di Gianfranco Nappi
Poco più di un mese fa abbiamo promosso, insieme a SUDD di Antonio Bassolino e con la partecipazione anche di Gianni Cerchia e di Enrica Amaturo, la discussione sull’ultimo lavoro di Pietro Folena, Servirsi del Popolo. Origini, sviluppi, caratteri del nuovo populismo italiano. La nave di Teseo.
Voglio tornare sulla riflessione di Folena sollecitato in questi giorni dalla discussione sul Recovery Plan e dall’uscita di un altro lavoro, sullo stesso tema, visto però da un’altra angolazione : Populismi e Rappresentanza Democratica. Editoriale Scientifica. L’autore è il giovane costituzionalista napoletano Alberto Lucarelli.
Pietro Folena ha scritto con il rigore dello storico e la visione del politico una ricostruzione degli ultimi trenta anni buoni di vita e vicenda politico-istituzionale del paese.
Già questo colloca il lavoro in un campo preciso: nel campo di quelli che non ritengono che il populismo/i populismi rappresentino un incidente di percorso, una superficiale e passeggera increspatura dell’andamento della storia cui farà seguito, naturalmente, la tranquillità recuperata.
Tutt’altro. Dal lavoro di scavo e di vera analisi storiografica su come il tema è stato affrontato da diversi autori, italiani e non, emerge un quadro più complesso e più profondo degli andamenti, in fase di crisi, delle dinamiche della società e degli orientamenti che vi si sviluppano.
E allora, le diverse forme di populismo, da quelle di destra a quelle di sinistra, dettagliatamente esaminate, affondano le loro radici in una crisi di rappresentanza che non trova risposte da almeno trenta anni.
Alla crisi sistemica della democrazia e dei suoi istituti, esplosa in una temperie internazionale particolare sul finire degli anni ottanta del secolo scorso, nei fatti, non si è costruita da parte della politica e della sinistra, che è poi quel che più ci interessa, una capacità di delineare una nuova intima connessione con un proprio popolo.
Anzi, per usare le parole di Folena, la sinistra si è chiusa in un orizzonte di governismo ovvero di incapacità a ritrovare le fonti della propria legittimazione nella società.
Questo è il nodo di fondo: senza misurarsi con questo dato, sarà ben difficile dare corpo ad una risposta positiva evitando che l’ideologia debole, così la definisce Folena, dei populismi di destra, ( interessante notare come invece Lucarelli usi una espressione simile : thin ideology, un pensiero esile ), si trasformi in una ideologia forte, con tutte le implicazioni negative e per certi versi devastanti per la democrazia che essa recherebbe con se’.
Tra le diverse strade da intraprendere, possibili e necessarie, c’è quella maestra indicata dalla Costituzione : “ Al modello populista, e del partito personale, non è stata mai contrapposta la sfida per attuare l’articolo 49 della Costituzione. “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”….se la politica democratica non rafforzerà i propri fondamenti morali e una capacità di governo globale dei processi, a partire dalle risposte materiali alle fasce di popolazione così larghe che sono state colpite dal lockdown, potrà subire una crisi ancora più grande… “
Fin qui Folena.
Ma allora, non ci sarebbe un terremo immediato sul quale sperimentare nuove forme di relazione tra istituzioni e società, tra politica e movimenti, tra rappresentanza e organizzazioni del basso, tra governanti e governati rappresentato dal come progettare i fondamenti di un nuovo paese di fronte alla sfida opportunità del più massiccio quantitativo di risorse da investire per lo sviluppo del paese mai conosciuto prima con il Next Generation Plan, maturato in una crisi sanitaria e sociale anch’essa senza precedenti?
Non dovrebbe essere questo il tempo per coinvolgere l’insieme della società e delle esperienze dei territori in una grande e partecipato lavoro di costruzione di nuove scelte? ( Proprio su queste pagine ne ha scritto di recente in modo convincente Achille Flora https://www.infinitimondi.eu/2020/12/24/lunico-modo-per-cogliere-lopportunita-del-next-generatio-eu-per-italia-e-mezzogiorno-costruire-coesione-con-ascolto-e-partecipazione/ ).
Invece, niente di tutto questo è all’ordine del giorno della politica, del governo, dei governi territoriali. Niente di tutto ciò è all’ordine del giorno dell’azione di un sindacato sempre più in crisi manifesta e chiuso in una dimensione corporativa. Niente di tutto ciò emerge dal mondo della cultura, di una intellettualità diffusa che pure avrebbe tanto da dire.
