Arriva in questi giorni dal Governo l’annuncio di semplificazioni in edilizia, definite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che le sta elaborando, come un pacchetto di norme per intervenire sulla casa. Da questa notizia è partita la solita confusione in materia edilizia che destabilizza tutti gli operatori del settore e i cittadini. In realtà si parla di sanatorie di piccole difformità relative a interventi su immobili già provvisti di titolo edilizio e del superamento, sempre su immobili già provvisti di titolo, dell’accertamento della doppia conformità così come oggi previsto dall’articolo 36 del Testo Unico edilizia, che prevede la conformità tra opere realizzate e strumenti urbanistici vigenti sia all’epoca della realizzazione che al momento della richiesta di sanatoria; tra l’atro l’intera disciplina delle costruzioni è in riscrittura e prevede una revisione del quadro generale della materia. Si parla sicuramente di piccole difformità che interessano per vari motivi tanti immobili, per rappresentazione o realizzazione, ma nei fatti le semplificazioni previste non permettono condoni di parti sostanziali o di interi immobili abusivi.
Per gli immobili abusivi permangono invece altre questioni irrisolte, specie per i territori più critici con il maggior numero di abitazioni abusive in cui ricade la Campania assieme a Calabria, Basilicata, Sicilia. Per i territori di queste Regioni la questione più pregnante attuale relativa agli abusi si riscontra, in particolar modo, nelle aree a inedificabilità assoluta, nelle aree soggette a vincoli ambientali e paesaggistici o per immobili in totale assenza di titoli edilizi; non si tratta di casi rientranti in un condono o del teorizzare abusi di necessità, ma in questi casi siamo già difronte a numerose ordinanze di demolizione emesse esecutive e inevase.
Per molti immobili si è proceduto all’acquisizione al patrimonio pubblico e per mancanza di fondi da parte dei comuni non si giunge a demolizione, nonostante i tentativi di cercare soluzioni, anche assieme alle Procure della Repubblica competenti per territorio, stabilendo dei criteri di priorità negli abbattimenti.
Per gli immobili abusivi ricadenti in aree a inedificabilità assoluta, perché soggette a vincoli ambientali o paesaggistici o aree di fasce di rispetto, e in aree a rischio ambientale elevato, frana, alluvioni …, non potrà mai essere riconosciuta necessità; per il rispetto della tutela delle bellezze ambientali e paesaggistiche in un caso e per garantire l’incolumità delle persone nell’altro caso.
Nel frattempo il numero delle demolizioni eseguite risulta esiguo rispetto ai numeri per i quali è stato già stabilito l’abbattimento.


Il problema principale dell’impossibilità alla demolizione è attribuibile alla mancanza di risorse da parte dei Comuni che hanno acquisito gli immobili al patrimonio pubblico. D’altronde in alcuni comuni liberare degli spazi potrebbe anche essere strategico per risolvere problemi di vivibilità di centri abitati rimasti privi di standard urbanistici, specie lì dove i comuni sono in fase di redazione di una nuova pianificazione urbanistica.
Sorge quindi una questione di fondo essenziale, cioè che nei casi di abbattimenti esecutivi urgenti per la demolizione si potrebbe procedere, molto probabilmente, se si riuscissero a ridurre i costi necessari per gli abbattimenti.
Una delle possibili strade per ridurre i costi è la demolizione selettiva con recupero di materiale, consistente nel fatto che parte dei componenti dell’organismo edilizio potrebbero essere riutilizzabili o perfino rivenduti. Si tratta quindi di lavorare sulla gestione del rifiuto in modo che il rifiuto diventi risorsa e sia rimesso nel processo edilizio. Attraverso quindi un piano di gestione e valorizzazione dei rifiuti, con separazione e classificazione dei rifiuti per facilitarne riuso e riciclaggio.
Si potrebbe ridurre così dalle stime dei costi degli abbattimenti tanta parte della spesa relativa a quei componenti che possono essere recuperati e riutilizzati altrove, ad esempio: tegole, infissi, ringhiere, travi e pilastri in legno o acciaio, …
Si tratta quindi di lavorare su: tipologia di rifiuti, tecnologie di riciclaggio a seconda del tipo e prodotto, riutilizzo e commerciabilità.
Ciò che va ridotto è il rifiuto edile speciale generico indifferenziato che ha elevati costi di smaltimento. Inoltre tale modalità di operare, attraverso un processo di smontaggio, selezione e separazione degli elementi edilizi che permette riuso, recupero e riciclo, può creare nuove attività imprenditoriali che si occupano di recupero e di conseguenza creare nuova occupazione.
L’Emilia Romagna con il progetto VAMP, valorizzazione dei materiali e dei prodotti della demolizione edilizia, già nel novembre 1998 sperimentava esempi di commercializzazione dei rifiuti attraverso una borsa telematica dei prodotti da demolizione a cui erano collegati siti e impianti di conferimento e trattamento. Obiettivi del progetto erano la realizzazione e la sperimentazione in un ambito territoriale determinato (le province di Modena e Reggio Emilia) di un efficace ed innovativo sistema informatico per la gestione dei flussi di rifiuti aventi come origine e/o come destinazione di possibile recupero le attività edili di costruzione e demolizione. Finalità del sistema erano la riduzione della quantità di rifiuti smaltiti in discarica e la valorizzazione delle frazioni riusabili o riciclabili, ottimizzando le potenzialità di tutti i circuiti locali di recupero esistenti sul territorio e creando condizioni favorevoli allo sviluppo di nuova occupazione, in particolare a favore delle fasce sociali più deboli.

