Prima ancora di addentrarmi nel merito, parto dalla considerazione di un fenomeno cui, nonostante la pertinacia che mostra, non riesco a rassegnarmi: la tendenza alla divisione rafforzata dai toni ostili branditi contro chi la pensa diversamente, pur appartenendo allo stesso campo per largo che sia.

Ho letto di tutto contro Michele Serra che, ricordo, non è l’editorialista di Repubblica e, dunque, facitore o espressione della sua linea, ma un onesto artigiano della riflessione condivisa su temi ,talvolta marginali, talaltra nodali, scritte con parole che molto spesso intercettano e assomigliano a quelle cui in tanti e tante non professionisti della politica né maître/maitresse à penser ricorriamo, nel tentativo di dare un ordine minimo (non una logica) al racconto di ciò che, a tutti i livelli, accade intorno a noi.

L’accanimento critico si è, com’è ovvio in ambiente social, allargato a chiunque (ingenuamente come minimo) considerasse di rispondere all’appello.

È stato scritto che la piazza del 15, per chi decida di parteciparvi con adesione o con ogni propria interpretazione e motivazione, si risolverà sostanzialmente in una seduta consolatoria di auto-psicoterapia di gruppo. Non lo escludo, ma nondimeno mi sembra assai riduttivo, meglio, ingeneroso usare questo argomento con intenti biasimevoli quando, da sempre, ritrovarsi in piazza ha avuto e ha anche questo desiderabile effetto di ricarica civico-politica.

Personalmente, quando ho appreso dell’appello di Serra (prima ancora di leggerlo) ho avvertito proprio quel benefico fremito anti-impotenza, l’occasione – non a caso, forse, non offerta da un attore politico/sindacale – per riprendere parola pubblica in un tempo nefasto e tragico in cui, senza più neanche l’ipocrisia di una qualche forma di dissimulazione, decisioni drammatiche vengono assunte sulla testa e contro il volere, io credo, della maggioranza delle persone, sicuramente in quelle nel cui sentire ci riconosciamo (sempre più o meno, per carità!). Certo, l’appello di Serra, lanciato prima della dichiarazione di ReArm di Ursula von der Leyen, aveva un’intonazione generica, perfino romantica (aggettivo che ancora una volta tradisce la perniciosa tendenza a sminuire i sentimenti, mentre, d’altro canto, si va lamentando l’assenza di una politica – o di un leader, che è più semplice – che “scaldi” i cuori!), e che avrebbe dovuto essere riformulato, esplicitando per quale Europa (Spinelli, Berlinguer, ecc) si intendeva chiamare a sostegno la piazza. È stato scritto che, alla luce del ReArm, avrebbe dovuto sconvocarla quella piazza. Come a dire che, visto i governanti che periodicamente ci ritroviamo, dovessimo ritirarci dall’Italia, o augurarsi che vada definitivamente in malora.

La manifestazione è stata accusata di non avere una piattaforma e, probabilmente è vero, ma non così indesiderabile da chi voglia, davvero, uscire da vecchi schemi e sperimentare alleanze, anche mobili, basate su un minimo comune denominatore, indispensabile terreno si coltura perché dal pensiero critico si sviluppino piante rigogliose di resistenza prima e cambiamento poi.

Ognuno/a può contribuire alla definizione della piattaforma. Con bandiere o contenuti. Alcuni esperti, per esempio Landini, Luigi Ferrajoli (Costituente per la Terra), Fabrizio Barca, Elena Granaglia, Andrea Morniroli hanno già fornito i loro importanti contributi.

È stato scritto che una piazza così scarsamente “certificata” (ovvero senza padrini politici) sarà facilmente strumentalizzata. E quando mai ci siamo preoccupati delle – inevitabili – strumentalizzazioni e/o delle manipolazioni giornalistiche? O abbiamo creduto ai numeri delle varie prefetture invece che ai nostri occhi?

Alla fine, credo che sotto sotto bruci una certa sfiducia in sé stessi/e, nel potenziale egemonico della nostra cultura. E invece io sono convinta che le nostre siano buone ragioni, anche se hanno perso una voce unitaria che le proclami (ma, anche, che in parte le standardizzi) con sonorità novecentesca.

Insomma, sabato io andrò a Roma, ma solo se trovo un treno comodo, perché – ahimè – so che non mi cambierà la vita. Perché, temo, avremo perso una buona occasione di manifestarci, o almeno provarci, come un noi, un noi plurale ed eterogeneo, ma un noi. Purtroppo.   

Iaia De Marco

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1 commento

  1. Io vorrei andare a Roma proprio per immergermi tra le tante persone per ascoltarle, conversare senza linguaggi fatti di slogan, per cogliere le motivazioni anche delle diverse ” posizioni” e ” proposte per il futuro”…e vorrei andare proprio con gruppo / pullman di InfinitiMondi…ma devo scegliere di sentirmi partecipe da qui per prevenzione/ prudenza di salute….Di fatto è più importante che sia in buona forma e produttiva qui nella nostra città…e sorrido nel ricordo dell’ immensa manifestazione ai Fori Imperiali …non.ricordo l’anno e coltivo sempre fiducia e tenacia per un.futuro migliore. Vicino e lontano. Di pace🌹

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