Lo scorso 6 ottobre nel suggestivo spazio culturale AMIRA che la passione e l’intelligenza di Raffaele Avella ha ricavato nel cuore del centro antico di Nola si è presentato uno degli ultimi lavori de il Laboratorio Edizioni di Vittorio Avella e Tonino Sgambati Poemetto della Luna Ubriaca, 10 poesie di Tommaso Di Francesco e 6 acqueforti di Aniello Scotto.

Dalla pagina FB dello Spazio Amira il link per alcune immagini dell’evento:

https://www.facebook.com/raif.art/videos/1532696163595143

Mimmo Grasso ha introdotto quella serata con una densa riflessione che qui riproponiamo integralmente.

“I sulfurei” è una delle collane più intriganti de “IL LABORATORIO/le edizioni” ed è uno dei manufatti in cui strettamente interagiscono verbalizzazione e immaginazione, le due componenti fondamentali del pensare.
Esporrò qui ciò che , probabilmente, gli artigiani del “LABORATORIO” si attendono da un lettore in termini di retroazione e arricchimento del campo delle rappresentazioni.

Aniello Scotto è visionario. Altrettanto visionarie, per voluto “effetto simpatia” , sono le stanze di Tommaso di Francesco.
Si sa che un lavoro d’arte, sia esso in immagini che in parole, va valutato anche in riferimento alla sua aura evocativa e storica. Nel caso specifico, “poemetto della luna ubriaca” ci porta alle curve e al disancoramento del “Battello ebbro” di Rimbaud, da cui estrapoliamo, in quanto potrebbero costituire una didascalia delle immagini di Scotto, i seguenti versi (abbiamo cercato di mantenere l’alessandrino).

Da allora sono immerso nel Poema del Mare
Che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
Morde l’acqua turchese, dentro cui, fluttuando,
Scende estatico un morto pensoso e illividito;

Ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
Che illuminava lunghi coaguli violacei,
Somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
Che fluivano al tremito di persiane, lontano!

L’opera di Rimbaud si sviluppa lungo paesaggi fluviali, un flusso senza la zavorra dall’io razionale. Attraverso gore e gorghi surreali, tende verso il mare del non-ancora-conscio; il battello naviga a vista, senza timoniere. I disegni di Scotto obbediscono a un medesimo impulso. Il napoletano ha una parola adatta a descrivere questo movimento: sbutecheiare. Anche l’immaginazione di Rimbaud e Scotto “sbutecheia” ; la perfezione del ritmo del francese e delle sue rime nascono, paradossalmente, dall’adagiarsi nel canto delle origini. Scotto ci presenta, ascoltando il suo istinto, il suo canto colorato, scorci e istantanee in un luogo dove il mare è, probabilmente, un ricordo: una scena di disperazione (o, forse, di riposo, di stasi), un mondo in cui l’artista, ubriacato dai miasmi del “mare della tranquillità”, cerca di ricordare più che di dimenticare. Cosa? Il dionisismo, gli impulsi vitali, la sacralità dell’ebbrezza che si avverte come tragedia in corpo, ghènos e miasma, direi il riconoscere nei manichini lunari il proprio quondam abisso, scavarne un altro perché quello che si conosce è ridotto a un ripostiglio di sabbie, un catasto di tarocchi senza capacità divinatoria. L’orbita della luna, mestruata, è eccentrica ed ha il compito di riportare in asse, dialetticamente, l’artista, risintonizzare nel suo apparato cognitivo i segni “luna” e “lunatico”, i loro numerosi allegati storici e simbolici. Confesso di aver visto, di sfuggita, su questa luna l’ombra di Astolfo portare un sacchetto con dentro le cose perdute sulla terra, forse la stessa idea di terra, eclissata o sepolta a Hissarlik.

