Stamattina ho scritto questa cosa di getto e l’ho messa in RETE. una cosa è sicuro: non scrivo con l’occhio a un padrone che non ho. Ti abbraccio e spero che trovi il tempo di leggermi e magari di scrivermi due righe su come la pensi tu. Mi interessa. Franco Arminio


L’ARDORE DEL DISARMO
Sempre di più spariscono i soldati,
nessuno ne parla dei ragazzi ucraini
e di quelli russi, i soldati che muoiono
e che prima di morire hanno combattuto
e c’è stato il tremore di perderli
da parte dei loro cari e poi c’è il nero
della povertà e del lutto.
Sempre di più i potenti del mondo
sono diventati ciarlieri, e sembrano
parlare di guerre senza dolore,
i loro figli non vanno al fronte e neppure
i loro nipoti. Vale lo stesso discorso
anche per quelli che parlano nei salotti
televisivi, tutti senza grandi dolori
nello sguardo, nessuno che sia affranto,
tutti a dire la loro e alcuni, i più accaniti,
lo fanno sapendo che chi li paga
è vicino ai costruttori di armamenti.
Non potevamo saperlo qualche decennio fa
che un giorno avremmo parlato solo di armi,
in quel tempo qualcuno parlava di disarmo
unilaterale, ora sembrerebbe assurdo,
ora la parola più assurda è pace,
come se fosse certificato
che l’umanità è fatta di belve assetate
di sangue altrui, come se per i russi
ambire alla Crimea fosse la stessa cosa
che ambire alla Sardegna.
E poi ci siamo noi che parliamo tanto
dell’uomo dei dazi e ci dimentichiamo
che da un giorno all’altro ha tolto gli aiuti
a chi muore di fame.
La guerra è una tragedia vera,
non è un pretesto come un altro
per i nostri opinionismi. Stamattina
c’è una ragazza russa che piange
il suo ragazzo ucciso dalle armi
che noi abbiamo spedito, c’è una ragazza
ucraina che piange suo fratello
ucciso dalle armi di chi ha elevato
la morte a regime politico.
Niente va semplificato in queste circostanze,
ci vuole freddezza e pazienza,
ma su un punto bisogna essere chiari:
lo scandalo infinito dei ragazzi morti.
Chi non parte da qui è un delinquente
e poco importa che sia giornalista
o statista o uomo di cultura.
E allora in nome dei ragazzi morti
la prima parola è tregua e la seconda
è un parlarsi a oltranza
fino a quando tutti capiranno
che non si può giocare
con la vita degli altri, che l’Ucraina
va aiutata a fare la pace e non la guerra,
che la Russia va aiutata a capire
che non può credere solo alla guerra.
Questo lavoro non lo possono fare
i miliardari, non lo possono fare
i costruttori di armi, dobbiamo farlo
noi, noi che dobbiamo avere lo stesso
punto di partenza: nessun altro soldato,
nessun civile deve morire in Ucraina
e a Gaza e in tutti gli altri luoghi del mondo
in cui un’umanità di sbandati
ha perso il senso del conversare
e si è messa a uccidere, a umiliare:
perfino tra noi che viviamo in pace
le giornate sono piene di guerre meschine,
le guerre dell’invidia, le guerre della furbizia.
Anche noi dobbiamo scegliere
la via incredibile del disarmo,
anche noi non dobbiamo produrre armi
ma attenzione, dolcezza.
Non li vediamo, ma pure noi ogni giorno
schieriamo i nostri eserciti per strada
e negli uffici e in casa
e nei loculi della vita digitale,
noi servi e sentinelle del capitale.

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