VITO NOCERA

Caro Roberto
se davvero, come dice Cacciari, ognuno di noi produce cose e pensieri che non si vedono
perche’ dovrebbero esaurirsi con la morte, e che puo’ darsi che chi muore venga visto tra qualche millennio in qualche altra galassia, di certo tu da qualche parte non potrai non riapparire.
Era un po’ che non riuscivamo a vederci o a parlarci, l’ultima volta forse al telefono, tu sempre così critico quasi con tutti mi parlasti con affetto di Gennaro Vitiello, il grande artista del teatro di avanguardia che le difficolta’ di salute ti impedirono di venire a ricordare.
Non sei stato un uomo facile, giustamente esigente. Forse sotto sotto stimavi Eduardo ma lo hai stroncato, in fondo a ragione.
Ti era necessario a varcare la soglia di una napoletanita’ un po’ oleografica, piccolo borghese, per inoltrarti nell’esoterico mondo dei vinti, dei negletti, dei pazzi devoti, credenti e pagani.
L’umanita’ che si contorce in trance a Madonna dell’Arco, usando il solo linguaggio che ha.
E cosi hai ripulito la cultura popolare piu’ viva dal peso di schemi che ne avevano seppellito autenticita’ e nobilta’.
Eri brusco ma maestro nel capire e nel raccontare.
Come quella sera a cena a Torre del Greco dove, dopo che con umilta’ volesti chiudere nel teatrino evangelico di Torre Annunziata, la rassegna di teatro d’avanguardia Germi Teatrali, organizzata da visionari ragazzi, ci parlasti della grandezza della chiesa.
Cenando ti ascoltavamo rapiti. Da ateo coltissimo, mai rozzamente anticlericale, ci raccontasti la forza dell’universo sacro. I suoi riti potenti, l’arte, la cura di sé di cui e’ capace quel mondo.
La mattina dopo tentai invano di fissare qualcuna di quelle tue frasi illuminanti al PC. L’ imperizia nell’uso del mezzo mi fece cancellare inavvertitamente ogni cosa.
Ancora rammaricato ci penso.
Come penso al tuo garbo, ai tuoi occhi dolcissimi e chiari, alla tua gentilezza nell’invitarmi non solo agli spettacoli, anche i piu’ riservati come il Mozart con pochi invitati e con Ciampi. Ma anche per le prove.
Parlarti era come sprofondare nei secoli andati.
A casa tua a Foria, quel silenzio magico e vagamente inquieto. Sembrava di partecipare alla Storia.
Il vecchio pianoforte, quei dipinti che di caravaggesco avevano solo i lati oscuri, gli spartiti un po’ sparsi dovunque.
E tu nella tua consunta vestaglia in un misto di praticita’ e aristocratismo un po’ decadente.
Delle tante tue cose e opere saranno i veri critici a parlarne. Così come del tuo magistero al Conservatorio e al S. Carlo.
Cio’ che di te pero’ trasmetteva e trasmette piu’ amore e’ la ricerca , paziente , di tutta una vita per riportare alla luce la cultura popolare napoletana profonda, sommersa dalle tossine borghesi e di un popolare volgare.
Fondendo virtuosamente il popolare autentico col colto.
Quella ricerca orale che amavi fare sul campo, intercettando strepiti e lamenti dei vicoli, il pianto e la preghiera di riti funebri, il dolore di carni bruciate.
Come quando, con Mariano Bauduin, raccogliesti la testimonianza di Ciro Liguori, l’unico superstite della Flobert di S. Anastasia.
Una denuncia operaia ma insieme la umana certezza che a salvarlo era stata la Madonna che – cosi racconto’ Ciro – a un certo punto gli era proprio apparsa davvero.
Per un po’ sono stato il tuo tramite con la politica e le istituzioni. Compito difficile, tu intransigente e testardo, gli altri – tranne qualcuno- indifferenti al tuo genio.
Devo dire che in fondo in fondo hai avuto ragione. Le ombre della vita pubblica sapevi penetrarle con radicale saggezza.
Fosti pero’ anche a tuo modo paterno, attaccavi tutti ma con me ti moderavi insolitamente comprensivo. Sicuro che poi avrei capito.
Meglio andava se tra noi si parlava di lontano passato, come i suoi protagonisti fossero seduti lì anche loro.
Quelli del 99, il loro sacrificio e i loro errori, privi come furono dell’ascolto del linguaggio dei vinti e che a loro volta – rovesciati in carnefici – anche per questo li vinsero.
Qualche volta accennavi a Pasolini ma solo di striscio, in fondo troppo contemporaneo per la tua solennita’ millenaria. O forse troppo elitario.
Tuoi riferimenti intellettuali erano medium che sapevano comunicare col popolo largo.
Come quando scegliesti Vera Lombardi per interpretare la figura del Papa.
E proprio dei funerali di Vera – anche lei mai perduta per sempre – mi viene in mente di noi due quando ci conoscevamo appena.
Non so se fu un caso o ricordo male ma a piazza del Gesu’ , tra i discorsi certo piu’ impegnativi e importanti delle autorita’, a emozionare la piazza furono il mio breve singhiozzante intervento e la tua brevissima nota finale di tromba.
Composta per lei, un soffio di un attimo ma così umanamente potente da pervadere tutti.
Ora il silenzio. In attesa che da quella galassia cacciariana un giorno, caro Roberto, rispunti il tuo sguardo
E proprio mentre transiti altrove, echi
vagamente desimoniani, radicali e realistici tipici della nuova tradizione di canto popolare, si avvertono nella musica e nel canto carnale e potente di una giovane come La Niña foresta.
Che speriamo, come in fondo era nel tuo credo, concorra a una nuova stagione rivoluzionaria.

