di Rosanna Bonsignore
Pensando al 25 aprile, in una conversazione telefonica con Pietro Gargano

In un pomeriggio piovoso, telefono al mio amico Pietro con una certa trepidazione perché voglio mettere in atto un mio desiderio : fare un’intervista al grande giornalista Pietro Gargano. La sua voce mi lancia subito franca adesione, supero l’incertezza iniziale e, già pronta con l’app per la registrazione, propongo sette parole chiavi: Distanziamento, Dolore, Solitudine, “Andrà tutto bene”, Resistenza, Liberazione e Donne.
“Va bene, mi piacciono. Come vuoi iniziare?

Iniziamo dalla parola distanziamento”. Immediata la complicità comunicativa: dialogo fra amici da anni più volte impegnati insieme per valori e “scelte di campo”. Dialogo tanto appassionante che annulla le pareti del proprio studio, irripetibile nel ritmo di domande /risposte /osservazioni intrecciate a riflessioni meditate sulle tragedie disseminate dal COVID 19 e sul vicino 25 aprile.
La sintesi narrativa rileva meglio la densità del dialogo.
Il distanziamento fisico è necessario, imprenscidibile ma non c’è stato l’impegno degli esperti e dei politici a ridurre adeguatamente il distianziamento morale nella popolazione. Dopo la prima settimana di disorientamento – accettabile – soprattutto i mass media (e quindi i giornalisti che dimostano sempre meno autonomia nel loro lavoro) dovevano dar vita a programmi televisivi di livello culturale diverso, senza informazioni ossessive ed evitando banalizzazioni mentre si susseguivano fatti di una profonda gravità. Lo stesso andrà tutto bene poteva avere un effetto positivo sulle persone nella prima settimana, ma poi si è trasformato in un ritornello offensivo di fronte alle tante morti che hanno infierito negli affetti più cari di molte famiglie, dimostrando anche l’incredibile ineguatezza del sistema sanitario nazionale. I programmi di intrattenimento e i social sono tuttora pieni di informazioni poco oneste, ipocrite e contraddittorie, anzi si sono moltiplicate le banalizzazioni con dichiarazioni e annunci lanciati sotto forma di slogan. Il distanziamento fisico, in gran parte della popolazione, ha funzionato e ha dato i suoi risultati per la paura. Da Nord a Sud le persone hanno dimostrato rispetto delle regole e senso di responsabilità perché hanno avuto paura della malattia, del contagio e della morte. Per il futuro ancora non possiamo prevedere quanto durerà il senso di responsabilità e come determinerà i comportamenti collettivi, e non sottovalutiamo i danni causati dalla crisi economica, ancora impensabili.

La crisi economica sarà terribile e certamente causerà dei cambiamenti non solo in Italia, ma nel mondo. Nasceranno nuove forme di povertà e aumenteranno molto le diseguaglianze sociali. Oggi è necessaria più che mai l’ onestà delle informazioni: meno tabelle e più chiarezza nella comunicazione, più rispetto dello spessore umano individuale e collettivo.


Dolore e solitudine sono in correlazione e non possono essere disgiunte dal distanziamento. Il dolore fisico, spesso con inerraribili sofferenze, è diventato straziante per l’inedita solitudine a cui sono stati obbligati sia gli ammalati che mogli e mariti, genitori e figli, parenti ed amici. Il non poter vivere l’ultimo saluto, il divieto a partecipare al dovuto rito funebre (ridotto a qualche minuto di commiato in fredda solitudine anche fisica) lascia incancellabili tracce di sgomento e di dolore per molti: condizionerà il futuro di tante vite personali e familiari. Siamo consapevoli che nelle innumerevoli bare, viste in fila, sono depositati ricordi e memoria storica di un’intera generazione? Al di là del numero terrificante delle morti, sono state dissolte storie, identità e anche pezzi di tradizioni: questo determinerà un peso morale ancora non estimabile. Atroce il trattamento riservato agli anziani, ai saggi vecchi nelle case di riposo : questa è la manifestazione più degradante del nostro sistema sociale.

