Nu.Ri.Ge. Nuove Ri-Generazioni Campania
Osservazioni al disegno di legge di modifica della legge regionale della Campania n. 16/2004.
L’esigenza di adeguare la vigente legge regionale sul governo del territorio emerge con chiarezza soprattutto in riferimento ai profondi mutamenti intervenuti, in particolare nell’ultimo ventennio, nelle dinamiche geoclimatiche, sociali ed economiche. Dinamiche che, nel modificare profondamente i contesti territoriali, mettono in evidenza la necessità di finalizzare l’aggiornamento dei processi, delle regole e degli strumenti al perseguimento di inderogabili obiettivi, strutturati sull’assunzione dei principi fondanti della compatibilità ambientale, dell’equità sociale, della sussidiarietà e collaborazione tra istituzioni, della partecipazione attiva della collettività.
Da tali principi discende uno spettro di obiettivi ben più ampio ed articolato rispetto a quello tradizionale, che richiede la formulazione di una nuova legge di governo del territorio che si concretizzi in strategie, indirizzi e norme per:
- contribuire al contrasto, o almeno al contenimento, delle alterazioni climatiche e dei conseguenti impatti;
- favorire le strategie e le azioni di adattamento del territorio e degli edifici agli effetti del cambiamento climatico;
- ridurre le disparità sociali nell’organizzazione insediativa del territorio;
- definire, promuovere e regolamentare la rigenerazione del territorio urbanizzato, garantendo la tutela del paesaggio, del patrimonio storico-culturale e di quello naturale;
- favorire un nuovo modello di mobilità intermodale incentrato sul trasporto collettivo e sulla mobilità dolce;
- incrementare l’efficaciadell’attività pubblica di pianificazione territoriale ed urbanistica e dei suoi strumenti.
Più in dettaglio, gli obiettivi dovranno:
- Contribuire al contrasto, o almeno al contenimento, del cambiamento climatico e dei conseguenti impatti (quali l’intensificazione dei fenomeni atmosferici con presenza crescente di eventi estremi, l’innalzamento delle temperature e del livello dei mari ecc.) definendo strategie e regole esplicite per conseguire il blocco del consumo di suolo e l’incremento dei servizi ecosistemici;
- Favorire le strategie e le azioni di adattamento del territorio e degli edifici agli effetti a breve e media distanza del cambiamento climatico, ovvero:
- la difesa dai rischi e la messa in sicurezza dei territori sotto i profili idrogeomorfologico, sismico e vulcanico;
- il risparmio energetico anche attraverso interventi sull’articolazione e sulla forma delle città, degli edifici e delle attrezzature;
- l’incremento del verde, dei parchi, dei giardini e dei viali alberati, anche al fine di combattere le isole di calore e le alterazioni microclimatiche negli insediamenti urbani.
Ciò implica anche la definizione di parametri per garantire:
- un’adeguata permeabilità dei suoli negli interventi di trasformazione;
- la tutela e il ripristino del suolo agricolo e forestale, dei relativi caratteri di agrobiodiversità e delle sue produzioni;
- la specificazione delle caratteristiche tecniche e di uso dell’edilizia per conseguire il risparmio energetico;
- il ricorso a parametri quantitativi verificabili per definire la distinzione del “territorio urbanizzato” e del “territorio rurale”;
- la conservazione e l’incremento della biodiversità;
- la riqualificazione ed il riuso ecosostenibili degli spazi pubblici e di quelli privati di uso comune per finalità di interesse collettivo;
- la salvaguardia e il ripristino dei valori paesaggistici e delle risorse storiche e culturali del territorio.
Per il perseguimento degli obiettivi dovrà essere garantita anche l’esplicita connessione tra la pianificazione territoriale e urbanistica ed i programmi nazionali e internazionali di protezione dell’ambiente e di mitigazione e adattamento.
