Il voto al Parlamento europeo ha plasticamente reso la complessità del passaggio e le sue intrinseche difficoltà.
Il passaggio, come stiamo vedendo, è di quelli davvero impegnativi. Tutte le culture sono sottoposte a tensione. Le rotture, le accelerazioni si susseguono e reclamano la capacità di costruire risposte all’altezza.
La maggioranza di Governo si è spaccata. su un tema dirimente, FI e, alla fine, FDI votano a favore del Piano della Commissione e Lega contro. FI vota a favore della risoluzione in favore dell’Ucraina che contiene un timido accenno di critica agli USA, la Lega contro; FDI si astiene : e andranno avanti come se nulla fosse. In altri tempi il Governo si sarebbe presentato dimissionario alle Camere.
Non meno grave e grande lo sbandamento a sinistra. A cominciare dal sostegno del PSE al Piano di Riarmo come crudamente la Presidente della Commissione l’ha chiamato: il segno di una crisi strutturale delle forze socialiste e socialdemocratiche che appaiono del tutto incapaci di rielaborare una prospettiva diversa.
Il PD, con la delegazione più grande nell’ambito del PSE e del Gruppo Socialisti Democratici, si divide praticamente a metà: nessun voto contrario, 10 voti a favore e 11 astensioni.
Il segno chiaro di un impasse strategico raggiunto dalla linea della Segretaria Elly Schlein.
Forse la sua segreteria ha raggiunto un punto limite di capacità espansiva; ha consumato le sue risorse tale per cui o attinge a nuove o il pericolo di un deragliamento è forte.
E se volete, torna in qualche modo il segno del tragico di questo tempo: quando più ci sarebbe bisogno di una forza di tenuta della società, di orientamento forte nel suo profondo, in un momento di crisi acuta quale quello stiamo vivendo, questo riferimento proprio a sinistra viene meno.
Non si può non dare atto alla Segretaria del PD di avere compiuto uno sforzo generoso che ha rimesso in piedi un partito inconoscibile dandogli una visibilità sociale e una ripresa di suo dialogo con il paese.
E da questo punto di vista davvero appaiono quantomeno ingenerosi gli attacchi, i distinguo, le polemiche, fino alla rottura del voto di ieri. Tanto più se avvengono spesso ad opera di esponenti di aree e culture politiche, sia di origine tardodemocristiana che tardopentitacomunista che sono direttamente responsabili dell’inabissamento precedente.
E però la realtà preme e non ammette più mezze misure, altro che favoleggiamenti di spazi neocentristi…., e lo stesso procedere a salti, per campagne emblematiche, per simboli sembra appunto essersi esaurito ed emerge che le risposte all’altezza non si danno senza sviluppare una visione ricca, prospettica e capace di cogliere – oltre il frammento, il singolo evento, la mossa dell’ultimo momento, la polemica ultima – le tendenze di fondo dei processi aperti che reclamano un di più di visione e strategia generale.
Ed è questo il punto debole di questi quasi tre anni di Segreteria con un equivoco che risale alla stessa nascita del PD non risolto.
La nuova Segretaria ha detto una cosa chiara: un partito di sinistra non può riconoscersi solo nella dimensione del potere. Per un partito malato di governismo a tutti i costi, a tutti i livelli, fino a conformarsi sempre più come aggregato di potere, dimidiato tra centri autoreferenziali e verticalizzati di correnti e gruppi in lotta tra di loro in una dimensione che respinge la costruzione della partecipazione, del protagonismo dal basso, del confronto libero e ricco di idee, è stata una rottura non da poco.
Ma, non bastando, non essendo sufficiente questa traccia, senza svilupparne ulteriori, a cominciare da una nuova stessa forma partito, il passato si sta mangiando il presente.
E allora, di fronte alla sfide di questo tempo, non è eludibile l’equivoco non sciolto.
L’Italia, e l’Europa, hanno bisogno di un Partito Democratico più netto e radicale anche nelle sue posizioni – e quindi è lì che occorre far convergere ogni sforzo per sperare in una prospettiva nuova – che però non ponendosi il tema di leggere criticamente le dinamiche profonde della società non riesce a disvelarne – per contestarli, per costruire alterità e alternativa – i meccanismi di sfruttamento che sono propri del capitalismo, e tanto più della sua dimensione ipertecnologica e neofeudale che si sta vivendo ora e che non a caso tende a travolgere gli stessi istituti della democrazia liberale.
O invece l’Italia , e l’Europa, hanno bisogno di una forza politica che proprio di questa capacità di lettura critica faccia il suo tratto distintivo per restituire alla sua stessa visione e azione la realtà di una società certo frantumata ma nella quale operano nuove dimensioni di sfruttamento di classe, di ingiustizie sociali, di processi estrattivi di vita e di valore che dal basso sono indirizzati verso oscene concentrazioni di potere e di ricchezza, con il supporto di una innovazione tecnologica non pensata socialmente ma ideata e gestita in funzione della riproduzione sistematica di questo processo di espropriazione molecolare?
