Anche io ho partecipato alle tre ore di discussione sulla didattica a distanza, con Nuccio Ordine e Pietro Folena, allargato a molti interessanti altri interventi. Per attitudine alla polemica spinta, immagino, più che per concreto dissenso, a un certo punto è sembrato si delineassero due posizioni, apparentemente divergenti, che potrei riassumere così: tradizionalisti vs tecnologici. O anche, richiamando l’articolo di Asor Rosa (ripreso nel forum da Folena) e l’aspra critica che ne ha fatto Michele Mezza, asorosisti vs mezziani. In realtà nessuno dei presenti, ancorché con varia intensità, si è dichiarato renitente all’uso delle tecnologie e degli infiniti materiali che esse rendono disponibili per una didattica adeguata ai tempi. Ma, come spesso accade, la discussione ha subìto uno slittamento verso la polarizzazione, sfocando un po’ l’obiettivo del forum. Il punto era (ed è) se le risorse tecnologiche devono continuare a essere strumento, o se possono diventare il luogo dell’insegnamento. Notazione a margine: questo è ciò che avrei voluto in voce durante l’incontro, ma – guarda caso – per qualche mistero digitale, sono rimasta afona in tutta l’ultima ora. Dopo la chiusura ufficiale del video-forum, ci siamo trattenuti in un certo numero, continuando a discutere. Allora, è saltato fuori che l’insegnante arrabbiato, protagonista dell’intervento cui ho fatto cenno, disinvolto sostenitore dello smartphone in classe, pratica una vicinanza con i suoi allievi e allieve tale che li porta a “vedere Napoli”, i luoghi della città, monumenti, piazze, che quei ragazzi e quelle ragazze, pur essendo napoletani ma di frontiera, non conoscono. Più fisica di così una didattica faccio fatica a immaginarla!
Certo, in emergenza o in integrazione (disabili, situazioni particolari evidenziate anche durante il dibattito) la DAD è una risorsa e una risposta, ma, come ha affermato Michael D. Higgins, presidente dell’Irlanda e sociologo (intervista al manifesto 15/5/20) «la presenza fisica in classe dell’insegnante è un concetto ora sotto assedio e questa è una sfida intellettuale da affrontare, davanti a cui non possiamo cedere. La relazione tra insegnante e studente è fonte di attività e capacità critica. Ricordiamoci del pessimismo di Adorno. La tecnologia in quanto strumentale è accettabile, ma come sostituto dell’incontro che avviene in un’università, non è altro che l’ultima freccia all’arco di un mercato che vive di un paradigma morente».
Gianfranco Nappi ha sollevato un aspetto tutt’altro che trascurabile, immaginando una didattica globalmente migrata sul web, ha posto il problema serio di mettere nelle mani di Gafam non solo i dati – già consegnati spontaneamente dagli utenti per accedere a una qualsiasi funzione via web – ma la possibilità stessa di svolgimento dell’istruzione pubblica, la cui titolarità statale è fondante, sensibile ed essenziale per ogni società democratica.
Mi ha molto stupito non leggere nella critica di Mezza, di solito accanitamente attento al riguardo, nemmeno un’allusione a tale questione che a me sembra di importanza capitale. Ma forse non ho letto con attenzione.
Ho poi letto gli altri contributi ben argomentati e concreti – qui pubblicati – di Francesca Giusti, Giovanni Mirante e quello di Ida Lenza che, in forma di lettera alla ministra, denuncia l’inadeguatezza delle scelte politiche in ordine alla valutazione finale (esami), mettendo in evidenza la qualità del reale contrapposta alla “messa in scena” del virtuale. Giusto e forte il suo richiamo alla sensatezza per l’autorità e all’orgoglio del lavoro ben fatto per discenti e docenti,
Nessuno pensa che la scuola e l’università pre Coronavirus fossero l’Eden. Sono decenni che ci battiamo perché si emerga dall’asfissia dello 3,6 del PIL destinato alla istruzione pubblica, perché si attivino procedure trasparenti di reclutamento docenti, per percorsi seri e continuativi di aggiornamento, per un’edilizia funzionale allo studio e sicura. Sono decenni che assistiamo a pseudo riforme che, in linea di massima e con le debite eccezioni, sono consistite in tardivi allineamenti a procedure internazionali, altrove ormai superati. Uno degli effetti più deleteri del neoliberismo infiltratosi anche in questo nucleo centrale è stato, come per la Sanità, l’assunzione del modello aziendalista nella gestione di scuole e università, che ha piegato la conoscenza e la ricerca a logiche meramente economiche.