Ragionamento che ritroviamo nell’attualità nella nuova normativa relativa ai Criteri Ambientali Minimi, CAM, per l’edilizia dove si prevede che nei casi di ristrutturazione, manutenzione e demolizione, almeno il 70% in peso dei rifiuti non pericolosi generati in cantiere deve essere avviato a operazioni di riutilizzo, come da Decreto n. 256 del 23 giugno 2022 del Ministero della Transizione Ecologica entrato in vigore il 4 dicembre 2022 che disciplina i “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di progettazione di interventi edilizi, per l’affidamento dei lavori per interventi edilizi e per l’affidamento congiunto di progettazione e lavori per interventi edilizi”.
E inoltre la materia della gestione dei rifiuti è da considerarsi fondamentale anche in attuazione della Strategia Nazionale per l’Economica Circolare e i relativi regolamenti annuali End of Waste, ossia la cessazione della qualifica di rifiuto per le singole categorie. Il Ministero dell’Ambiente è tenuto a stabilire il processo attraverso il quale un rifiuto cessa di essere tale, per mezzo di procedure di recupero, ed acquisisce invece lo status di prodotto. La nozione di End of Waste nasce a livello comunitario con la Direttiva 2008/98/CE “Direttiva Quadro Rifiuti” modificata di recente dalla Direttiva 2018/851/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018. In particolare, l’art. 6 stabilisce la Cessazione della qualifica di rifiuto e afferma che taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, («rifiuto» qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi) quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici.
La Strategia Nazionale per l’Economica Circolare, SNEC, prevede per quest’anno l’emanazione da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del “Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale, ai sensi dell’articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, ed abroga il D.M. 22 settembre 2022, n. 152” dell’ex Ministero della Transizione Ecologica, per numerose criticità interpretative insorte dalla nuova disciplina, come da decreto del Ministero dell’Ambiente del 25 marzo 2024, articolo 2, Programmazione della decretazione 2024 in materia di cessazione della qualifica di rifiuto.
Il cosiddetto Decreto Inerti End of Waste disciplinerà la gestione e il recupero dei rifiuti inerti derivanti da costruzione e demolizione o di origine minerale, al fine di rimetterli sul mercato e ampliandone gli ambiti di reimpiego.
Altra recente introduzione è il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti e le relative modalità operative di funzionamento, presentato nel novembre scorso dalla Direzione Generale Economia Circolare del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Il Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei RIfiuti si concretizza attraverso il portale RENTRI a cui iniziò a lavorare il precedente Ministero della Transizione Ecologica in linea con gli obiettivi previsti dalla Strategia Nazionale per l’Economia Circolare e dal Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti, PNGR.


