Riusciamo ad avere la consapevolezza di quanto sta accadendo sopraffatti dal vortice del flusso dei fatti e degli eventi che mette tutto sullo stesso piano: la morte e la vita; il necessario e l’effimero; il locale e il globale….?
E’ sempre più difficile mettere un ordine, dare una forma al tempo in cui viviamo, per rendercelo intellegibile, per aiutarci ad attraversarlo non con anonima passività ma con il senso critico che da’ pienezza alla propria vita e rafforza il fondamento nella relazione con l’altro/altra?
Stiamo vivendo un tempo in cui le crisi si susseguono ad un ritmo incalzante e la nuova non si sostituisce alla vecchia risolta ma di sovrappone, si accatastano l’una sull’altra le crisi: economica, ambientale, sanitaria, russo-ucraina, ora in Palestina…in un groviglio sempre più inestricabile ed esplosivo.
In queste ore si sta consumando in Palestina, nel territorio di Gaza, un massacro di vite. In un altro tempo Alessandro Magno dovette assediare Gaza per mesi e mesi prima di vincerla ed avere la strada spianata per l’Egitto. Gaza, una storia alle spalle e ora spazio nel quale uno degli eserciti più potenti del mondo è scatenato da mare, dall’aria e da terra contro una popolazione inerme condannata da decenni, per responsabilità di tutta la comunità internazionale, ad essere profuga in patria, la sua patria, per l’occupazione israeliana e il mancato riconoscimento da parte del suo governo del diritto ad avere uno Stato.
Quanto vale un bambino palestinese? Per pareggiare il conto del dolore israeliano per la morte barbara di 1700 civili quanti morti palestinesi si devono accatastare l’uno sull’altro? Non bastano i 10.000 fino ad ora morti? 1 a 10… E non basta ancora.
I palestinesi soffrono, muoiono. Dall’ingiustizia che subiscono e che non ci illudiamo, pesa sulle nostre coscienze di occidentali, di nord, di paesi forti, come un macigno, allo stesso modo di quella di tutti gli Aylan del Mediterraneo e del mondo, possono nascere due cose soltanto.
O una grande reazione, un sussulto di umanità, di civiltà, di coraggio da parte della comunità internazionale, delle sue potenze, tanto forte e corale da imporre il blocco della violenza, l’alt a Israele per questa risposta senza misura e nella quale c’è l’esplicita volontà non di liberare ostaggi o di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro del 7 ottobre ma di dare un colpo ( che ritengono ) definitivo ad ogni aspirazione palestinese, piegarne il minimo di speranza di futuro che ancora coltivano: magari con l’idea di spostare in Sinai parte rilevante dei 2 milioni di abitanti di Gaza, in un immenso, nuovo campo profughi nel deserto e consolidare l’occupazione a pezzi in atto da due decenni in cisgiordania che nei fatti già oggi, se non cancellata, impedisce perfino la continuità territoriale per un ipotetico Stato Palstinese…
E una reazione che affermi ora, sì ora, un percorso di fuoriuscita dal tunnel di odio in cui quei popoli sono costretti : questo darebbe un senso a questi nuovi sacrifici, a questi morti, degli uni e degli altri, e consentirebbe, faticosamente, difficilmente di gettare di nuovo in un terreno pur sempre più arido i semi della coesistenza, del dialogo.
Oppure una nuova crisi che da locale diventa immediatamente globale e nel cui snodarsi non c’è la sconfitta di Hamas e della violenza, ma il suo riproporsi, ampliarsi e diffondersi. E’ troppo interconnesso questo mondo per illudersi che ogni suo cittadino di origine ebraica o di origine araba sia al sicuro nelle nostre città, al riparo dall’ondata di intolleranza, di odio che già si propaga e che si tradurrà, dio non voglia ma è storia già vista, che già conosciamo, in violenza, in terrorismo, in antisemitismo e arabofobia che si alimenteranno vicendevolmente.
E in questa dinamica, noi siamo tutti coinvolti, tutti più insicuri, nessuno escluso. Non ci dicono già questo le stelle di David che ritornano stampate sulle mura di città europee segno di un riesplodere appunto di antisemitismo? O il grido di quella donna con il velo che a Parigi grida Allah Akbar e si pensa subito ad un terrorista e la polizia spara e la riduce in fin di vita: per un grido, una parola?
Lo sappiamo già. Lo vediamo già.
E allora davvero serve, è necessario che tutti quelli che vedono questa ingiustizia montante, questo pericolo presente facciano sentire la propria voce, si uniscano, si mobilitino. Prendano esempio da Papa Francesco. Siamo ancora in tempo. Però ora bisogna fermare bombardamenti e invasione di Gaza. Ora. Appunto, prima che sia troppo tardi.
Gianfranco Nappi