Sono ormai quasi sei settimane che gli insegnanti incontrano i loro soliti studenti nelle loro solite classi, in una condizione che però è tutta insolita. Le classi non sono più quelle dei banchi scritti e accostati uno all’altro, dove si possono avvertire i pensieri del compagno o della compagna di banco senza neanche essere intenzionati a farlo, da cui si esce per andare in bagno ma in cui alla fine l’uscita diventa una possibilità per sgranchirsi le gambe e prendere aria, per riposare la mente, per trovare un momento per se stessi lontano dall’inchiostro e dalla carta.
Sono una studentessa e posso dire che a primo acchito può sembrare che non sia cambiato quasi niente: noi studenti continuiamo a prendere appunti, i professori a spiegare, ogni tanto ci alziamo e proviamo a sgranchire le gambe. Queste ultime, però, non ci rispondono come quando erano libere di girare nei corridoi degli edifici scolastici. Il loro raggio d’azione è quello racchiuso tra le quattro mura della cameretta, del salone, a volte della cucina; non avverto più i pensieri del mio compagno di banco, non vedo sprazzi di persone appartenenti alla comunità scolastica vagare per il cortile, la voce della mia professoressa di italiano mi sembra meccanica, snaturata dietro quello schermo a scatti.
Decisamente non è lo stesso.
Il 17 marzo la ministra dell’educazione Azzolina ha varato il primo decreto sulla didattica a distanza: anche nel mio liceo, classico, la dirigenza e i professori si sono trovati a dover seguire l’ordinanza, che si è moltiplicata fino ad oggi domenica 18 aprile in decreti diversi ma sostanzialmente uguali. La loro uguaglianza si scorge nei quaranta minuti delle videolezioni su Zoom, degli allegati su Edmodo, Google Classroom ed altre piattaforme che non sono cambiate. La situazione resta la stessa, le nostre gambe ancora non riescono a sgranchirsi; nonostante ciò, sembra che qualcosa sia cambiato nel rapporto con lo studio: è più difficile insegnare e più difficile apprendere, il manto opprimente della pandemia ci schiaccia senza distinzioni in una condizione di caldo insopportabile che ci fa distrarre dagli obiettivi scolastici giornalieri.
Senza dubbio, è più inevitabile che necessario continuare la scuola secondo questa modalità: la concentrazione è poca e la frustrazione è molta. Svariate sono le agevolazioni che sia insegnanti sia studenti hanno ottenuto, a partire dalla riduzione del tempo di (video) lezione fino ad arrivare ad una comprensione non decretata, non scritta. Continua a permanere però il problema dell’affrontare le lezioni: gli studenti -la comunità di cui faccio parte- non si sentono psicologicamente in grado di sostenere colloqui di verifica orali o scritti. Certamente la comunità studentesca ha ora la possibilità di migliorare la personale autonomia nello studio, dal momento che non incombe il peso del ‘compito del giorno dopo’. Ciò, però, più che una vittoria sembra essere una sconfitta: l’attenzione è difficile da mantenere, il gravoso peso della situazione che stiamo affrontando risulta insostenibile, ci sfugge ormai dalle nostre mani, si presta a noi come qualcosa di più grande delle nostre forze ed è impossibile conservare la costanza ed applicarla ogni giorno, è difficile dimostrarsi motivati.
Oltre queste problematiche di carattere psicologico, esistono ancora problemi reali: c’è chi a casa deve affrontare quotidianamente problemi familiari e non ha -eventualmente- neanche il tempo materiale di mettersi davanti ad un computer, che probabilmente non ha, problema che non tutte le scuole -nella loro autonomia- stanno affrontando con la giusta serietà. Molti studenti, per lungo tempo e forse ancora adesso, non sono stati a conoscenza della possibilità di poter prendere un computer in prestito dalla scuola, di come fare, e anche di come poter usufruire della connessione internet gratuita (per coloro che riscontrano difficoltà di wifi) e offerta dal Ministero. Questo è accaduto ed accade probabilmente perché i dirigenti scolastici non si sono trovati ad avvisare tempestivamente le famiglie di questa possibilità o di chiedere ai docenti di informare i propri alunni ed alunne.
Ulteriori problematiche si possono riscontrare poi nell’attegiamento di più di un insegnante che si trova a dover a che fare con una didattica lontana anni luce dalla propria preparazione, avendo a che fare con piattaforme e funzioni digitali che risultano alla fine troppo sconosciute e ardue per esser applicate con naturalezza. Di conseguenza, vacilla anche lo spirito di adattamento e la tendenza a comprendere che dietro un’assenza ad una videolezione oppure una consegna mancata di un compito non si nasconde la noncuranza o svogliatezza degli studenti, ma un triste e sfortunato salto di connessione. Questo è anche il motivo per cui dovrebbero esistere griglie di valutazioni più morbide, una riduzione del quantitativo dei programmi di ogni materia (che già è stato ultimato, anche per gli esami di stato) e un massimo di assenze da parte dello studente per considerarlo effettivamente assente, invece che considerarlo tale per un problema di connessione. Gli sforzi ci sono, ma forse manca il giusto adattamento e la giusta comprensione.

Mettersi nei panni degli altri è senz’altro difficile, in una situazione del genere in cui anche il vicino ti sembra nemico, ma è più che necessario e lo strumento per farlo pUò essere -forse paradossalmente- la vicinanza che la cultura ci conferisce, in quanto nostra madre comune, in quanto “fatti non” fummo “a vivere come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (vv.119-120, canto XXVI dell’Inferno, dalla Commedia, Dante Alighieri).

Camilla Panniello, IV anno del Liceo Classico


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1 commento

  1. ciao Camilla bella la tua testimonianza, sono tempi duri e fare scuola senza scuola è un’impresa quasi impossibile, un ossimoro.
    Noi docenti abbiamo bisogno vitale di voi e voi di noi di vedervi, di stare insieme in quel posto in cvui crescete chiamato aula, che quando il virus ce lo vieta, per quanto bistrattato, ci manca come l’acqua. Perchè la scuola, al di là di ogni retorica, è un posto unico dove si entra bambini e si esce cittadini, forse per una società è il posto più importante anche se in Italia in particolare si fa fatica a consideerarlo tale.
    Comunque anche questa esperienza coercitiva ci sta insegnando qualcosa a noi tutti, e può darsi che se ci impegnamo ed avremo un pò di coraggio, ne usciremo migliorati tutti, con una scuola più all’altezza della contemporaneità.
    in bocca al lupo!

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