Il RENTRI è lo strumento su cui il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica fonda il sistema di tracciabilità dei rifiuti e prevede la digitalizzazione dei documenti relativi alla movimentazione e al trasporto dei rifiuti. L’articolo 188-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 stabilisce i requisiti del sistema di tracciabilità dei rifiuti e del Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti, mentre il D.M. 4 aprile 2023 n. 59 del Ministero dell’Ambiente disciplina il funzionamento del Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti.
L’attenzione alla gestione dei rifiuti edili diventa ancora più alta alla luce della spinta alle ristrutturazioni che viene dall’approvazione il 12 aprile scorso da parte del Consiglio Ecofin, composto dai ministri dell’economia e delle finanze di tutti gli Stati membri, della Direttiva Europea Case Green sulla Prestazione energetica nell’edilizia; riforma che punta a ridurre sensibilmente le emissioni prodotte dagli edifici residenziali in Europa, portando il loro impatto carbonico a zero entro il 2050. Dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE gli stati membri avranno due anni per recepire le disposizioni della direttiva nella rispettiva legislazione nazionale.
Obiettivo della direttiva è di elevare le prestazioni energetiche degli edifici in modo che gli edifici residenziali dovranno raggiungere minimo la classe di prestazione energetica E entro il 2030, e D entro il 2033 mentre gli edifici non residenziali e quelli pubblici dovranno raggiungere minimo la classe di prestazione energetica E entro il 2027, e D entro il 2030. Oltre all’obbligo dal 2032 di montare pannelli solari per tutti gli edifici che si sottopongono a una ristrutturazione importante.
L’Italia ha votato contro pur riconoscendo la validità della direttiva, non avendo al momento soluzioni sul come poter finanziare queste ristrutturazioni. L’obiettivo, se inteso come obbligo, pur puntando a case a alta efficienza energetica che permetterebbero una riduzione dei costi per elettricità e riscaldamento a lungo termine, evidentemente penalizza le fasce meno abbienti della popolazione, che comunque si troverebbero nell’impossibilità di poter eseguire i lavori edilizi necessari, se non finanziati dallo stato.
Passiamo invece a una produzione di rifiuto edile che deriva da altri tipi di interventi.
Materiale edilizio che deriva da interventi di dismissioni e demolizioni che si verificano in assenza di leggi che tutelino il patrimonio edilizio di pregio, in particolare il patrimonio moderno e non, in cui può essere ricompresa l’archeologia industriale. Sono vari i casi in Campania in cui si assiste impotenti alla perdita di insediamenti industriali di pregio, progetti redatti da grandi firme dell’architettura moderna. Manufatti spesso costruiti con tecnologie molto raffinate e ricercate per l’epoca, ma che senza vincoli puntuali che li tutelino o una legge regionale che ne disciplini e riconosca i pregi e i caratteri da tutelare, sono lasciati all’anonimato e trattati senza la dovuta attenzione. Permettendo così un continuo mutamento del territorio in modo disordinato, che opera per interventi che sostituiscono in molti contesti a manufatti di valore architettonico altri che ne sono completamente privi.

La Regione Campania ha dato modo di conoscere alcune di queste opere attraverso il Festival dell’Architettura che si è svolto nell’aprile dello scorso anno, nel corso del quale cittadini, professionisti tecnici e studenti di architettura hanno avuto la possibilità di visitare alcune delle fabbriche e aree industriali dismesse del territorio; potendone apprezzare le potenzialità.

Ex Olivetti Marcianise



La Regione Puglia, ad esempio, si è dotata di una legge in materia nel 2015 con la legge n. 1 del 27 gennaio, Valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale, riconoscendo per patrimonio di archeologia industriale: “il complesso dei beni immateriali e materiali, non più utilizzati per il processo produttivo, che costituiscono testimonianza storica del lavoro e della cultura industriale presenti sul territorio regionale”. La legge prevede attività di valorizzazione, studio, ricognizione, censimento e catalogazione scientifica, salvaguardia, conservazione e fruizione; oltre che divulgazione e didattica, riqualificazione e riuso dei beni, con usi e destinazioni compatibili con esigenze di conservazione e di tutela; promuove la realizzazione di itinerari culturali e di percorsi tematici; tutto finalizzato a evitare di perdere per sempre il patrimonio relativo all’archeologia industriale di valore storico culturale presente sul territorio.

Tale tutela degli insediamenti industriali si rende urgente in Campania anche per le numerose crisi industriali che attanagliano il territorio e che vedono la necessità di insediarne di nuovi. Al fine di preservare i caratteri di pregio e possibilmente non distruggendo per sempre il buono che abbiamo ereditato.

In conclusione, l’attività edilizia in Campania risulta muoversi su strade distorte, dove le esigenze di demolizione non sono indirizzate ancora correttamente verso il recupero del materiale, mentre si assiste a dismissioni incontrollate senza il riconoscimento della tutela dell’esistente di pregio.
Alle esigenze di recupero e tutela oggi prevalgono le contraddizioni per: demolizioni non eseguibili, per costi elevati o eseguite non seguendo le più recenti normative, e dismissioni incontrollate, in assenza di una precedente valutazione dei caratteri storici dello stato originario di opere architettoniche.
Nell’operare in edilizia tutto questo si traduce attualmente in: elevati costi in dei contesti, per riacquistare decoro, bellezza, sicurezza e vivibilità, e sottrazione di valore in altri contesti, dove si agisce in modo cieco, discrezionale e indiscriminato; l’urgenza è quindi, oggi e per il futuro, quella di operare in modo critico, di rimettere ordine e puntare ad elevare ovunque il valore dei nostri territori.

Nadia Marra

La spiaggia della Bagnara, ormai inagibile per le costruzioni abusive di case che oggi sono arrivate in riva al mare. Castelvolturno- 01 dicembre 2016- La cosiddetta spiaggia della “Bagnara” a Destra Volturno. La spiaggia e le sue acque sono completamente inagibili a causa dell’abusivismo edilizio.


Nadia Marra
architetto


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