CARALUCE
Atlante dei paesi invisibili
Rizzoli, 2025
Franco Arminio
Si tratta di una nuova declinazione della paesologia arminiana, figlia desiderata di una “lieve stanchezza dopo aver visto migliaia di paesi veri” e della dichiarata “fede geografica” dell’autore. Una figlia indisciplinata, renitente a incasellamenti di genere (letterario, in questo caso) e a vincoli di verisimiglianza, tendente, insomma, all’impensato. Dunque, l’intenzione di Arminio va oltre l’invisibilità delle città di Italo Calvino, accostandosi alla immaginazione generativa di Michaux, grande viaggiatore di spazi fisici ed esploratore delle dinamiche della vita interiore, con la differenza che le parole con cui Arminio inventa i suoi luoghi non producono immagini (il Marco Polo, viaggiatore “visionario” o l’arte visiva di Michaux), ma si collocano più dappresso alla poesia, talvolta alla rarefazione del sogno che, insieme alla fantasia, Leopardi (citato in epigrafe) giudica “necessari” a “consumare la vita”.
A me ha richiamato anche un piccolo, prezioso libretto di José Saramago, Luoghi popolati di figure, che, ovviamente con tutt’altra misura, conduce un viaggio di – apparente – scarsa presa con il reale. Cosa che apre nuovi orizzonti di senso, “Ho perso una casa vecchia, ma ho guadagnato una parola nuova, non è stato un cattivo affare”.
È tipico dei poeti, sia in versi che in prosa, intersecare i piani del concreto e dell’astratto, in una ricerca che è insieme mezzo e meta. Un’architettura verbale in cui lo spazio risulta definito, o meglio, alluso più dai vuoti che dai pieni. Vuoti in cui risuonano il possibile e, soprattutto, l’impossibile che abitano ognuno e ognuna di noi.
Questo Atlante è il contrario di una cartografia, qui le linee tracciate non servono a fissare il punto nave, quanto piuttosto a naufragare in un altrove sempre mobile tra il dentro e il fuori dell’anima.
“Caraluce” si articola in nove regioni geografiche, ciascuna introdotta da un’illustrazione di Manuel Fior: L’ultima settimana di una stella, Il lupo nella boscaglia, Un salto di gioia, L’odore della madre, La neve sulle ciglia, Il violino in frantumi, Tre case e un campanile, A sud del cuore, L’universo e i suoi dintorni, oltre alle due note dell’autore in apertura e in chiusura. All’interno di ogni regione ci sono i paesi immaginari e immaginati con un’intenzione di immaterialità che non distrae dalle parole che li tratteggiano. Anche i nomi non sono “parlanti”(o, almeno non hanno parlato a me), non danno indicazione al viandante che si addentra tra le pagine del libro all’avventura, senza conforti semiotici, contando soltanto sul desiderio di abbandonarsi alla deriva delle piccole onde consonanti generate da Arminio.
È un atlante a rovescio, come nei giochi di parole di Rodari non fornisce coordinate per trovarsi ma per perdersi e ritrovare sé stessi e gli altri. Forse.
“Noi siamo geografia, siamo terra scritta, e su questa terra passano i pensieri come passa l’ombra di una nuvola su un prato”.
Iaia de Marco
CARALUCE SI PRESENTA LUNEDI’ 24 FEBBRAIO 2025 ALLE ORE 18.00 ALLA FELTRINELLI DI PIAZZA DEI MARTIRI A NAPOLI
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