Il 25 aprile è vicino e da più parti i termini Resistenza e Liberazione vengono attribuite – con forzato valore simbolico, a questo aprile 2020 tuttora troppo legato al Coronavirus.
Nessuna registazione metallica può riportare la singolare energia che prende vigore nel fluire delle parole di Pietro Gargano che ruotano intorno alla drastica affermazione: non c’è alcuna relazione tra Resistenza e Liberazione e l’attualità del Covi 19.
La Resistenza e la Liberazione sono fatti determinati dall’azione coraggiosa di uomini e donne che hanno messo in pericolo, e spesso sacrificato, consapevolemente la loro vita con obiettivi precisi: devono essere ricordate nel loro corretto contesto storico. Anche la parola guerra è stata diffua in modo impropio e deviante. Dobbiamo impegnarci a neutralizzare ogni strumentalizzazione. Negli anni 1943 /1945 per gli italiani (e non solo per gli italiani) il nemico aveva caratteri ben definiti: nazismo e fascismo. Liberazione è stato il liberare il popolo italiano dall’orrenda dittatura che aveva calpestato ogni forma di libertà, violentando diritti umani e civili. Il futuro pretendeva la costruzione della democrazia. Insieme. Dalle macerie della seconda guerra mondiale e dalla scelta della fine della monarchia si è innalzato l’impegno politico a creare (con l’unità delle forze politiche) la Costituzione Italiana e la Repubblica Italiana e, in generale, un mondo più giusto. Non si può trovare alcuna analogia tra la pandemia dell’oggi e la resistenza di più di settantacinque anni fa, nessun confronto tra il bisogno, la necessità e la volontà collettiva di superare questo aprile 2020 – fatto di lutti con un nemico ancora non ben conosciuto e quindi ancora non vinto – e la festa del 25 aprile 1945. Senza alcun indugio è da considerare inaccetabile la proposta dell’on. La Russa di trasformare la festa della Liberazione nel “giorno in memoria dei caduti di tutte le guerre, compreso il ricordo di tutte le vittime del Coronavirus». Speriamo che questi messaggi fuorvianti siano ben rifiutati dagli italiani.

Ultima tappa del nostro dialogo: Donne… e la franchezza di Pietro riprende un bel volo, e lo immagino sorridente e complice quando sentenzia “La nostra forza, il nostro sostegno. Come sempre nell’emergenza e nelle situazioni concrete le donne sono intuitive, attive, infaticabili. Sanno unire, sono il vero asse portante di ogni famiglia. E poi in questo periodo, chiusi in casa, hanno un merito in più: sopportano noi uomini che probabilmente siamo diventati insopportabili.”
Credo che Pietro abbia percepito il mio piglio di donna ( a mio modo battagliera) ma io ho ascoltato bene le sue colorite espressioni in napoletano rivolte agli uomini.
Non le riporto perchè ….largo all’immaginazione.



NB: Fra qualche giorno a Pietro narrerò del mio immergermi, per la seconda volta , nel suo sbalorditivo libro del 2015 : Lenuccia di vico Neve a Materdei, Protagonista delle Quattro Giornate che salvarono Napoli e gli ebrei (Tullio Pironti Editori).


La puntualità del cronista – che nel pieno della giovinezza anche professionale ha attraversato varie zone di guerra – in queste pagine è risorsa per il romanzo appassionante nato da un lavoro certosino con ricerca documentata . L’acuto conoscitore di Napoli – che sa penetrare nei colori antropogici della città e nell’animo di chi ci vive con vera passione – esprime la drammaticità dei fatti con qualche tocco di raffinata ironia che può emerge solo dall’uso schietto del dialetto napoletano, e da chi lo possiede come struttura culturale della propria storia.
La durezza del racconto di Pietro aggangia e non permette l’abbandono della lettura perchè inaspettatamente il linguaggio diventa lieve e spinge a stare nella storia, anche se cruda. Così prende sempre più luce – come in una preziosa pellicola di un film storico – la trama delle ribellioni di quartiere , di barricate improvvisate, di strategie vincenti nella nostra Napoli delle Quattro Giornate del settembre ‘43 . Soprattuto emerge la potenza dei gesti piccoli e grandi, individuali e collettivi, consapevolmente coraggiosi e inconsapevolmente coraggiosi, delle azioni razionali e di quelle incuranti del pericolo, di operazioni lucide e di quelle con sentimento. Uomini, donne e anche ragazzini si ritrovano concretamente alleati per raggiungere lo scopo vissuto come collettivo : cacciare I tedeschi!“ Bastarono quattro giornate di furia e quattro righe di un dispaccio – emerse dagli archivi della Cia – a impedire che cominciasse da Napoli la deportazione degli ebrei verso le camera a gas. L’operazione infame venne impedita perché “il clima della città era ostile”, ovvero il popolo combatteva “vico vico” ……Napoli, prescelta come remissiva tappa d’avvio alla “soluzione finale” del problema ebraico, fu l’unica grande città d’ Europa a salvare donne e uomini, vecchi e bambini nati sotto la stella di Davide….Questo romanzo dà conto di quanto avvenne alla fine di settembre del 1943, restituendo le esatte dimensioni di un’epopea. Lo fa attraverso la storia di Lenuccia, l’unica napoletana decorata al valor militare, raccontando le sue battaglie nello scenario corale della rivolta, la sua attività nei servizi segreti inglesi, la sua amarezza nel trovarsi come avversari politici quelli che erano stati suoi compagni di barricata, la ribellione alla perdita collettiva della memoria. La vicenda umana di Lenuccia diventa così parabola della decadenza della città e di una straordinaria occasione perduta(P.G.).

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1 commento

  1. Interessante intervista , le parole chiave su cui ruota il colloquio sono calzanti ed appropriate al momento storico che stiamo attraversando. Pietro Gargano , mai banale sempre profondo nelle sue analisi. Ho trovato simpatico che questa volta sia stato lui ad essere intervistato.
    Mi ha molto incuriosito il libro su Lenuccia, la cui figura mi ha sempre affascinata. Appena finirà la quarantena correrò a comprarlo. Brava Rosanna!

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