dal P.C.I; A. Locatelli, Come si vota nelle elezioni amministrative, Perché debbo votare? Come debbo votare. I [comuni superiori a 30.000 abitanti e in tutti indistintamente i capoluoghi di provincia] 2 [Comuni inferiori ai 30.000 abitanti] ARCE, Roma, 1946; F. De Marsico, Come si vota nelle elezioni amministrative, Edizioni Mercurio, Roma 1946; P.Tadini, Per chi devo votare? Come devo votare? Essenza e programmi dei partiti politici. Elezioni amministrative; G. Vanninii, Brescia 1946; A. Rossi, Come si vota. Lettura pratica della legge di ricostruzione delle Amministrazioni comunali su basi elettive, Soc. ed Cremona Nuova, Cremona 1946 ; R. Forlenza ,Beppe, Tonio e le donne vanno a votare. L’educazione al voto per le elezioni amministrative del 1946; R. Ridolfi, L’indimenticabile 1946. Elezioni locali e apprendistato democratico nell’Italia del dopoguerra, in 1946 I Comuni al voto.

[10] Ridolfi, ult. cit. pag. 20

[11]  P. Gabrielli, Il club delle virtuose, Udi e Cif nelle Marche dell’antifascismo alla guerra fredda, Il lavoro editoriale, Ancona 2000; EAD, La pace e la mimosa, l’Unione Donne Italiane e la costruzione politica della memoria (1944-1955), Donzelli, Roma 2005.

[12]  I dati sono quelli raccolti dall’Istituto centrale di Statistica e dal Ministero dell’Interno, Statistica delle elezioni amministrative per la ricostruzione dei Consigli Comunali. Dati provvisori per i Comuni che effettuarono le elezioni dal 10 marzo al 7 aprile 1946, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1946. Istituto Centrale di Statistica, Compendio Statistico italiano, Anno 1946, Serie II, Roma 1946. Annuario statistico italiano, Anno 1946, Serie V, Vol. I, Rom 1949. Ministero dell’Interno (a curda di) Compendio delle elezioni comunali e provinciali svoltesi dal 1946 al 1960, Roma 1961

[13] legge 25 marzo 1993, n. 81 viene introdotta l’elezione diretta del Sindaco e, conseguentemente,  la nomina dei componenti della giunta da parte dello stesso. Prima di questa riforma il Sindaco, e dunque la Giunta, venivano eletti dal Consiglio Comunale.

[14] In tal senso si veda la Mappa delle Amministratrici che il Dipartimento Pari Opportunità di Ali ha pubblicato sul sito che riproduce, per ogni Regione, le donne Sindache e le amministratrici, https://aliautonomie.it/

[15] Le Elezioni Comunali 2020, causa emergenza epidemiologica COVID-19, si sono tenute il 20 e 21 settembre nelle regioni a statuto ordinario, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Il turno di ballottaggio si è tenuto il 4 e 5 ottobre.

[16] si veda in tal senso l’intervista alla sindaca Bonaldi nel sito di Ali www.aliautonomie.it nella sezione del Dipartimento Pari Opportunità, ciclo di interviste alle amministratrici locali.



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