Dalla Prefazione di Massimo Cacciari

…Più cresce il realismo, più dilegua il conatus rivoluzionario? Tronti si ribella a questo destino. Tronti rimane l’uomo del possibile – come il fraterno amico Asor Rosa. La porta del possibile non può chiudersi, e fosse anche la cruna di un ago tu devi tener fisso lo sguardo su di essa e cercare di passarvi. Tutti gli dèi possono morire, non il deus semper adveniens. È la debole forza messianica data al nostro pensiero, di cui parla Benjamin – e a Benjamin in particolare sembra quasi “aggrapparsi”, con ostinazione, Tronti. Direi che in questa sua “teologia politica” rovesciata (poiché è una teologia che vuole appunto rovesciare ogni pretesa da parte del Politico di valere teologicamente) sempre più Tronti vede l’estrema possibilità di custodire il pathos rivoluzionario-costituente che ne aveva animato il pensiero e l’azione fin dall’inizio. Al mondo dei meri scopi e dei progetti finiti che dominano la “società civile”, l’homo democraticus e la sua idea di “uguaglianza”, Tronti oppone un’escatologia secolarizzata, che rammemora tutte le sconfitte subite e salvandole così in sè spera ancora nella resurrezione vittoriosa delle idee che le guidavano. L’operaismo, l’attualismo operaistico, degli anni ’60 trova conclusione in queste due direzioni opposte, forse, ma certo complementari: lo Spinoza “selvaggio” di Toni Negri e l’escatologia benjaminiana di Tronti.

Da il Manifesto del 13 giugno

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