- Ridurre le disparità sociali nell’organizzazione insediativa del territorio, in particolare in riferimento:
- alla dotazione di servizi e attrezzature pubbliche, con la certezza anche dei tempi della realizzazione degli standard di cui al DI 1444/68;
- alla produzione di edilizia residenziale pubblica per il soddisfacimento del diritto all’abitazione della totalità dei soggetti sociali;
- alla promozione dell’occupazione favorendo l’insediamento di attività fondate su processi produttivi ecocompatibili, utilizzando e sperimentando tecnologie che rispondano agli effetti del cambiamento climatico, garantendo nuova sicurezza del luogo fisico di lavoro;
- ridurre gli squilibri territoriali tra aree costiere e aree interne e tra aree centrali e aree marginali;
- al miglioramento della mobilità intermodale con prioritaria attenzione alla mobilità dolce e alle più opportune forme di trasporto collettivo in rapporto ai caratteri e alla densità insediativa delle zone urbane, anche di quelle collinari e montane;
- una nuova e migliore proposta di politiche industriali, stabili e durature per il settore delle costruzioni, per difendere l’occupazione esistente e per crearne di nuova, accompagnando milioni di lavoratori dai settori “dark” a quelli “green”. Per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica, sicurezza antisismica e sostenibilità ambientale decisi dall’ Onu e dall’Europa. Servono risorse e strumenti per realizzare la città dei 15 minuti, per garantire case di qualità, aree verdi, servizi di prossimità a partire dalle nostre periferie.
Servono infrastrutture e opere pubbliche di qualità che dagli interventi più grandi alla riqualificazione diffusa di scuole, ospedali, case popolari garantiscano a tutti di vivere meglio.
- Definire, promuovere e regolamentare la rigenerazione del territorio urbanizzato, interpretata quale obiettivo e contenuto della pianificazione urbanistico-territoriale e quindi dei relativi strumenti integrati alle diverse scale, e specificamente del Piano Urbanistico Comunale, e non quale programma autonomo di valorizzazione della rendita urbano-immobiliare ovvero, come è stata opportunamente denominata, core business del nuovo ciclo edilizio.
A questi fini la nuova legge regionale dovrà definire le caratteristiche qualificanti della rigenerazione urbana, intesa – in alternativa al consumo di suolo – come strategia per il miglioramento della qualità di vita e lo sviluppo socio-economico e culturale dei residenti e per la riqualificazione materiale e immateriale del tessuto edificato connotato da condizioni di degrado.
In tal senso, superando ogni ambigua interpretazione del suo significato, alla “rigenerazione urbana e territoriale” va attribuita:
- una pluralità di fini che ricomprenda la sostenibilità ambientale e sociale come condizione ineludibile per la previsione e attuazione degli interventi;
- il superamento di un’interpretazione prevalentemente edilizia e fondata su modalità di attuazione derogatorie e/o su incentivi costituiti da “premialità” volumetriche;
- il motivato dimensionamento degli interventi di rigenerazione;
- l’attenta considerazione dei conseguenti effetti per garantire una distribuzione delle plusvalenze prodotte dagli interventi di rigenerazione che favorisca prioritariamente gli interessi collettivi e per evitare l’aggravamento dei processi di sostituzione sociale e di espulsione mirata delle attività economiche più deboli;
- il riuso temporaneo e transitorio, inteso quale elemento intermedio di sperimentazione ed incentivazione finalizzato a processi di qualificazione e rigenerazione urbana, nelle more dell’attuazione del piano urbanistico vigente e/o del suo aggiornamento, di edifici dismessi per finalità sociali, economiche e culturali di interesse collettivo.
- Favorire un nuovo modello di mobilità intermodale incentrato sul trasporto collettivo e sulla mobilità dolce, per contribuire alla riduzione del consumo di suolo e allo sprawl insediativo connesso con un modello di mobilità oggi prevalentemente basato sul trasporto individuale privato.
È necessario che il tema della mobilità assuma una rilevanza primaria nella legislazione per il governo del territorio, sia connettendo i contenuti e le finalità degli strumenti specifici per il traffico ed i trasporti (piani di settore) con quelli dei piani urbanistici sia rendendo obbligatorie le relative autonome procedure di formazione, approvazione e aggiornamento in modo da dotare effettivamente tutti i Comuni obbligati dei PGTU piani generali del traffico e/o dei PUMS piani urbani di mobilità, essenziali per la salute (inquinamenti, incidenti stradali), per la qualità dello spazio pubblico e per il controllo del territorio. È quindi indispensabile disporre anche effetti sanzionatori e mancate premialità per i Comuni inadempienti fra quelli obbligati.
- Incrementare l’efficacia dell’attività pubblica di pianificazione territoriale e urbanistica e dei suoi strumenti
La legge regionale n.16/2004 ha rappresentato senz’altro un punto di svolta nella regolamentazione del ruolo e degli strumenti di pianificazione urbana e territoriale in Campania, in particolare per l’introduzione, anche nella nostra regione, dell’articolazione del piano nella componente strutturale e in quella programmatico-operativa, utile a conferire al piano urbanistico quell’efficacia che i caratteri del PRG spesso non sono riusciti a conseguire.
