Il primo libro di geografia
Mauro Varotto
Scienza
Einaudi Torino
2025
Pag. 267 euro 23


Terra e mondo. Da quando siamo presenti. La perdita di rilevanza scolastica della materia “geografia” non si giustifica eppur si spiega per tre ragioni che forse riguardano molti concittadini: viene considerato un bagaglio superato; viene reputata una disciplina mnemonica e noiosa; viene ipotizzata come poco specializzata e quindi inservibile professionalmente. Proviamo allora a rileggere Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry e la commozione del Geografo (in esergo): l’immaginazione e la soggettività sono essenziali nella ricerca scientifica, le geografie sono tante oltre a quella fisica e istituzionale, umanistica culturale economica politica sociale percettiva quotidiana effimera. La geografia ha da essere “relazionale”: dallo spazio oggettivo della topografia (nota tecnica ingegneristica) ci conduce alla scoperta della mobile e cangiante connettività della topologia, lo spazio è il prodotto di continui assemblaggi e lo stimolo a cogliere le infinite relazioni con ciò che ci circonda. L’ottimo “primo libro di geografia” è rivolto con un linguaggio accessibile a un’alfabetizzazione di chi la geografia non l’ha mai studiata ed è curioso di conoscere la splendida “inutilità” della materia, di chi l’ha studiata male a scuola o l’ha già dimenticata e vuole riscoprirne i termini principali, di chi si appresta a studiarla in ambito universitario senza certe dovute basi e di chi, infine, proveniente da saperi affini, può ritrovare nei concetti-chiave della disciplina una visione d’insieme utile a inquadrare le proprie competenze tecniche e scientifiche all’interno di orizzonti più ampi. Non coordinate nozionistiche né distribuzione gerarchica di fenomeni; piuttosto alcuni dei modi per pensare una città, rappresentare un confine, definire cosa è vicino e cosa è lontano.
Il professore ordinario di Geografia e di Geografia culturale all’Università di Padova Mauro Varotto (Padova, 1970) promosse già nel 2019 l’apertura del primo museo italiano di geografia (preziosa testimonianza delle attività di ricerca e didattica svolte in quell’ateneo nel campo della geografia dal 1872) e ci introduce alla disciplina attraverso venti capitoli tematici, ciascuno (una decina di pagine) anticipato da una specifica foto in bianco e nero e poi ulteriormente documentato attraverso sculture, pitture, immagini, carte, mappe, disegni (complessivamente quarantacinque). I termini-chiave della geografia (sostantivi e due soli verbi) giocano sull’ampiezza e la stratificazione, sulla complessità e le sfumature dei loro significati, antichi e moderni, con uno sguardo alle sfide del presente e del futuro: Geografia (la fatica di Atlante che sorregge il globo con la prima vertebra della colonna e con le mani, dal museo archeologico napoletano); Orientarsi; Carta e mappa; Luogo; Territorio e confini; Regione; Stato e nazione; Europa; Globo; Clima e Antropocene; Natura; Paesaggio; Città; Campagna; Cibo; Montagna; Mari e oceani; Popolazioni e migrazioni; Storia, memoria e patrimonio; Abitare. Esplicitamente non vi è pretesa di esaustività né nell’elenco né nella narrazione, si citano discorsivamente definizioni, autori di riferimento, ipotesi e quadri di teorie o problemi (le sintetiche note bibliografiche sono raccolte in fondo). Evviva la geografia relazionale! Forse si può essere stimolati ad approfondire qualche ulteriore nesso con la scienza dell’ecologia, soprattutto per la questione delle isole e delle migrazioni (pur spesso e ben trattata): la nozione di ecosistema è abbastanza decisiva per clima, biodiversità, biologia ed evoluzione. Risultano frequenti e competenti i riferimenti alle innovazioni scientifiche della cultura geografica anglosassone (forse citabile era anche la scuola francese delle Annales, storia-geografia da quasi un secolo: Bloch, Febvre e Braudel non sono citati, lateralmente una volta il più recente compianto Lucio Gambi). Completa il volume un ricco indice dei nomi e dei luoghi.

