Legislatura 19ª – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 124 del 14/11/2023
*VERDUCCI (PD-IDP). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VERDUCCI (PD-IDP). Signora Presidente, se dovessi dire chi è stato Mario Tronti direi che è stato un militante comunista. In questo, nella sua militanza, nel suo comunismo, c’è un’etica, c’è un’umanità che testimonia l’intera sua esistenza. La vicenda politica, intellettuale ed esistenziale di Tronti è tutt’uno con la sua appartenenza ad un popolo, ad una classe sociale che sta in basso, esclusa e diseredata, umiliata e offesa e che cerca riscatto ed emancipazione.

«Io sento di essere, so di essere, uno dei terminali, infinitesimo, di una storia di lunga durata, storia millenaria, eterna, delle classi subalterne». Questo scrive nel testo che regala ad amici e compagni in occasione dei suoi novant’anni.

Ho conosciuto Mario Tronti nel 1997. Pino Trotta, che dirigeva l’ufficio studi delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani (ACLI), aveva coinvolto me, giovane neolaureato, in una ricerca sull’operaismo politico. Non esagero se dico che Tronti era in qualche modo una figura leggendaria nel campo della sinistra; trent’anni prima, nel 1966, aveva pubblicato per Einaudi un libro destinato ad essere dirompente, «Operai e capitale», che divenne il manifesto dell’operaismo e che anticipò l’urgenza di tempi nuovi (il Sessantotto studentesco, il Sessantanove operaio), di cui quel testo divenne un riferimento. Tronti pone il tema di una rivoluzione nella ricerca sociale, nella prassi politica, nel linguaggio della politica; adotta uno stile letterario, quasi poemi in prosa, con frasi folgoranti, che sono continue scintille di pensiero. Il marxismo di Tronti mette apertamente in discussione lo storicismo, l’idealismo, il “progressismo” della tradizione comunista italiana. L’operaismo fu uno straordinario romanzo di formazione intellettuale, dirà Tronti, nato a contatto con la fabbrica e con il modello delle lotte operaie. Ci sono pagine molto belle in cui Rita Di Leo racconta l’incontro tra Raniero Panzieri e Tronti, che Panzieri definisce come “una specie di Marx italiano”. Da quell’incontro nasce l’esperienza di «Quaderni rossi», da cui poi Tronti darà vita alla rivista «Classe operaia», con un nucleo di personalità unite da quello che sarà per sempre un legame indissolubile, “un’amicizia stellare” la definisce Mario rivolgendo lo sguardo ad Alberto Asor Rosa, Umberto Coldagelli, Massimo Cacciari, Aris Accornero, Rita Di Leo. (Applausi). Altri, tanti altri, si aggiungeranno tra gli affetti politici ed esistenziali di cui Mario andrà fiero. Molti oggi sono qui in tribuna e li voglio salutare, in particolare gli amici e i compagni del Centro per la riforma dello Stato (CRS) e con loro, amatissimi, la moglie Lena, i figli Antonia e Carlo, i nipoti Vittoria e Tadzio. (Applausi).

Gli scritti di Tronti sono tradotti in molte università nel mondo. Sono innumerevoli e compongono una biblioteca ricchissima, una miriade di intuizioni, di suggestioni, un pensiero spesso vertiginoso che contiene un continuo insegnamento. “No, non si può accettare un ordine del mondo intriso di ingiustizie e le forme di vita che esso detta”. Un pensiero con così tanta forza evocativa, e per questo capace di parlare a nuove generazioni di militanti, perché non ha paura di guardare in faccia l’altezza della voragine del tempo che viviamo. Tronti critica un presente senza storia e senza memoria, democrazie senza più partiti, senza più soggetti collettivi, dominate dalla demagogia, dove al posto del “popolo politico” c’è il “populismo antipolitico”; segnate dalla spoliticizzazione del potere politico e dalla neutralizzazione del conflitto sociale. Eppure la lotta di classe c’è ancora – dice Tronti – e ci sarà sempre, fino a che ci saranno barriere sociali insormontabili.

A noi, militanti di generazioni successive, Tronti ha insegnato questo: far vivere sempre, dando battaglia politica, il punto di vista della parte che storicamente si è chiamati a rappresentare; far vivere in forme nuove l’eredità storica del movimento operaio e popolare; aspirazioni, speranze, passioni di chi è sfruttato, nel mondo frammentato, precario, smarrito che viviamo.

Tornare a fare società con la politica, perché la crisi della sinistra è tutt’uno con la crisi della politica. Tronti ci ha insegnato “l’autonomia del politico” e il valore del primato della politica, che non è autoreferenzialità, ma forza di un progetto sociale di cambiamento, perché quando la politica diventa subalterna allora è incapace di trasformare la società. Tronti sferza la sinistra a cercare nutrimento nella teologia politica, nel legame vivo, vitale, tra spiritualità e politica. «Rimane un mistero» – scrive – «perché cristianesimo e comunismo non si siano incontrati. È una ferita della storia, un danno per l’umanità». Quell’umanità a cui Mario irriducibilmente appartiene. C’è scritto questo nella targa affissa sul muro della casa dove è nato: «Sono cresciuto nel quartiere Ostiense di Roma, una periferia urbana, i miei lavoravano ai mercati generali. Mio padre faceva lo scaricatore ed era comunista, mia madre aveva un banchetto. Gli operai e i tranvieri della sezione Ostiense del Pci […] sono stati la mia scuola politica. Mi insegnavano che cos’era la lotta per la buona causa e le regole per ben condurla. Considero tutto questo il mio plusvalore umano». A Mario Tronti, politico, filosofo, comunista. (Applausi).

Immagine in evidenza: particolare dell’Acquatinta di Annibale Elia per Mario Tronti. Il Laboratorio Nola.

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