Certo non tutti i comuni che hanno predisposto il PUC hanno potuto correttamente ed utilmente interpretare questa importante innovazione:
- per alcuni limiti dello stesso testo di legge e del connesso regolamento di attuazione;
- per non aver incentivato con opportuni sostegni i Comuni a pianificare (ad esempio: Finanziamento di un Fondo di rotazione per le pianificazioni, finanziamento pubblico prioritario dei progetti strategici contenuti nei Piani approvati, Finanziamento delle analisi preventive; intervento commissariale alla scadenza dei termini);
Ciò non rappresenta un motivo per fare un pericoloso passo indietro, come viene prospettato nel DdL regionale. Anzi, le carenze pregresse in merito delle vigenti norme legislative o dell’azione di governo del territorio avrebbero dovuto indurre il legislatore a chiarire e specificare ruoli, contenuti ed efficacia delle due diverse componenti del PUC.
L’attività di pianificazione territoriale ed urbanistica dovrà basarsi sul completo e aggiornato sistema di conoscenza interdisciplinare dei caratteri e dei processi di trasformazione urbana e territoriale che ricomprenda anche gli studi di settore e che sia utilmente condiviso tra le istituzioni competenti e reso accessibile alla collettività. In particolare, i contenuti del PUC – in un periodo di netta riduzione delle nascite e di consistenti movimenti migratori in uscita e in ingresso, in diverse fasce d’età e in differenti strati sociali – dovranno discendere dal rigoroso dimensionamento dei fabbisogni di abitazioni, sedi produttive e spazi ed attrezzature pubbliche.
I criteri innovativi della biopianificazione dovranno essere compiutamente applicati, e non solo nei territori aperti riservati alle attività coltivatrici e alla produzione del cibo.
Dovrà altresì essere garantita, in tutte le fasi del processo, la partecipazione di tutti i soggetti pubblici e privati attraverso la migliore pubblicizzazione degli atti e dei processi, la concertazione istituzionale e l’attività di ascolto e di proposta, opportunamente organizzata, che coinvolga le diverse articolazioni sociali.
Il disegno di legge approvato dalla Giunta con la DGRC n.369 del 19 giugno 2023, presentato in sede di audizione della IV Commissione permanente del Consiglio regionale come un intervento legislativo intermedio tra la LRC 16/04 e ss.ii.mm. ed una nuova, futura legge regionale di governo del territorio, apporta notevoli e preoccupanti modifiche all’attuale regime legislativo e pianificatorio e per tali ragioni, e per le argomentazioni qui esposte, si ritiene indispensabile una rielaborazione totale del provvedimento consistente nella predisposizione partecipata di una nuova legge di governo del territorio e, a tali fini, si ritiene opportuna e necessaria la convocazione di un Tavolo di lavoro condiviso.
Nel seguito del presente documento viene riportata una più dettagliata esposizione delle osservazioni di merito al provvedimento.
Il primo nodo critico è costituito dal “consumo di suolo”. Il DdL dichiara di volerlo contenere, ma in concreto le disposizioni successivamente proposte ne comporterebbero invece forti incrementi. Le utili definizioni di “territorio urbanizzato” e “territorio rurale” sono infatti meramente descrittive. Perché la cosa avesse una vera efficacia occorrerebbero due condizioni, ora assenti:
- la definizione di qualche requisito oggettivo e verificabile (ad esempio la percentuale di suolo impermeabilizzato negli ambiti da considerare “urbanizzati”, in analogia a quanto stabilito dal Decreto interministeriale 1444/1968 per le zone B di completamento);
- la prescrizione che il solo territorio urbanizzato possa accogliere edificabilità urbana (residenze, commercio, attività del secondario, direzionale, infrastrutture a rete …) riservando il territorio rurale a edificazioni indispensabili per le attività coltivatrici secondo piani aziendali asseverati da agronomi iscritti all’Albo.
L’assenza di tali condizioni, combinata con quanto disposto negli articoli successivi del DdL in materia di “incentivi” e di “programmi operativi”, comporta la promozione di più che cospicue edificazioni aggiuntive dovunque, perfino nei centri storici (su tutti gli edifici ampliati o modificati, anche parzialmente, dopo il 6 agosto 1967) e soprattutto nelle zone agricole dei piani (zone E) perché in esse il DdL prevede di dichiarare utilizzabili per “programmi operativi di rigenerazione urbana” [comportanti incrementi volumetrici fino al (35 + 15) %] tutti gli “ambiti urbanizzati costituiti da uno [!] o più edifici non connessi alla conduzione dei fondi agricoli”.