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La fame del Cigno

Luca Mercadante

Noir

Sellerio Palermo

2025

Pag. 411 euro 17

Foce del Volturno (il più lungo fiume dell’Italia meridionale), provincia di Caserta. Fine autunno recente. Alle quattro del pomeriggio del 12 dicembre il giornalista 48enne Domenico Cigno vede arrivare sotto casa sua, a viale degli Eucalipti di Baia Verde (litorale domitio, quasi trenta chilometri di costa, lui cascante villetta con giardino a trecento metri dal mare), il bell’amico 26enne Tony (ex tossico aspirante reporter) che lo convince a salire in auto. Hanno trovato un cadavere, dovrebbe trattarsi della ragazza scomparsa cinque giorni prima (l’influencer torinese Viola De Santis, studentessa e paladina del neofemminismo), forse perché indagava su un giro di prostitute; i carabinieri forestali hanno diramato l’allarme in attesa di rinforzi; grazie alla conoscenza di scorciatoie e passaggi in quel territorio paludoso forse possono battere sul tempo le autorità e i colleghi. Il corpo si è incagliato in un groviglio di alghe che lo ancorano al canneto tra Mondragone e Giugliano, i Regi Lagni, esteso intreccio di fogne a cielo aperto con sbocco sul mare. Risalgono l’argine del canale e trovano i due forestali, il vecchio amico Ruoso e un novizio piemontese, alle prese con l’emersione del corpo, loro due “civili” usano i cellulari per foto e riprese e gli altri due s’arrabbiano. Tanto più che non si tratta di Viola, bensì di una splendida nera con la pelle sottoposta a sbiancamento. Il super obeso Cigno boccheggia: pesa oltre centocinquanta chili, l’indice di massa grassa sfiora il cinquanta per cento, deborda lentamente. Vive solo, niente compagne e figli; ha alle spalle un passato di pugile e un ottimo inizio di carriera giornalistica a Milano, poi guai vari; ora scrivacchia di sport nella redazione del sud dell’autorevole quotidiano nazionale. Arrivano magistrato e forze di polizia, anche il padre di Domenico che abita in zona, tanti giornalisti. La morta indossava una felpa rossa, Cigno vede il collegamento con Viola, scrive un pezzo scoop, si scopre in prima linea.

Lo scrittore Luca Mercadante (Caserta, 1976) ha lavorato per il teatro e la scrittura creativa, pubblicato vari testi, introdotto il personaggio di Domenico Cigno in un racconto di una recente raccolta Sellerio e propone ora l’interessante denso esordio di una serie promettente, per ambientazione e protagonista. Fanno da sfondo alla storia giallo noir la città di Castelvolturno e il devastato acquitrinoso ecosistema litorale casertano: sono descritti attraverso una ricostruzione immaginaria, la geografia ufficiale viene deliberatamente tradita. Veleni chimici, convivenze tossiche, umanità meticcia, contraddizioni sociali, coraggiosi adattamenti si fondono con le dinamiche del protagonista: Cigno è sempre al centro della scena, narra in prima persona al presente tutto quel che può, una quindicina di convulsi giorni fin dopo Natale, solo con la sua esorbitanza. Viene di continuo richiamato a occuparsi del Napoli, ci sono fondate voci che l’attaccante di punta Hugo Pereira se ne voglia andare, non frequenta gli allenamenti e sembra arrabbiato per qualcosa; Cigno segue spesso quel che avviene nel centro sportivo e sa che c’è di mezzo pure la camorra; si rischia pure a far soltanto cronaca e, questa volta, lo stesso Pereira sceglie di affidare proprio a lui un incarico informativo; nuovi guai. Nonostante tanti con affetto gli consiglino di lasciar perdere (soprattutto il padre Pietro, destrorso karateka ultra70enne), riesce però ad anticipare notizie sorprendenti sull’omicidio e sulle sorti della donna scomparsa, sul traffico di prostitute e le case di accoglienza, sui narcotrafficanti e i collaboratori di giustizia; un po’ per fiuto professionale, un po’ attivando reciproche strumentalità, un po’ con esperto sprezzo del pericolo. Prima aveva sempre vorace fame (da cui il titolo), poi comincia a non poter ingurgitare nulla; decide di andare a Torino dai genitori di Viola (adottata) e di frequentare le istituzioni di Caserta; rovista e viene rovistato. Quando può ascolta Layne Staley, Chris Cornell, Ann Wilson e Mark Arm, beve di tutto (marinando il coniglio con vino bianco). Segnalo che lo sbiancamento può provocare diabete, infezioni, tumore.

