Questo lavoro nasce nello spirito dell’esperienza del Movimento Rigenera che nell’ultimo anno e mezzo ha posto in Campania con forza l’esigenza di una svolta radicale nel modo di affrontare la crisi climatica e di immaginare un’altra idea di sviluppo: in questa ottica, il discorso su agricoltura, produzione di cibo, lavoro della terra ed ecologia è assolutamente centrale.
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Giovedì 16 gennaio, alle ore 18.00 alla Libreria Feltrinelli in Piazza dei Martiri a Napoli si presenta L’AGROECOLOGIA. Il futuro dell’Agricoltura di Gianfranco Nappi ed edito da Doppia Voce. A discuterne con l’Autore, Ugo Leone, Igor Prata e Fulvia Bandoli. Anticipiamo dall’Introduzione. assolutamente centrale.
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Questo che avete tra le mani non è un trattato di agronomia. Di cosa si tratta allora? E’ un ragionamento, pensato in forma la più piana possibile, per contribuire a rendere chiare, e così concorrere ad una più alta e ampia comprensione, le moltissime implicazioni che la parola agricoltura esprime.
Implicazioni, questo è il punto che voglio sottolineare, che ci conducono non ai margini della modernità ma nel cuore suo e delle sue contraddizioni che stanno mettendo in discussione la coesione dei sistemi sociali e, insieme, determinando un punto di rottura per certi versi drammatico nel rapporto tra uomo e natura sotto la pressione del dominante modello di produzione, consumo, organizzazione della vita sociale.
Parlando di agricoltura, come di cibo siamo dunque esattamente su uno dei terreni più importanti per disegnare un futuro diverso.
E’ verso il 3000 a.C. ( età del Rame ), che la vite si afferma pienamente in tutta la penisola mentre è nel passaggio dall’età del Bronzo ( 2000 a.C. ) a quella del Ferro ( 1000 a.C.) che cereali come la spelta, l’avena, la segale, il miglio trovano spazio.
Cereali, vite, ulivo, una vera e propria triade che segna l’essere mediterranei. Fin dove ci si può definire Mediterranei? Fin dove cresce l’ulivo diceva Fernand Braudel.
E’ un’agricoltura affidata a progressi tecnici significativi che nel corso del tempo diventano sempre più intensi e che però non alterano un rapporto tra contadino e natura, contadino e ambiente che rimane fondamentale. C’è un accumulo di saperi, di esperienze, di prove e controprove, di selezioni naturali del meglio, del più resistente, del più adatto che si sono andate stratificando e che pongono il contadino al centro.
Produrre il cibo attraverso la coltivazione della terra e l’allevamento sono atti pienamente naturali.
Il seme da cui germoglia la pianta è un concentrato di natura e di vita che si proietta sul futuro.
Da quando invece produrre cibo si è presentato come un gesto, un atto di rottura con la natura, più evocatore di morte che di vita e di futuro?
Perché noi a questo siamo, siamo al capovolgimento di tutta una storia, che è storia insieme dell’umano e del naturale e dell’umano come parte esso stesso del naturale, che invece si traduce oggi nella produzione di cibo come negazione di vita anzi, come suo annientamento, come sua sterilizzazione.
E nulla come i cereali ci parla di tutto questo: il seme da cui nasce la pianta con i suoi semi nuovi che però a loro volta se ripiantati non daranno frutti perché sterilizzati appunto, privati della possibilità di riprodursi in nuova vita. E perché? Perché il gesto del comprare i semi si deve ripetere ogni anno alimentando un mercato dove vigono le nuove enclosures rappresentate dai brevetti sulla vita, su varietà e specie con cui la grande impresa globale è riuscita a privatizzare la fecondità della riproduzione della vita, a sequestrarla, attraverso quella che Vandana Shiva chiama biopirateria, a metterla a disposizione solo dietro pagamento e ponendo praticamente fuori legge quel gesto antico che segna la vita del contadino in tutta la sua lunga storia di condivisone di semi e piante. No, oggi non si può in un quadro regolato secondo gli interessi delle multinazionali dei semi.
E se nella Inghilterra del XVI e del XVII secolo le enclosures, segnarono fisicamente con le opere diffuse di recinzione, la privatizzazione di spazi che in precedenza tutta la comunità usava per il suo sostentamento, per il pascolo degli animali, per la legna, per i frutti del bosco, per la caccia e il rafforzarsi del potere del nobile sempre più latifondista su un contadino sempre più dipendente e sradicato, oggi sono queste dei brevetti a rappresentare le nuove enclosures che alimentano le nuove signorie, i nuovi feudatari che, forti della loro condizione di dominio monopolistico, vedono alimentata in continuazione una rendita che cresce e che li fa diventare moderni rentier.
In questo mondo che corre in un progresso senza fini e senza mete capita anche questo, che il passato ritorni sotto forma di futuro distopico.
Gianfranco Nappi