di Alberto Ritieni
Per tanti italiani il 2020 sarà per sempre nella memoria un vero “annus horribilis”, un periodo che tutti vorremmo cancellare per non riportare alla mente tanti ricordi e momenti bui che ci hanno accompagnati.
Il 2020 è stato l’anno del lockdown, della pandemia, delle limitazioni delle nostre libertà personali barattate in parte con una maggiore sicurezza sanitaria per noi stessi, per chi ci è vicino affettivamente e, anche, per chi sconosciuto è al nostro fianco nelle file alla posta o di in un supermercato.
Per i Campani il 2020 ci rammenta che dopo quarant’anni dal terremoto in Irpinia ancora molto è da fare o purtroppo da disfare, ma da qualche giorno i Napoletani aggiungeranno un ulteriore motivo per voler dimenticare questo terribile anno; l’improvvisa scomparsa di Diego Armando Maradona.
La morte di Diego è paragonabile per molti a rivivere una scossa di terremoto perché è stata una morte violenta, improvvisa, capace di lasciare sgomenti, per tanti è stata troppo ingiusta ed è pari ad avere ricevuto un pugno sul petto che taglia il fiato per qualche minuto.
Amici di altre città e di altre fedi calcistiche, mi hanno mandato messaggi di condoglianze e di vicinanza empatica ne più ne meno di come si fa con chi ha perso un parente o un caro amico.
Non è mai accaduto prima per nessuna altra personalità sportiva, artistica, politica o altro.
Napoli se proprio vogliamo razionalizzarla è una città come tante altre fatta di muri, di strade, di palazzi e di tanto troppo traffico ma è anche un unicum antropologico così speciale da essere riconosciuto nel mondo ma che ha delle vere viscere come fosse una cosa viva.
Napoli è una madre che ama tutti i suoi figli senza chiedersi cosa hanno fatto o cosa non hanno dato e amandoli tutti li considera come dei “piezz’e core”.
A Napoli è vero si diventa immortali, artisti come Totò, De Filippo, Pino Daniele, Massimo Troisi, scrittori come De Crescenzo e tanti altri sono stati tanto amati che la loro immortalità è dimostrata perché si ritrova nel linguaggio, nelle battute e negli atteggiamenti dei napoletani.
Si sentono nel linguaggio comune citare le loro opere teatrali, dei versi delle canzoni, alcune battute dei loro film e ognuno di loro ha conquistato un posto speciale nel nostro cuore.
Riguardo Maradona sentiamo urlare da chi non ha l’età per averlo visto dal vivo, su qualsiasi campetto di calcio o sui campetti di strada frasi come “ma chi ti credi di essere, mica sei Maradona”.
Ha ispirato canzoni, varie forme di sfottò e c’è chi addirittura, ha battezzato il figlio come “Diego Armando” cosa che paradossalmente si può paragonare quasi a una cessione di diritti genetici. C’è chi ha costruito dei tabernacoli dove si sospira ricordando quei sette anni semplicemente guardando una reliquia come è considerato un suo “semplice capello”.
Maradona la sua immortalità l’aveva conquistata già in vita, cosa che accade per pochi eletti.
Maradona ha però fatto di più per Napoli perchè ha dimostrato che pur non nascendoci, ma da figlio adottato venuto da un paese lontano, si può insegnare il diritto e soprattutto il dovere di riscattarsi e lo ha regalato a chi è napoletano di nascita.
Il primo dei due, e per ora unici, scudetti del Napoli è stato vinto mentre lavoravo a Milano e di conseguenza ero circondato da tifosi rossoneri o nerazzurri e persino da juventini. Maradona con la sua bravura e l’indiscutibile talento che mostrava sul campo, mi ha fatto da scudo e sentivo intorno un rispetto nuovo e mai provato prima. Prima ero solo figlio del Napoli di Vinicio scippato a Torino e perdente a Napoli con la Juve, ero figlio del colera ancora oggi usato dai più beceri per offenderci, ero figlio del terremoto che assorbì così tante risorse economiche da rendere ostili molti altri italiani.
Diego mi ha aiutato con le sue vittorie e le sue magie a essere ancora più orgoglioso della mia napoletanità e quantomeno di guardare gli altri alla pari.
Cosa possedeva un calciatore come Diego per meritare un posto nel cuore e nei ricordi di quasi tutti i napoletani qualunque sia lo stato sociale e l’età?