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L’angelo di pietra. Un’indagine dell’inquisitore Girolamo Svampa

Marcello Simoni

Giallo storico

Einaudi Torino

2025

Pag. 265 euro 17,50

Ferrara. 14 gennaio 1627. Don Emanuele si fa portare alla dimora di Anna, vedova e madre di un’inferma, disposta a un lauto compenso: la figlia avrebbe un maleficio oltre che febbre. Lui incide sullo stipite un occhio trafitto da tridente e spiega di non voler denaro, bensì che lei si rivolga devota a un dio antico e potente, diverso da quello della Bibbia. Il giorno dopo donna Giovanna Sacrati va a San Domenico a parlare con il maestoso scontroso padre inquisitore Girolamo Svampa, che capovolge una clessidra, così farà in fretta. L’aristocratica allude a un demone che le entra nel giaciglio, nei sogni, nella carne. Ma via! Riceve un crocefisso di legno e una sommaria benedizione. Solo che poi viene uccisa, non la sola bella vergine, e vari nemici gli ordiscono contro trame pericolose. C’è di che indagare per il perspicace razionale frate domenicano, aiutato dall’ammaliante Margerita. “L’angelo di pietra” è il nuovo bel romanzo della celebre serie per Marcello Simoni (Comacchio, 1975).

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Tiro di sponda

Donald E. Westlake

Traduzione di Laura Grimaldi

Crime o Giallo umoristico

Fanucci Roma                                                                               

2025 (Orig. 1972, Bank Shot, 1° ed. it. Il giallo Mondadori 1973)

Pag. 190 euro 14

IMPERDIBILE. New York. Inizio anni Settanta. Dopo una ventina di premiati romanzi hard-boiled noir con vari pseudonimi o con il proprio nome, l’immenso Donald Edwin Edmund Westlake (1933 – 2008) firma “Tiro di sponda”, secondo della serie degli “ineffabili cinque”, principale protagonista il mesto geniale pessimista ladro John Archibald Dortmunder,alto, spalle curve, capelli diradati e senza vita, volto da cane bastonato; poco fortunato e capace raramente di sorridere, anche con la solerte fidanzata May. Lo troveremo complessivamente in 14 romanzi e 11 racconti pubblicati fino al 2009, qui ancora insieme ai competenti pressapochisti amici e colleghi Kelp (furti d’auto) e Murch (madre tassista, indispensabile se si vuole fuggire nella Mela), che tornano, Victor ed Herman X, che s’aggiungono. Il titolo fa riferimento a quella preziosa vecchia banca trasferitasi temporaneamente su una casa mobile, potremmo provare a portarcela via tutt’intera, chissà, il piano è perfetto, come al solito.

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Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita. Scritti sul calcio 1979-2004

Giovanni Raboni

Poesie (cinque), interviste (due), articoli (dodici)

A cura di Rodolfo Zucco

Mimesis Milano

2024

Pag. 140 euro 14

Milano interista. 1932 – 2004. Il poeta e scrittore, giornalista, critico letterario, traduttore e mitico lettore Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Fontanellato, Parma, 16 settembre 2004) iniziò a frequentare lo stadio giovanissimo per le partite casalinghe, con il padre e il fratello. Non smise mai, dai primi anni Settanta spesso con l’amico, di vita e di tifo ovviamente, Vittorio Sereni. I suoi testi poetici e giornalistici (di tema e di pretesto) vengono ora opportunamente raccolti in“Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita”, pertinente titolo esplicativo (per i tanti di noi consapevoli del complicato senso di alcune proprie unilaterali passioni sportive). L’ottimo docente di lingua e letteratura italiana Rodolfo Zucco (Feltre, Belluno, 1966), anche lui poeta interista, introduce con competente affetto le “metafore calcistiche” di Raboni, completandole con un denso apparato critico, accurata bibliografia e ricchissimo utile indice dei nomi.

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