È dunque evidente che debbano essere totalmente riscritte le disposizioni citate per contrastare davvero il consumo di suolo.
In secondo luogo, è estremamente preoccupante che il DdL voglia cancellare dalla legge regionale 16/2004 i seguenti contenuti del Piano Urbanistico Comunale:
- il dimensionamento del piano secondo il calcolo dei fabbisogni, tanto di costruzioni quanto di spazi pubblici;
- la zonizzazione con l’indicazione di ambiti non edificabili;
- lo sviluppo propedeutico di appositi studi idrogeologici di dettaglio.
Si tratta, nei primi due casi, di elementi tecnici essenziali e fondativi della progettazione urbanistica. La loro eliminazione rischia di trasformare i piani comunali in generiche descrizioni di vaghi intenti che, però, lascerebbero del tutto realizzabili degli accrescimenti dei volumi edificatori praticamente illimitati secondo le convenienze speculative private.
La cancellazione, poi, degli appositi studi propedeutici idrogeologici e geomorfologici di dettaglio appare – in questi anni di mutamenti climatici e di moltiplicazione degli eventi meteorologici estremi – di sconcertante irresponsabilità, ulteriormente aggravata dall’evidente indebolimento della disciplina urbanistica prodotto dalle prime due cancellazioni, ad esclusivo vantaggio di una licenziosità edificatoria senza limiti.
È necessario, in rapporto agli effetti cumulativi di questi due primi gruppi di ‘innovazioni’ legislative, segnalare che la loro validità applicativa indiscriminata sull’intero territorio regionale, in perdurante assenza del piano paesaggistico regionale a norma del D.Lgs 42/2004, pregiudicherebbe l’esercizio delle competenze statali in materia di tutela del paesaggio e della biodiversità, violando la Carta Costituzionale. Tale pericolo è già stato esplicitamente rilevato dal Ministero dei beni culturali in rapporto al testo originario della LRC 13/2022 e nelle ultime audizioni della IV Commissione permanente del Consiglio Regionale in merito al DdL in questione tale criticità è stata ancora segnalata in collegamento a distanza dal rappresentante ministeriale.
Anche per un altro aspetto si registra un dubbio di elusione della Costituzione repubblicana: l’art. 9 della Carta determina la facoltà, e il dovere, della tutela del paesaggio e della biodiversità da parte della Repubblica, cioè da parte di tutti i suoi organi costituzionali, Comuni inclusi, che hanno quindi il potere/dovere di sottrarre a trasformazioni lucrose le zone dotate di elevato valore paesaggistico e/o elevata biodiversità eventualmente non ancora protette da vincoli.
Un ulteriore nodo negativo del DdL è connesso con la cancellazione dell’impianto innovativo della LRC 16/2004 con il doppio orizzonte temporale del PUC, piano urbanistico comunale. L’architettura pianificatoria originaria della legge 16 è caratterizzata, com’è noto, dalla contestualità della componente strutturale e della componente programmatico-operativa del PUC. Nella componente strutturale, valida a tempo indeterminato, il Comune riconosce i valori/ambiti identitari del territorio e ne recepisce dai piani sovraordinati la tutela (vincoli ricognitivi), eventualmente integrandoli in coerenza con gli interessi generali (sicurezza, paesaggio, biodiversità, patrimonio storico-culturale e naturale), denotando come trasformabili solo gli ambiti residui. Con la componente programmatico-operativa il Comune seleziona secondo una strategia motivata gli interventi trasformativi da realizzare negli ambiti trasformabili entro il suo breve termine di validità (non più di un quinquennio) e li disciplina con disposizioni anche conformative delle proprietà (solo qui i vincoli funzionali, soggetti a decadenza in caso di inerzia attuativa). Proponendo la cancellazione della obbligatorietà della componente operativa il DdL farebbe regredire il PUC ai contenuti, e alle inadeguatezze, del PRG di cui alla legge 1150 del 1942: lo renderebbe cioè uno strumento urbanistico:
- nel quale non sussiste alcuna gerarchia fra tutela e trasformazione;
- che perde periodicamente di efficacia strategica per la decadenza dei vincoli funzionali (espropriativi);
- nel quale non si può definire nessuna strategia attuativa pubblica restando le priorità sia spaziali che temporali determinate solo dalle occasionali convenienze dei privati;
- che rischia – come molto frequentemente nei PRG – di non configurarsi quale processo continuo di valutazione/programmazione in sintonia con l’evoluzione socio-economica.
