Veramente il covid19 è stato lo scopritore della didattica on line? O, per meglio dire, la causa scatenante? Certamente no. E lo dico a ragion veduta, perché dal 2005 le sezioni associate del liceo classico di Pietradefusi e l’istituto magistrale statale di Frigento (Avellino) diedero vita ad un progetto con il liceo francese “P. Caraminot” di Egletons dal titolo “Cittadinanza europea ed eredità latina”.
Europa, nuove tecnologie, latino: questi i fondamenti del progetto. L’eredità latina, vista come patrimonio culturale europeo comune, diede il la per l’elaborazione di un piccolo vocabolario con materiale raccolto dai due gruppi e per l’illustrazione di lemmi riguardanti oggetti di uso comune. Il blog [ http://graffitipompei.canalblog.com ] divenne un ambiente didattico in cui si intrecciarono viaggi virtuali. Gruppi di studenti italiani e francesi esplorarono la propria regione o la propria nazione, così come si presentava 2000 anni fa, alla luce della contemporaneità europea.
La scuola italiana realizzò un iter campanum, narrando la visita a cinque città dell’epoca romana: Pompei, Caudium, Beneventum, Aeclanum e Trivicum. Il risultato finale fu un diario trilingue, italiano, francese e latino, da leggere e commentare con i propri partner europei
Gli studenti composero, grazie alle nuove tecnologie, un mosaico europeo che ha il sapore della contemporaneità, utilizzando tutte le fonti disponibili e soprattutto internet (Uno, due, tre … eTwinning – Le scuole italiane si gemellano con l’Europa, Firenze 2007).
Ma gli interessi delle due scuole andarono ben oltre. Nel loro blog, ad esempio, per l’anno 2008 si può leggere questa ricerca, che sembra scritta in occasione dell’esame di maturità, di allora:
Provate a chiedere ad uno studente liceale italiano, che si appresti a sostenere gli esami di Stato (tempo fa si diceva di maturità), il nome di una poetessa latina. Resterà quantomeno interdetto non sapendo se dire un nome, a caso, o confessare candidamente di non conoscere l’argomento. Questa volta non ci sarà nessuna colpa da addebitare a questo o a quello (voglio dire allo studente o al professore) perché nella letteratura latina non abbiamo poetesse. I poeti latini hanno scritto versi in onore delle donne, tanto da assicurare ai loro nomi una fama imperitura; ma nessuna donna ha avuto il piacere di vedere la propria voce raccolta, si fa per dire, e pubblicata. Le gioie, i dolori, gli amori delle donne latine ce li hanno raccontati gli uomini.
Eppure sembra impossibile che in un universo così vario e variegato come il mondo latino non abbiano avuto voce poetica le donne. Forse siamo stati noi, cioè quelli venuti dopo, che non abbiamo correttamente letto nelle opere degli autori classici.
E’ il caso di Sulpicia, poetessa romana contemporanea del poeta Tibullo. Le poesie, che vanno sotto il nome di Tibullo, sono giunte a noi in una collezione di tre libri (Corpus Tibullianum), che, per scelta di alcuni editori del Rinascimento, sono diventati quattro con la suddivisione del terzo in due parti distinte.
Il Liber quartus presenta ingarbugliate questioni di attribuzione. Inizia con il Panegyricus Messallae, un elogio di M. Valerio Messalla Corvino in occasione del suo consolato, e, quindi, databile al 31 a.C., attribuibile a Tibullo. Seguono le cinque elegie per Sulpicia e le sei brevi elegie di Sulpicia.
Come si poteva accettare che una donna potesse trattare argomenti amorosi in modo così apertamente appassionato? E così per secoli di Sulpicia poetessa nemmeno a parlarne. Fino a quando Otto F. Gruppe, filologo e poeta, nato a Danzica nel 1804 e morto a Berlino nel 1876, non pubblicò i due volumi su Die romische Elegie, dove ritrovò l’espressione del “latino femminile”. Ed Ettore Bignone sostiene che “raramente la poesia romana ha avuto accenti così spontanei e appassionati come in questi versi” di Sulpicia.
Pochi anni fa in Inghilterra andarono tutti pazzi per Sulpicia, grazie al poeta inglese John Heath-Stubbs (1918-2006) che aveva tradotto e pubblicato nel 2000 Poems of Sulpicia (Hearing Eye–London) affermandone ancora una volta l’autenticità e l’attribuzione a questa donna romana di duemila e più anni fa, che scriveva poesie alla maniera dei poeti alessandrini.
Le poetesse latine non finiscono qui. Senza scomodare un’altra Sulpicia vissuta nell’età di Domiziano e della quale ci rimangono solo due versi, si deve alla felice intuizione di Eva Cantarella la scoperta di un’ altra poetessa, questa però anonima. Perché il testo è una iscrizione parietale, e fa parte di quella che è stata definita la “letteratura di strada”, cioè quelle parole tracciate un poco ovunque dagli antichi romani sui muri delle case lungo le strade delle città.
Cominciano ad essere maturi (almeno così sembrava un decennio fa) i tempi della riscoperta del “latino femminile”, che non è solo un ripagare la donna per il suo vivere appartato in tanti secoli, ma anche la voglia di sentire ancora più vicina una civiltà che sa parlare al cuore e alla mente degli uomini.
Virgilio Iandiorio
Bello questo scambio intereuropeo! Latine loqui …è sempre una possibilità di confrontarsi ….