Non è facile rispondere, ma da “napoletano” si batteva pur sapendo che in partenza eravamo dati per perdenti e si doveva lottare sempre e che ogni vittoria raccolta valeva il triplo e costava il sestuplo. Maradona impersonava il tipico “guascone” sempre a lato dei più deboli senza che gli fosse chiesto e assumendo delle posizioni politiche e sociali scomode e sempre osteggiate dall’establishment non solo calcistico.
Diego aveva compreso che il nostro Vesuvio è attivo e sempre pronto a ricordarci che “stiamo sotto al cielo” e che il momento fuggente va afferrato pur sapendo che il prezzo sarà tanto più alto da pagare quanto più è noto chi lo paga.
Diego ha donato il suo talento a chi correva a vederlo e ha sempre pagato il conto prima di uscire di scena.
Diego è quello che ha riempito uno stadio e reso felice chi solo per vederlo palleggiare e tirare un pallone sugli spalti pagò 50 cent nel 1984.
Sarà una coincidenza ma il prezzo di quel biglietto equivale alle famose “mille lire” necessarie per comprare il biglietto del passaggio per l’America ovvero per accendere la speranza di riscatto che non deve essere l’ultima dea a morire ma deve essere la forza dei più deboli per ripartire.
Diego per quei sette anni è stato il nostro simbolo di riscatto sportivo che però in maniera inattesa e da alcuni non voluta, si è riverberato su tutto il sistema sociale riaccendendo nei napoletani una speranza e un orgoglio prima sopito.
Al primo scudetto fu chiaro a tanti che grazie ad uno scugnizzo importato da lontano “non è impossibile far avverare un sogno”.
Diego rappresentò la primavera di una città che oggi si è quasi del tutto esaurita per inedia e oggi Napoli è troppo lo stereotipo della città che si inventa il “tampone sospeso” o che è solidale dividendo anziché moltiplicando “pane e pesci” per aiutare i più sfortunati.
Purtroppo, siamo anche la città dove il malcostume, l’arroganza e la violenza si fanno sempre più strada e oramai girare la testa altrove è sempre più frequente.
Diego non era solo il calciatore divino, per alcuni addirittura capo di una Chiesa, che ha aiutato a vincere delle squadre considerate deboli e tutto questo senza mai far pesare ai suoi compagni la differenza di talento, ma purtroppo Diego come tutti i dotati di talento puro ha preso, ha dato a tanti, ha sprecato molto e ha bruciato la sua vita come fosse un fuoco di artificio che dura poco ma in quei pochi secondi illumina a tanti l’orizzonte nel buio della notte.
Lo ricorderemo in mille modi, la sua maglia è già da tempo stata ritirata dalla Società Calcio Napoli, ma osserveremo tanti minuti di silenzio sui campi, vedremo fasce a lutto, ripasseremo documentari e i suoi gol fino ad esaurirci, ristamperemo libri, cambieremo come minimo il nome allo Stadio San Paolo che a dire tutta la verità come Santo ha fatto ben poco per il nostro calcio cittadino rispetto a Diego, e chissà quante trasmissioni televisive sportive vivranno del suo talento e della sua vita.
Sono giorni oramai in cui si sta cercando di rendere Maradona terreno mettendo sui piatti della bilancia da una parte i suoi gol e le sue punizioni e dall’altra i suoi difetti umani che solo in parte sono stati una sua responsabilità.
Ricordiamoci che le sue debolezze sono ininfluenti sulle emozioni che ci ha donato, se fosse stato perfetto, ligio a tutte le regole forse avrebbe vissuto di più, ma dubito che avremmo parlato di Maradona, che come calciatore non è classificabile, e avremmo parlato di un semplice fuoriclasse come ne esistono in tutte le epoche calcistiche.
Non c’è un vero finale da scrivere per la storia di un uomo come Maradona o di un calciatore come Diego, in fondo sono i due sono versi di una sola medaglia che luccica sempre o per chi la guarda o per chi la mostra. Oggi abbiamo un calcio “scientifico” pieno di moduli, ricco di schemi e senza le sue invenzioni questo calcio sembra ben altra cosa; quasi un videogioco.
Concludo con ancora tanti ricordi e tante emozioni che tentano di diventare delle frasi, ma come napoletano potrà qualcuno ridarmi lo stesso orgoglio sportivo, lo stesso rispetto che Diego da vero napoletano col passaporto argentino mi ha donato trent’anni fa e di cui vado fiero?
Alberto Ritieni Ordinario di Chimica degli Alimenti all’Università Federico II di Napoli