Un piano assai più debole dell’attuale PUC, vieppiù confuso e insufficiente per le cancellazioni del dimensionamento, della zonizzazione di salvaguardia e degli studi idrogeologici di dettaglio, esposto perciò a possibili sopraffazioni degli interessi speculativo-immobiliari privati rispetto alle esigenze collettive.
Profondamente insoddisfacente è anche la configurazione che il DdL delinea per le politiche di rigenerazione urbana. La rigenerazione è qualcosa in più di una sola “sistemazione urbana”, è la riconquista di un’idea di programmazione del territorio, è un obiettivo economico ed occupazionale, assumendo i bisogni collettivi come motori di sviluppo. Improntata su una politica per la produzione, il riuso e la resilienza dei materiali, affiancata da una politica industriale per la riconversione verde delle costruzioni, con materiali sostenibili, riusabili, ad alta prestazione e con nuove tecniche costruttive, a maggior valore aggiunto e con maggiore contenuto tecnologico. L’unica strada possibile è tenere insieme lavoro stabile e di qualità, nuove professioni, qualificazione di impresa e lotta all’illegalità, con una visione industriale del settore (non solo edilizia, ma anche tutta la filiera della produzione e del riuso dei materiali) che si intrecci con i bisogni delle aree urbane in permanente trasformazione. Fra le 12 “azioni prioritarie” elencate non si rintraccia alcun riferimento diretto o indiretto a incrementi dei servizi e delle dotazioni pubbliche. Anche ai fini dell’equità sociale il DdL sceglie il silenzio. Vi compare solo un “riconoscimento del diritto all’abitazione e alla città”: un’espressione fortemente ellittica che si traduce, negli articoli successivi, esclusivamente nel raccomandare una quota cospicua di ERS (edilizia residenziale sociale) nei casi di sostituzione quantitativamente paritaria dei volumi produttivi dismessi (notoriamente più che ingenti e ubicati anche in piena campagna) con destinazioni nuove, residenziali o terziarie. Mentre bisogna fare dei luoghi dell’abitare i presidi di un nuovo benessere condiviso. Come è noto, l’edilizia residenziale sociale è edilizia privata, destinata, per pezzature, tipologie e materiali, e quindi per costi, a target relativamente meno solvibili rispetto a quelli cui mira l’edilizia residenziale di mercato. Nulla si dice in rapporto ai ceti sociali più disagiati, quelli cui si dovrebbe provvedere attraverso l’edilizia residenziale pubblica – ormai inesistente – o in termini di contributi finanziari di sostegno agli affitti – via via più compressi o semplicemente cancellati –. Ma non si dedica nessuna attenzione neppure ad un altro aspetto cruciale, quello delle ubicazioni residenziali forzosamente differenziate per censo nel quadro dei sistemi insediativi, attraverso le quali concretamente viene compresso il “diritto alla città” con l’espulsione progressiva dei ceti disagiati sempre più lontano dagli ambiti centrali e dai servizi. Nessun riferimento, nel quadro della rigenerazione urbana, alla promozione ed animazione culturale, all’accoglienza inclusiva, alla tutela sanitaria attiva, alla formazione permanente, specializzata e finalizzata all’occupazione stabile e via dicendo, ossia alle dimensioni immateriali della politica di rigenerazione urbana che vengono ormai sistematicamente raccomandate nelle cosiddette ‘buone pratiche’. Un solo obiettivo è adeguatamente e vigorosamente perseguito: quello di incentivare la rigenerazione urbana di iniziativa privata mediante cospicui incrementi volumetrici, quantificati fino al 20% nei casi di ristrutturazione senza demolizione e ricostruzione e fino al 35% nei casi di sostituzione. Ove necessario, specie se si debbano costruire alloggi parcheggio, il DdL prevede inoltre di aggiungere un ulteriore 15 %.
Agli estensori del DdL non è sfuggito che agli incrementi di volume debbano corrispondere incrementi degli standard urbanistici, ma la soluzione “alternativa” che viene indicata (e che risulterebbe indubbiamente di gran lunga la preferita) è quella della monetizzazione, che ora diventerebbe ordinaria e praticabile senza procedure minimamente impegnative, vanificando ogni effettivo potenziamento delle concrete dotazioni pubbliche di spazi attrezzati collettivi.