Vito Nocera

dalla sua pagina social

***

FRANCO IACONO

Riccardo Muti: “Sono arrabbiato perché è morto solo. Lui ha dato tanto a Napoli, Napoli non ha ricambiato. Anzi, spesso, è stato trattato con ingratitudine.

È vero! Ora non basteranno le bandiere a mezz’asta per riparare ad un “vulnus” che non riguarda Roberto, ma la città e chi l’ha governata in questi anni. Sempre il maestro Muti: “mi auguro che al più presto gli dedichino una strada o una piazza importanti”. Speriamo, e credo che almeno questo sarà fatto, augurandomi che non capiti come ad Enrico Caruso, al quale è stato assegnato praticamente un vicolo. La proposta, pure condivisa a parole dal Sindaco e dal Ministro Della Cultura del tempo, di intitolare al grande Tenore l’Aeroporto di Capodichino o, almeno, Piazza Ottucalli, giace nel dimenticatoio. Intanto “regge” la vergogna della intitolazione a Vittorio Emanuele III del tratto di strada che da Piazza Municipio va verso Piazza Plebiscito.

Sindaco Manfredi, vogliamo rimuovere quelle targhe della vergogna?! Roberto De Simone in questi giorni ha avuto un consenso universale: un coro bellissimo ed unanime al suo genio autentico. Auspice il compianto Franco Mancusi, ho avuto il privilegio di conoscerlo da vicino e di avere avuto un ruolo, modesto, nel convincerlo ad accettare la proposta dei Socialisti di nominarlo Direttore Artistico del San Carlo. Era il tempo della “famigerata” Prima Repubblica, durante il quale c’era la “spartenza” degli incarichi fra i partiti. Ironia: adesso non accade più?! Ai Socialisti “spettava” in tutti i Teatri lirici italiani la carica di Direttore Artistico, mentre alla DC quella di Sovrintendente. Al San Carlo la DC aveva indicato il carissimo Francesco Canessa. I Socialisti napoletani rinunciarono ad una indicazione di parte e puntarono su Roberto De Simone, che certo Socialista non si dichiarava, con grande entusiasmo. Ma De Simone era riluttante. Era il tempo del Carnevale di Venezia del febbraio 1982, quello voluto dal Sindaco Maurizio Valenzi e “pensato” da Maurizio Scaparro, Direttore della Biennale – Teatro di Venezia. Giovane Assessore Provinciale, avevo condotto la Provincia a sostenere il progetto e, insieme a Gianni Pinto per il Comune, curammo la parte logistica. Scaparro aveva coinvolto tutta la cultura napoletana in quel famoso gemellaggio e quindi Roberto, che portò a Venezia due opere, di cui fu originalissimo regista: Eden Teatro e I Pescatori, entrambe di Viviani. Con Giulio Di Donato avevamo pregato Scaparro di incoraggiare De Simone ad accettare la indicazione dei Socialisti. Al ritorno da Venezia, ebbi il privilegio di viaggiare con De Simone e la conversazione cadde sulla direzione artistica del San Carlo. Anche a me espresse le sue perplessità ed io ribadii che se avesse accettato avrebbe reso un prezioso servizio alla Città ed alla Cultura. Nei giorni seguenti Roberto accettò, e, insieme a Francesco Canessa, costituì “un tandem” che fece bene al San Carlo e soprattutto alla musica del ‘700 napoletano. Seguirono anni indimenticabili. Faccio fatica a pensare che Roberto De Simone sia morto i genii come lui vivono nelle loro opere: De Simone vive nella sua musica, nelle sue creazioni, nel frutto delle sue ricerche, nelle sue intuizioni, nelle sue regie. Per me vivrà soprattutto in quel Capolavoro che è la Messa Da Requiem per Pasolini, a cui ebbi il privilegio di assistere alla Prima nella Chiesa di San Lorenzo. Il sax di James Senese mi risuona ancora nelle orecchie.

Grazie Roberto,

Franco Iacono

dal ROMA del 10 aprile 2025

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