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Qualcosa non va nei richiami all’antifascismo. Quest’ultimo ha bisogno di
complessità, non di quelle semplificazioni che Primo Levi criticò in I sommersi e i
salvati e che sono diventate dominanti alla TV e nei social e riducono gli
antagonismi e i conflitti alle temperie emotive da tifo sportivo. La semplificazione
come assenza di zona grigia, quel confine ambiguo e complesso dove si situano le
differenze che si intrecciano con le differenze ma dove, per prima cosa, un
antifascista si deve chiedere in quali termini lo è. Dove si trova il confine entro cui
si colloca l’antifascismo? Essere contro il fascismo? D’accordo. Rifiutare
l’afascismo? D’accordo. Ma l’antifascismo può mettere insieme chi è contro la
guerra e chi è a favore degli armamenti? Può mettere insieme chi vuole
accogliere i migranti e chi non li vuole? Può mettere insieme chi è per la sicurezza
del lavoro e chi sfrutta i lavoratori in nero e a rischio?
Il richiamo all’antifascismo si sta riducendo alla pratica dell’unità costruita
emotivamente contro l’altro ovvero nello stare tutti insieme solo in quanto siamo
contro qualcuno (cosa ben diversa dalla teoria dell’amico-nemico). Si dirà: questo
è il primo passo per richiamare all’unità. Ne siamo proprio sicuri? E se il primo
passo diventa l’ultimo? Se l’antifascismo si riduce a un’unità contro? Del resto, la
stessa definizione anti-fascismo esprime in partenza questo tipo di unità. Eppure,
in questo modo si perde il senso vero della Liberazione e della Costituzione che
chiedono molto di più di unità basata sul nemico comune.
Non sono sicuro che chi vota per gli armamenti o si indigna soltanto un giorno per
la morte di bambini innocenti, di lavoratori sfruttati, di migranti annegati per poi
girare la testa e volgere lo sguardo altrove stia dalla parte dell’antifascismo. E se
sta da questa parte, l’antifascismo diventa una sorta di minimo comun
denominatore. Troppo poco per la sua storia e per quello che dovrebbe essere.
Chi vota per gli armamenti, chi si adopera per negare il soccorso in mare, chi non
rispetta le leggi sulla sicurezza del lavoro, al di là delle distinzioni, è lì pronto a
fare opera di distrazione su questi temi mettendo al centro di insulsi dibattiti
massmediali il generale Vannacci. Insulsi, ma funzionali. È un modo piuttosto
superficiale e avvilente di negare la storia.
Ed è anche triste constatare che dell’abolizione del Jobs Act, dell’aumento degli
stipendi, del salario minimo ci si preoccupa solo quando si avvicina una scadenza
elettorale. È il dettato del postmoderno intrecciato con il neoliberismo: assenza di
profondità, dominio del superficiale, fine della storia, fine delle ideologie. Niente
di più ideologico che negare le ideologie. L’antifascismo di basava sul sogno di
una democrazia popolare, sulla convivenza, per quanto conflittuale, di visioni del
mondo differenti, sulla consapevolezza pubblica che doveva essere creata e
rafforzata dall’educazione, sulla partecipazione politica. Tutto questo è stato
smantellato pezzo per pezzo insieme allo stato sociale ed è stato fatto in nome
della libertà.
Alfonso Maurizio Iacono