Nei giorni scorsi, ancora su la Repubblica l’autorevole studioso di scienza politica Carlo Galli ha riflettuto sul dilemma che secondo lui si pone di fronte alla sinistra in Europa dopo il ritorno di Trump alla Casa Bianca e alla accelerazione che ha impresso nella torsione personalistica e per tanti versi autoritaria alla ‘sua’ versione di democrazia.
In buona sostanza, dice Galli, la sinistra ha di fronte a se’ due strade: o ribadire il valore delle sue idee, del suo orizzonte politico-culturale liberaldemocratico e/o socialdemocratico con annessa difesa dell’impianto europeista sic et simpliciter o provare a contendere il terreno alla nuova destra sul suo terreno, diventando in qualche modo anch’essa, la sinistra, propugnatrice di modelli accentrati di governo, sempre più personalistici e magari mutuando anche alcuni dei contenuti della destra, dal riarmo alle politiche nei confronti delle migrazioni ( quanto è accaduto in queste ore al Parlamento tedesco sembra proprio essere indice di una deriva del genere con la CDU che ha bene accettato i voti dell’AFD alla sua mozione che reclama una stretta forte contro i migranti ).
Ma è proprio vero che la scelta di fronte alla sinistra si riduce al dilemma cornuto prospettato da Galli? E non è forse che è proprio il rimanere sull’uno o sull’altro corno del problema la fonte primaria della crisi della sinistra, della sua identità e della sua capacità di essere in sintonia con il tempo presente senza adeguarvisi passivamente?
E’ proprio lo sconquasso in atto, con le sue accelerazioni potenti di fronte a noi, tutte riconducibili alla crisi dell’attuale modello di sviluppo capitalistico ( ovviamente se non si conviene su questo punto allora c’è poco da discutere e non si va oltre l’orizzonte di Galli ), che spinge per svuotare lo stesso già ben misero patrimonio democratico liberale, che fa emergere come sia urgente e necessario un nuovo lavoro di alternativa, di critica radicale, di prospettazione di nuovi modelli di organizzazione della società fondati su nuovi principi e nuove priorità di liberazione umana, di solidarietà e giustizia sociale e ambientale, su un’altra concezione, pratica e finalizzazione della potenza tecnologica.
E’ proprio l’aver autointerdetto alla sinistra questa ricerca che l’ha esposta al solo duplice scenario di cui parla Galli: o inessenziale e senza più forza, con l’esaurimento del paradigma liberaldemocratico e riformistico-socialdemocratico nei confronti dei quali la forza di tutti i Trump che si aggirano al di qua e al di là dell’Atlantico, anche forti di una reale base sociale, appare capace di rompere ogni argine di resistenza; o pienamente subalterni e senza identità fino al punto da sposare le parole d’ordine e gli stilemi culturali della destra avversaria.
Se questo dilemma si vuole rompere bisogna far saltare il banco, far irrompere l’aria nuova di un pensiero critico che sappia, con pazienza, tenacia, lungimiranza, capacità di suscitare nuove passioni sociali, ricostruire l’orizzonte di una alternativa.
E insisto su questo punto: il solo lavorarci, il solo pensarlo possibile, già cambia il tono e da’ forza alla resistenza nella contingenza.
E però qui viene la domanda ineludibile e sempre ricorrente: ma nel panorama politico reale dei partiti attuali, dove stanno le energie per porsi un obiettivo del genere?
E’ certo che da essi non si può prescindere. Ma è altrettanto vero che con essi non si va lontano se non saranno capaci di aprire una fase nuova della propria vita e concezione e pratica della politica.
Gianfranco Nappi