Il settore assomma in sé le criticità dell’assenza di visione, da un lato, e del malfunzionamento della macchina pubblica dall’altro. Su tutto ciò il dibattito resta aperto e, a mio avviso, dovrebbe essere un punto qualificante della piattaforma (solo immaginaria, finora) di un’aggregazione politica orientata alla rigenerazione profonda della società.
A distanza, mandiamo le funzioni amministrative di ogni livello (statale, regionale, comunale), questo sì che semplificherebbe la vita! E sarebbe un cambiamento decisivo oltre che per il miglioramento della qualità e delle condizioni di servizio offerto ai cittadini e alle cittadine, anche per contrastare quello che si profila come un tragico ritorno al passato: il traffico privato, ultima spiaggia dopo il sostanziale forfait dichiarato dalla mobilità pubblica, incapace di adeguarsi alle misure di distanziamento tra le persone. Ci aspetta un autunno caldo e buio di smog.
ll computer mi ha fatto un trabocchetto e non mi ha fatto partecipare al Forum DAD a cui ero molto interessanta- Iaia cara capisco le tue accorate osservazioni e sento il bisogno di aggiungere qualcosa di mio. Sin dagli ’70,dopo la Riforma della Scuola Media Unica ( sulla carta eccellente) l’inesauribile problema scuola ( sempre in emergenza) ha creato sempre opposizioni sia per persistenti convinzioni ideologiche sia per personalizzazioni, che per carenze di conoscenze adeguate. per me ben pilotate., (Ultimamente la personalizzazione ha preso i genitori…che a volte hanno deciso di usare le mani). I pezzi di riforme innovative sono stati spesso annullati da un’imposta pratica didattica ( miriade di circolari ministeriali) e da una sistematica incuria politica, nonostante proclami e retorica. E un generale autoritarismo travestito da aumentate responsabilità dei Dirigenti (prima presidi), non sempre all’altezza del compito. Ma in ogni caso in tutta la penisola sono state portate avanti sperimentazioni importanti e proficue, a tutti i livelli scolastici. L’emergenza coronavirus ha messo in luce vecchi problemi: Comprensori scolastici con più struttyure anche in più comuni, classi pollaio, strutture fatiscenti, disuguaglianze sociali, emarginazione dei deboli ( i diversamente abili), disagi familiari in casa, povertà materiale ed immateriale, precariato e rotazione interminabili dei docenti…..tralasciando gli stipendi da sempre inadeguati. Ma l’emergenza coronavirus ma ha messo in luce un risveglio generale con la DAD a cui si sono dedicati anche gli insegnanti totalmente incompetenti guidati da esperti, spesso già presenti nella scuola . La DAD ha dato soluzioni inaspettate do al 10 marzo 2020: scuole chiuse si ma evitando un distacco totale non solo culturale ma anche affettivo, senza escludere conseguenze pesanti sia nell’apprendimento che nella vita di relazione di bimbi, preadolescenti ed adolescenti.
Tutte le innovazioni tecnologiche sono entrate nella scuola, inizialmente introdotte da docenti volontari convinti che ogni forma di linguaggio è da esplorare, usare valorizzare senza dimenticare il nostro patrimonio di cultura classica. L’energia della fisicità, della relazione e dell’affettività non è mai stata dimenticata anzi per tanti docenti deve essere incrementata per non trascurare l’obiettivo prioritario dell’inclusione. Le tecnologie sono importanti come strumenti . Il valore della DAD non è nella formula Didattica a Distanza ma nell’uso che se ne saprà fare: è una delle metodologie di un ampio progetto educativo ( della singola classe e dell’ intero istituto e oltre) Credo che sia fondamentale rendere il confronto ancora più severo ma costruttivo ( tra docenti ed esperti con varie competenze) per superare schematismi e tradizioni non idonei, ma soprattutto io auguro che si costruisca sempre più un solido terreno politico per arrivare – certamente in tempi non brevi – ad una Riforma (rigorosa in tutti i suoi aspetti) del Sistema Scolastico Italiano – volto al futuro e in buona compagnia di altri sistemi scolastici d’Europa – e soprattutto che sappia cancellare emergenza, precariato, mancanza di meritocrazia, staticità culturale e frustazioni professionali. BUON CORAGGIOSO LAVORO e per me, ancora, VIVA LA SCUOLA.