Benché le cronache odierne si dividono fra le “purghe zelenskjiane” e i “controversi amori fra Gennaro e Maria Rosaria”, proviamo a parlare di roba più seria: il Lavoro con sue implicazioni e ricadute.
APPUNTI PER IL LAVORO: fra la propaganda bipartisan, la ricerca smodata del consenso politico e consapevolezza di ciò che andrebbe fatto ma non si fa.
Riapre il Paese reale e settembre è il mese dei buoni propositi. E fin qui ovvio niente di nuovo.
Già immagino le proposte politiche per eccitare le curve ma senza realmente favorire l’ingresso per tutti allo stadio. Ed il campionato è appena iniziato.
Lo andiamo dicendo in modalità finanche dura e logorante: la questione centrale è il LAVORO!
La destra vuole cavalcare la “contrattualità nazionale”, per tutti i lavoratori, peraltro spesso in ritardo di anni per il rinnovo.
La sinistra il “salario minimo per legge” e la “riduzione dell’orario di lavoro”, in verticale ed in orizzontale.
Tutte queste idee hanno ovviamente la dignità; ma resta un’anomalia tutta italiana: i salari reali sono più bassi di quelli del 2000; e se e quando aumentano, il tasso di crescita dei prezzi si mangia tutto o quasi.
I sacrifici delle famiglie vanno così a vuoto; poi riusciamo a creare “nuovi poveri in giacca e cravatta”, come suole dirsi.
Perché accade tutto questo? È castigo divino?
No, il nodo per l’Italia è la “scarsa produttività”.
Secondo ILO – International Labour Organization – in Italia un’ora di lavoro ha generato nel 2023 circa 62 dollari di valore, contro i 68 di Francia e Germania, i 70 degli Stati Uniti e gli 80 dei Paesi Bassi.
Questa è una storia che ci trasciniamo da circa 40 anni. E si badi bene: la colpa non è dei lavoratori fannulloni, ma di un sistema produttivo che da una parte, non ha investito abbastanza e dall’altra, ha scelto di non puntare sui settori a più alto valore aggiunto.
Nessuno sembra intenzionato ad intraprendere le necessarie politiche di medio periodo!
Motivazione: chi potrebbe avviarle se si sa in partenza che difficilmente ne potrà raccogliere i frutti in termini di consenso in tempo utile?
Nel mentre, è vero che sono aumentati gli occupati. Ma se la torta non cresce e i commensali aumentano, significa che per ciascuno la “fettina” è sempre più piccola.
Non occorre un master in economia del lavoro per comprendere tale ovvietà!
Cosa potevano fare e hanno fatto gli italiani per fare fronte all’aumento del costo della vita e all’immobilità dei salari?
Semplice: sono state percorse tre strade.
* La prima: diminuire i risparmi o, se preferite, erodere quelli esistenti.
* La seconda: ridurre i consumi, soprattutto abbigliamento, viaggi, cura della persona; ahimè anche su cure e visite mediche.
* La terza: aumentare gli straordinari, come conferma Istat; anche se un lavoratore dipendente su sei fa straordinari non retribuiti e questa è una vecchia patologia che nessuno vuole curare, in assenza poi di controlli ed ispettori del lavoro, proliferano furbi datori di lavoro.
Proviamo, senza urtare troppo gli “ultrà” della politica politicante, a dire qualcosa entrando più nel merito di proposte avanzate e delle questioni concrete.
Molto si parla di settimana di 4 giorni e di riduzione oraria a 32 ore (pronta una proposta per fare ammuina in commissione camerale); ma si tratta di un’operazione praticabile per una minoranza di lavoratori con retribuzioni elevate, in settori ad alto valore aggiunto come chimica, farmaceutica, informatica.
Per gli altri meglio qualche ora di straordinario, ma pagato giusto, per compensare la riduzione del potere d’acquisto dovuta all’aumento dei prezzi a volte anche ingiustificato.
Per non parlare di quelli che hanno un contratto “part time” ma vorrebbero lavorare a tempo pieno. O di quelli contrattualizzati con un “part time” ma che, per non essere licenziati, devono lavorare finanche più di 8 ore.
Nei contratti nazionali (in Italia coprono il 93% della forza lavoro) ci sono situazioni diverse fra loro:
* bancari hanno strappato un aumento contrattuale record di 435 euro/anno;
* metalmeccanici hanno toccato i 310/anno;
* commercio ha portato a casa 240/anno più 350 euro come una tantum (ma in questo caso bisogna tenere presente che l’accordo era scaduto a dicembre 2019).
In difficoltà è il pubblico impiego, ancora in attesa dei rinnovi per il triennio 2022÷2024, e la crescita retributiva è sostenuta solo dalle indennità di vacanza contrattuale ai dipendenti solo però delle amministrazioni non statali.
Ma qui il mantra è: “penalizzazione retributiva in cambio di maggiore stabilità del posto di lavoro”.
Mi aspetto le vostre riflessioni, commenti e considerazioni su tutta questa roba.
Insomma dialogo e partecipazione su tutto questo che è la vera questione nazionale.
Con umiltà e caparbietà, provo a gettare un sassolino nello stagno.
Per come è stato ridisegnato il Mondo, occorre un “cambiamento radicale”. Bisogna reggere il confronto sulla PRODUTTIVITÀ.
Una problematica di fondo che riguarda l’Italia come la Ue tutta.
Non a caso, il Rapporto di Mario Draghi che verrà presentato ufficialmente al Parlamento europeo lunedì prossimo 9 settembre spinge in tale direzione.
Il rapporto si concentra sulla “COMPETITIVITÀ”.
Per legare la produttività alla competitività sarà fondamentale accelerare sull’innovazione tecnologica e digitale.
Perciò sono indifferibili molti più investimenti pubblici anche infrastrutturali, come fanno gli Usa a livello federale e la Cina a livello centrale.
Perciò il nuovo Patto di Stabilità deve marcare una necessaroa “traiettoria di spesa”. Ma gli investimenti ben indirizzati vanno tenuti fuori!
Con la consapevolezza che sono comunque un “debito buono”: il famoso ritorno economico degli investimenti pubblici, stessi!
Per tutto questo, a tutti i professoroni, i politici politicanti, i giornaloni, gli opinionisti e analisti di vario rango, consiglierei di prestare orecchio alla strofa di una bella canzone: “prima di sparare…. pensa”!
Rosario Muto
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