Tutto invece è rubricato sotto la voce: trattative tra i partiti, vertici, minacce di crisi, tira e molla, riunioni fiume notturne…
E allora il rischio indicato da Pietro Folena di un aggravarsi di una crisi c’è tutto.
Eppure proprio in una situazione del genere avrebbe proprio senso cercare oltre provare a tracciare nuove rotte e nuovi percorsi democratici.
Ed è questo al fine quello che sollecitano il lavoro e l’analisi della ricerca di Alberto Lucarelli, peraltro con una esperienza di impegno concreto per la valorizzazione di tutto il discorso sui Beni Comuni proprio da Assessore per un tempo troppo breve nella Giunta del Comune di Napoli, quando si poteva ancora sperare che l’esperienza di De Magistris potesse rappresentare una dinamica innovativa di lungo periodo. Poi, è andata come è andata…
Ovviamente qui l’angolo di visuale è quello del giurista, del costituzionalista e da questa ottica si sviluppa una riflessione che comunque reca con se’ implicazioni e conseguenze politiche di enorme portata e molto importanti per quel che ci interessa del discorso.
Illuminante è anche quello che lui delinea, alla fine del lavoro, in una postfazione imposta dalla crisi pandemica nella quale denuncia quello che sta maturando: un vero e proprio populismo dell’emergenza attraverso un diritto pubblico autoritario sul quale sarebbe bene approfondire la riflessione.
Lucarelli accentua un aspetto delle ragioni del fenomeno populistico: quello di un deficit di rappresentanza che per l’autore non è recuperabile all’interno di un quadro di mera ricostruzione della situazione quo ante ovvero, seppur in forme nuove, di una neo-centralità di una Repubblica dei partiti.
“ Non tutte le istanze, frettolosamente definite populiste, nell’accezione più sprezzante, esprimono pulsioni ostili alla rappresentanza politica” dice l’autore.
Tra le varie forme di populismo c’è quello che Lucarelli definisce populismo democratico o, preferibilmente, democrazia del pubblico : movimenti dal basso, esperienze di autogestione e di autogoverno e di nuova riconoscibilità di istanze sociali, forme di alterità radicale rispetto ad un ceto politico elitario, chiuso in se’ stesso in modo funzionale all’affermarsi di sedi di decisione extraistituzionali a livello sovranazionale e di un mercato globalizzato.
Se il cuore della crisi della rappresentanza è il confinamento delle ragioni popolari in una zona d’ombra dove esse diventano invisibili, la democrazia del pubblico è uno dei modi per restituire visibilità al popolo.
Per Lucarelli tutto ciò non necessariamente è alternativo alla rappresentanza perché si sviluppa all’interno e non fuori dai confini costituzionali.
In questa ottica, il populismo democratico è pienamente versus populismo autoritario e neoliberista e davvero può alimentare di nuova linfa partecipativa una esangue democrazia.
L’indirizzo politico, allora, le decisioni, possono risultare da un nuovo equilibrio, da una nuova sintesi tra democrazia partecipativa e democrazia della rappresentanza.
In questa ottica, la partecipazione ha bisogno della rappresentanza quanto la seconda ha bisogno della prima.
Posto che la democrazia del pubblico ha bisogno di incarnare un processo di formazione ed informazione permanente, e qui Lucarelli cita esplicitamente Gramsci, che si strutturi in proprie forme e percorsi stabili, pena il suo diventare o evanescente o comunque incapace di incidere stabilmente sull’indirizzo politico ( oltre le stesse illusioni dell’e-democracy e individuando nella rete un campo di lotta ), e posto invece che è da considerarsi superata l’idea che la risposta possa essere rappresentata da un seppur moderno Principe, e qui invece si va nettamente oltre Gramsci, si tratta di ‘inventare’ le nuove istituzioni del politico concepito come sintesi di istanze dal basso e di rappresentanza; nuove forme e nuove soggettività capaci di conquistare una inedita e non occasionale visibilità.
A vedere bene, almeno così la intendo io, siamo qui proprio sul terreno della ricerca più urgente per incarnare una nuova dimensione della politica e della soggettività politica: ricerca interrotta, non appagata, ma sempre viva nell’esperienza della stessa generazione di Folena.
E allora sarà interessante immaginare a breve una discussione che veda impegnati gli autori d questi due lavori così poco ordinari rispetto al panorama prevalente di superficialità e di miopia culturale e politica.
Gianfranco Nappi
Lettura molto interessante e complementare all’ interessante confronto di circa un mese fa: ha lasciato interrogativi, naturalmente ma, quasi inaspettatamente, è aumentata la mia volontà a decifrare, capire ed approfondire di più.