E dunque quanto sa di vecchio questa discussione sul riformismo e dei riformisti…Come scrive Mario Tronti nel suo Postumo, se non pensi la rivoluzione non riesci ad ottenere neanche le riforme e quindi non c’è contraddizione tra i due termini.
Oggi, dopo la sconfitta novecentesca e nella crisi dei vincitori che sta trascinando il mondo in una dimensione senza futuro – di cui corsa al riarmo e crisi climatica sono manifestazioni evidenti – serve coltivare l’alterità per riaprire uno spazio per il possibile nella contingenza.
Questa è la funzione della sinistra: stare, muoversi nella realtà del proprio tempo; restituire strumenti e protagonismo ad una nuova aggregazione sociale tutta da leggere, nel lavoro e oltre il lavoro, ad un proprio popolo senza il quale diventi pura forza omologata e omologante; alimentare una inedita tensione verso il futuro.
In questo davvero, le idee espresse in queste ore da Prodi, Fassino e Veltroni in merito al Riarmo manifestano una posizione omologata ed omologante, appunto. Mentre le avvertenze e le esigenze di una radicalità del bisogno di pace e di nuova visione delle relazioni internazionali e del governo del mondo sono espressione propria del Papato di Francesco. E quindi, chi è più cattolico di chi? Chi è più riformista di chi?
Mi sembra che questo dilemma, che è nella realtà, non sia presente e non sia vissuto nella costituzione materiale del PD che ne fa quindi forza che anziché avvicinare la soluzione dell’equivoco, la allontana.
Certo non sono i 5S risposta al tema: come si fa ad essere contro il riarmo, giustamente vivaddio, e avere simpatie per Trump che, insieme a Putin, lo sta incoraggiando?
AVS mi sembra invece, piuttosto che – sollecitata da una significativa crescente consistenza elettorale – elevare le proprie ambizioni sociali e politiche, prepararsi ad un mero ampliamento di personale politico rappresentato.
Ed ecco la gabbia che blocca e frena. Come spezzarla? Come superarla per liberare forze e aggregarne di nuove?
La divisione nel Gruppo al Parlamento europeo forse annuncia proprio che i margini per la prosecuzione dell’equivoco sono consumati.
E non sarebbe allora meglio e non distruttivo ragionarci prima di agguati congressuali, di rotture dolorose, di lotte di ceto politico, di nuovi segretari per partiti vecchi?
Di questo, proprio nel fuoco di questo tempo, bisognerebbe discutere.
E nel frattempo?
Ciascuno faccia il meglio che può.
E l’opposizione sia sempre di più argine democratico e sociale attivo. Che già non sarebbe poca cosa.
Gianfranco Nappi
Un post scriptum in tema, sulla Campania
In tutto questo, la vicenda campana, ancora aperta e, nei fatti, affidata per gli speranzosi ad una sentenza chiara della Suprema Corte, è davvero una cartina di tornasole: a testimonianza della coerenza della Segretaria del PD ma anche della sua debolezza. E con il paradosso peraltro di ritrovarsi, se va bene – al momento decisivo della svolta necessaria e cercata – con in larga misura ad interpretarla gli stessi uomini e donne che in questi anni sono stati ossequiosi nei confronti del Capo ed ora, lo mollano e si predispongono a rinovellarsi senza alcuna discontinuità reale sul terreno dei contenuti e delle pratiche.
Davvero in questo, sono paradigmatici la vicenda della nuova legge urbanistica votata dal Consiglio Regionale, in modo consociativo nei fatti con l’opposizione di centrodestra, che spinge ad un ulteriore consumo di suolo e ad una socialmente iniqua esaltazione della rendita fondiaria; la violazione palese dello Statuto regionale con il mancato esame della Proposta di Legge di Iniziativa Popolare Regionale Rigenera; il mancato sostegno al Regi Lagni Progetto Giardini d’Europa per riqualificazione ambientale strutturale della Campania Felix diventata Terra dei Fuochi; l’assenza di ogni iniziativa per una nuova gestione di energia e rifiuti ( da ultimo la corsa a realizzare non una rete di impianti a dimensione territoriale diffusi ma invece sempre la dimensione mega, in questo caso un Biodigestore tra i più grandi d’Italia che alimenterebbe un flusso di mobilità di trasporto su scala regionale, il tutto collocato nel cuore dell’areale del Greco di Tufo dell’Appennino irpino…); fino alla Dubai napoletana di Porta Est , rincorsa alla verticalizzazione della cosiddetta rigenerazione urbana….: la Segretaria, il suo gruppo dirigente, i suoi Commissari che hanno il partito ‘in mano’ senza averlo e senza cambiare alcunché aprono bocca su queste questioni non piccole? Già sarebbe un inizio. G.N.