Tommaso Di Francesco Poeta e figura storica de il Manifesto


Tommaso di Francesco è un poeta che conosciamo e amiamo. Queste sue stanze sono omologhe per poetica ai disegni di Scotto. La luna (ma scriverei “a-luna”) compare varie volte con sinonimi o metafore: “inutile”, “astro del simulacro”, “la gelida”.
La forma espressiva scelta, la sestina, sembra avere il compito di organizzare “enciclicamente”, cioè in cerchio, e dirigere il voler-dire del poeta all’interno di uno schema storicizzato, collaudato: un’armatura, e ciò proprio perché si avverte lo scarso equilibrio dell’andatura, il rischio della caduta.
Nei mesi scorsi, Tommaso mi inviò un testo scritto negli anni sessanta-settanta,facente parte della raccolta “Disparte”, editata da Empiria nel 2003. Si tratta di un testo lungimirante,dal titolo “Epidemia per voi”. Nella lettera d’accompagnamento Tommaso dichiara che si tratta “di un testo oltremodo irregolare, nervoso, brutto e sporco, la metrica è solo mentale ma non c’era musicalità apposta, se ben ricordo, non la volevo”..
Dunque, il poeta si è costretto ad allontanarsi dalla musicalità dei versi cercando, probabilmente, di creare ritmi – in questo caso mentali – che dessero vita a nuovi metri, sincronici col marasma e lo squarquoio di un’epidemia vuoi fisica vuoi etica.
Questa dichiarazione in ordine alla “musica mentale” è contrastante con quanto emerge da queste stanze, o camere contigue, una dentro l’altra, secondo lo stile consolidato di Di Francesco. Grazie al loro ritmo, vale a dire all’approccio “musicale”, al flusso e all’abbandonarsi all’ascolto attivo, questi lavori evidenziano la caratteristica della permutabilità, vale a dire che ogni stanza ne produce altre e che tutte insieme generano n-testi.
A cosa è dovuto questo fenomeno?


Innanzitutto a un fattore corporale: Se tremi e gemi freddo il ritmo balla/t’abbraccia mentre ti abbandona/orfano lassù, ubriaco quaggiù.
Il ritmo, la scansione neuromotoria, ti abbraccia nel momento in cui ti abbandona ed è orfano (il ritmo) lassù, sulla luna, ubriaco quaggiù, sulla terra.

Aniello Scotto, Artista

Il fenomeno di cui parliamo, la permutazione, si riscontra, sempre quando un testo di poesia segue il flusso corporale ed emotivo su cui si fonda il poetare, che nasce dalla danza e dal simultaneo battito del cuore e del piede per terra.
La caratteristica dell’ebbrezza (ma qui si parla di ubriacatura) è il procedere “sbutechianno”, il parlare a zig-zag, un po’ sibillino, denso di lunghe pause dalle quali emergono versi oracolari che, a loro volta, si posizionano in modo tale che è possibile leggere un testo in vari modi, come accade, suggerivamo, nei reponsi:: dall’alto verso il basso e viceversa, saltando da un verso all’altro nello stesso testo o congiungendo fra loro versi di testi diversi,. in una dimensione di trance autoindotta che pretende, nella lettura, l’intervento attivo del lettore.
EsempioI

Fece l’astronauta un tufo lassù,
da ronzinante usato dai potenti, ma
come gli Achei nel viaggio di ritorno
s’accorse del bisogno non astrale,
ch’era familiare l’urgenza di sapere.
Mancava un padre nei sogni disparito…

II
Mancava un padre nei sogni disparito
ch’era familiare l’urgenza di sapere
s’accorse del bisogno non astrale
come gli Achei nel viaggio di ritorno
da ronzinante usato dai potenti ma
fece l’astronauta un tuffo lassù


III
Come gli Achei nel viaggio di ritorno
mancava un padre nei sogni disparito
da ronzinante usato dai potenti
s’accorse del bisogno non astrale
ch’era familiare l’urgenza di sapere
fece l’astronauta un tuffo lassù


Estrapoliamo da altri testi, riscriviamo le stanze mentre le attraversiamo:


Nulla è perduto se anche lungo il giorno
Il fulgore di gelo taglia come falce
Se gemi e tremi freddo il ritmo balla
Se il mondo resta quel che non è
La luminaria quando appare assente
L’astro del simulacro siamo noi.

Chiudiamo quste veloci considerazioni con l’ultimo verso letto: ”L’astro del simulacro siamo noi”, che racchiude secondo noi le immagini di Aniello Scotto – in particolare il simulacro di un burattino – e quelle di Tommaso di Francesco. Il verso non è semplice e richiede anch’esso uno sforzo ermeneutico: “astro” sta per “stella” , “simulacro” sta per “ombra”, eidolon, che contiene “idea”. Dunque: “ la stella polare dell’ombra siamo noi”.

Mimmo Grasso

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