Va infine evidenziato che la riduzione della rigenerazione urbana ad una sistematica e generalizzata crescita quantitativa dell’edificato non è affatto socialmente neutra. Dopo la ristrutturazione e l’ampliamento di un edificio, e ancor più dopo la sua demolizione e ricostruzione maggiorata, la sua re-immissione nel mercato delle compravendite o degli affitti comporterà con assoluta certezza un incremento dei prezzi, che sul versante della domanda significa un incremento dei costi insediativi. La rendita urbano-immobiliare, di cui si può impossessare la minoranza composta dai grandi proprietari immobiliari e dai promotori ed imprenditori delle costruzioni, è pagata dai maggiori importi a carico della pratica totalità dei cittadini, sia come utenti di abitazioni che come gestori di locali commerciali o di servizio. Il disegno di legge in questione persegue in modo evidente questo solo esito economico. C’è da porsi, perciò, più di un interrogativo circa la sua coerenza con l’art. 41 della Costituzione repubblicana che recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Gli ultimi articoli (45 bis e 45 ter) del disegno di legge contengono, infine, disposizioni gravemente discutibili. La presenza, in una legge urbanistica regionale sul governo del territorio e sul sistema di pianificazione, di due articoli come questi è particolarmente incongrua, esprimendo finalità assolutamente inaccettabili.
L’articolo 45 bis concerne i parcheggi pertinenziali. Il suo testo persegue due soli obiettivi:
- affermare che il vincolo di pertinenzialità si possa legalmente applicare a qualunque distanza fra residenza e autorimessa purché entro il medesimo territorio comunale (per esemplificare, l’abitazione a Posillipo e il garage di pertinenza a Ponticelli, o viceversa);
- considerare ammissibile che un’impresa ottenga dal Comune il permesso di realizzare anticipatamente un complesso di box auto con l’impegno di venderli poi a privati con il vincolo di pertinenza (in caso non le riesca, sui box invenduti si applicheranno le sanzioni amministrative dell’esecuzione in assenza di atto abilitativo).
L’effetto più che evidente di tale impostazione (che contrasta con la legge Tognoli e le linee guida e le direttive europee inerenti ai PUMS) è di aprire un ulteriore sbocco meramente speculativo alle imprese edili nelle città medio-grandi e grandi della Campania.
L’articolo 45 ter consente il cambio di destinazione in direzione di utilizzazioni residenziali, commerciali o turistiche degli svariati volumi attualmente esistenti sulle coperture degli edifici. La cosa è difficilmente commentabile. In molte città occidentali ci si adopera, nelle circostanze odierne della crisi climatica, per utilizzare le coperture a fini di produzione energetica da fonti rinnovabili o per ridurre le isole di calore con i tetti verdi. Nu.Ri.Ge. Campania ha, in proposito, in corso uno studio per regolare e incentivare la rigenerazione dei tetti delle città campane. Si tratta di ettari ed ettari di superfici piane, spesso non calpestabili, da rigenerare e riutilizzare collettivamente per fruire di luce, aria e paesaggio, per la produzione energetica, per la coltivazione di orti domestici, per la realizzazione di terrazzi verdi come luoghi per elioterapia e di socialità, per favorire la nascita di Comunità energetiche ed ecologiche. Una misura di rigenerazione edilizia a scala urbana, che contribuirebbe in maniera significativa al contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici, alla produzione di ossigeno e alla cattura della CO2, rendendo i tetti più belli, più sicuri dagli effetti dei colpi di vento, più contrastanti isole di calore, più impermeabili e freschi per gli edifici, più sociali e produttivi. In Campania sembra invece che ci si ingegni soltanto per moltiplicare misere quote di rendita immobiliare promovendo la trasformazione di un bucataio in negozio o di uno stenditoio in B&B.
Alla luce dell’individuazione di tutte le fondamentali lacune tematiche e della valutazione delle criticità qui sopra analizzate, si ritiene pertanto che il disegno di legge non possa che ritenersi inemendabile e da rielaborare in modo radicale. Allo stesso tempo si ribadisce la disponibilità a rispondere positivamente all’auspicata convocazione del Tavolo di lavoro nel quale poter dare la massima collaborazione per una riscrittura condivisa del Disegno di legge, concordando sui tempi brevi individuati e prefissati dalla Giunta regionale.
Nu.Ri.Ge Nuove Ri-Generazioni Campania
Il Presidente
Arch. Francesco Escalona
Ottima idea la proposta di legge