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…Il suo ultimo decennio di vita si svolgeva interamente nelle istituzioni — con la sola parentesi del biennio 1986-1988, quando era chiamato a dirigere «l’Unità» — prima come capogruppo dei senatori comunisti dal 1983 al 1986, quindi alla presidenza della commissione antimafia dal 1988 al 1992[1], gli anni in cui lo Stato compiva il suo salto di qualità nel contrasto alle mafie con il varo della legge Rognoni-La Torre, le norme sui collaboratori di giustizia, la nascita della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia. Una lunga milizia al servizio delle istituzioni repubblicane che si concludeva nel 1992-1993 con la presidenza della commissione bicamerale su segreto di Stato[2].

Contemporaneamente, partecipava al dibattito sul rinnovamento del PCI, un confronto che si animava e approfondiva con il deflagrare della crisi del blocco sovietico e del crollo del muro di Berlino, nel novembre 1989. Chiaromonte non condivideva affatto il metodo e i toni di Achille Occhetto, giudicando sbagliata l’enfasi sulla discontinuità con la quale il segretario ammantava il suo nuovo corso. «La necessità assoluta di ragionare in termini nuovi, e di vincere ogni inerzia intellettuale», scriveva Chiaromonte nel 1990,

sembra che debba coincidere non solo con la necessità di una riflessione assai critica o anche di cambiamenti radicali e perfino di rotture rispetto al proprio passato, ma con l’opportunità di sbarazzarsi di questo passato come qualcosa di inutile, ingombrante, dannosa […] Io credo che a questa tentazione sia necessario resistere[3].

In altri termini, per Chiaromonte si andava oltre, come era necessario fare, sviluppando la propria storia, non recidendo le proprie radici. Soprattutto, rimarcava, si poteva andare oltre Togliatti solo grazie a Togliatti[4], all’impostazione politica unitaria del partito nuovo, della democrazia progressiva, dello stesso compromesso storico berlingueriano – letto, anche quest’ultimo, in chiave di forte continuità con l’impianto politico originario del partito nuovo. In altri termini, la sua critica alla svolta del 1990-91 non insisteva affatto sull’abbandono dell’ispirazione e dei simboli del comunismo, quanto piuttosto sull’idea che essa potesse avere una qualsivoglia vitalità dopo aver rivendicato una rottura tanto radicale da spazzare via tutta la precedente vicenda del PCI. Sulle macerie non si poteva costruire nulla. Inoltre, era necessario evitare una contrapposizione con il PSI che, al di là della dialettica e delle polemiche contingenti, impedisse poi di lavorare a quelle convergenze di medio-lungo periodo, necessarie per ipotizzare una funzione e uno spazio per una sinistra di governo. Ma quello che più lo faceva soffrire era l’abbandono della caratterizzazione socialista della nuova forza (la cosa) immaginata da Occhetto, schierandosi esplicitamente contro gli intellettuali alla Flores D’Arcais, ai cultori della società civile e della sinistra dei club. Non lo faceva per rivendicare l’unificazione-assorbimento-fusione nella casa di Craxi. Al contrario, sottolineava Chiaromonte, bisognava dar vita a «un partito  autonomo […] ma che abbia, fra i suoi obiettivi, la prospettiva della “ricomposizione” delle forze socialiste, e che per questa lavori»: per la «trasformazione possibile» «dell’attuale società»[5].

Moriva qualche anno più tardi, il 9 aprile 1993, dopo la tragica scomparsa dell’amico Giovanni Falcone e i primi bagliori di una degenerazione del sistema politico che sembrava promettere nulla di buono. L’anno dopo Berlusconi rubava la scena e imponeva nuovi linguaggi e stilemi, più consoni al mezzo televisivo e a un’idea della politica ridotta a slogan da consumare nel più breve tempo possibile.

Un mondo che non sarebbe piaciuto a Gerardo Chiaromonte, un combattente della covata togliattiana che se ne andava a testa alta. “


[1] La commissione bicamerale aveva lavorato dal 1962 al 1976, producendo tre relazioni (una di maggioranza e due di minoranza). Era stata ricostituita nel 1982, dopo gli omicidi di Pio La Torre e di Carlo Alberto Dalla Chiesa, sotto la presidenza di Abdon Alinovi. Ampliati i suoi poteri nel 1988, era nuovamente ricostituita nel luglio 1988, quando era appunto affidata a Gerardo Chiaromonte.

[2] Cfr. G. Cerchia, Gerardo Chiaromonte, una biografia politica, cit.,pp. 247-253.

[3] G. Chiaromonte, Col senno di poi. Autocritica e no di un uomo politico, cit., p. 4.

[4] Cfr. ivi, p. 20.

[5] Ivi, p. 230.

DALL’ARCHIVIO FOTOGRAFICO INFINITIMONDI-MARIO RICCIO

Settembre 1973. Sala Mario Alicata Federazione PCI Napoli in Via dei Fiorentini. Gerardo Chiaromonte conclude l’Attivo straordinario sull’emergenza colera e sul colpo di Satato. Alla presidenza si riconoscono Abdon Alinovi, Andrea Geremicca, Aniello Borrelli, Geppino D’Alò, Eugenio Donise

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