Voglio sottolineare un tratto peculiare della personalità politica di Franco Calvanese. Non l’unico, ovviamente, ma tra i tanti quello che, penso, meriti un particolare richiamo. Una dimensione del suo agire per la quale veramente non è retorico dire che abbiamo perso una figura capace di una visione che ci tornerebbe particolarmente utile al tempo che viviamo. Voglio dirlo proprio perché siamo al tempo dei patrioti, che poi è il tempo dei nazionalismi, che si traduce inevitabilmente nel tempo dei confini, dei muri, dei recinti. Ed è qui che la guerra come segno del nostro presente trova giustificazione. Bene, Franco Calvanese era un internazionalista nel senso più pieno della parola. Ne aveva la formazione politica, la competenza intellettuale, la sensibilità umana. Ne aveva, direi, l’ampiezza del pensiero. Il suo amore per il Portogallo era solo l’effetto più evidente del suo essere parte della generazione cresciuta nel vivo della tensione internazionale che fino alla metà degli anni settanta fece apparire la rivoluzione a portata di mano.
Parliamo delle aspettative generate dal sogno cubano e dal Cile di Allende, dalla cacciata dei Colonnelli in Grecia e di Salazar nel segno dei “garofani”, appunto. Per non parlare dell’esito del conflitto vietnamita.
Ma parliamo anche delle grandi sconfitte, a partire dal martirio infinito del popolo palestinese. Anche questo, insieme alla sua predisposizione all’approfondimento scientifico, fece di lui uno studioso appassionato prima ancora che rigoroso di tutti i fenomeni che riguardano le migrazioni. Mescolanze di civiltà che per lui, evidentemente, erano un viatico alla costruzione di un mondo migliore, non certo un limite alla libertà. Per questo quelli come lui sentivano quasi fisicamente le sofferenze dei popoli oppressi. E possiamo solo provare ad immaginare la sua tristezza per i bambini di Gaza.
Ecco, penso proprio che Franco, da protagonista del mondo straordinario in cui siamo cresciuti, meriti davvero di essere ricordato con la frase “Nostra patria è il mondo intero”.
Franco Mari