Sono tornato di recente a Torre Annunziata per un volume di Infinitimondi dedicato agli anni cruciali di costruzione della democrazia. Sono riemerse storie di Resistenza, di amministrazione pubblica esemplare, di lotte operaie che hanno concorso a battere nazismo e fascismo e a dare un volto nuovo alla conquistata democrazia e che proprio tra Torre Annunziata, Castellammare, Pompei, Scafati hanno vissuto momenti significativi, in alcuni casi perfino prima delle 4 Giornate napoletane.

E ho pensato in quella occasione all’impegno che ho avuto l’onore di ricoprire come deputato di quel territorio nella seconda metà degli anni 90. Il governo Prodi. I Patti territoriali con Isaia Sales. Il tentativo di disegnare un futuro produttivo per quell’area mortalmente colpita dalla deindustrializzazione. Le interminabili riunioni per il Contratto d’Area insieme ai colleghi parlamentari Salvatore Vozza ed Enrico Pelella, il cui impegno mai sarà ricordato a sufficienza. Gli incontri con i sindacati. Con i lavoratori senza futuro.

E vedo i fuochi d’artificio e gli entusiasmi di oggi spesi per un insediamento favorito con nuove regole di semplificazione amministrativa e urbanistica ( la Zes ), finanziato con il concorso di significative risorse pubbliche che probabilmente sono uno dei lasciti dell’impegno di quegli anni per il Contratto d’Area. Intervento che va a ‘riqualificare’ ( oramai bisogna rivedere il vocabolario perchè tante parole perdono il loro significato originario e ne assumono un altro. Riqualificazione è una di queste che sempre più si abbina a Speculazione fondiaria….), un’area ex industriale di oltre 200.000 metri quadri – nel cuore di un’area vasta, che copre più Comuni, di degrado urbano non intaccato e in prossimità di uno degli epicentri archeologici più importanti come Pompei – con un Centro Commerciale, il più grande del Mezzogiorno come annunciano con orgoglio gli Amministratori del Centro e della Regione. 1500 e forse più posti di lavoro tra servizi commerciali e negozi, ristorazione, accoglienza alberghiera, pulizie, vigilanza…

Siamo così passati dalle politiche di sviluppo a quelle di valorizzazione della rendita fondiaria.

Nessuno presenti una strategia vecchia e mortifera per i sistemi produttivi e commerciali locali come quella dei grandi centri commerciali come una strategia di futuro: a fronte di quelli creati, quante attività lavorative del territorio verranno meno per una concorrenza così forte?

Il grande centro commerciale si presenta come uno spazio urbano sostitutivo della città, alternativo alla città che rimane priva di una vera riqualificazione urbanistica : e così il luccichio abbagliante del centro commerciale compensa le strade poco illuminate e rotte, le case non riqualificate, l’assenza di servizi basilari…in una dinamica che sottrae proprio a quella città che si dovrebbe far rinascere, risorse e attenzione.

E chiude tutto nella dimensione di un consumismo bulimico per prodotti in larga misura di scarsissima qualità e ad alto e negativo impatto ambientale, che sono poi gli unici a cui possono attingere i ¾ della popolazione lavoratrice, che nel Mezzogiorno diventano i 4/5, che vive sul filo con stipendi e salari compressi.

E’ questo ciò che serve al Sud? Ma davvero il sogno di una ‘reindustrializzazione’ a questo ha portato?

Alta formazione, Università, attività di ricerca, produzioni ad alto contenuto di innovazione e di tecnologia. Investimenti di riqualificazione urbana in un contesto tra i più densamente abitati d’Europa. Risanamento ambientale. Armatura sociale a cominciare dalla scuola su cui reinvestire. Sviluppo di tutte le attività di cura per le persone, a cominciare dalla salute. Lavoro ricco di sapere e ben pagato.

Di questo avremmo bisogno. Questo è il volto della possibile ‘reindustrializzazione’ di oggi.

Almeno dunque, non si spacci per questo quello che questo con evidenza non è. E la misura della cui civiltà sarà data dal se e dal come il sindacato entrerà in questo spazio, dal se e dal come i diritti dei lavoratori, il loro reddito, il loro lavoro, i loro orari saranno rispettati.

In una società c’è bisogno e c’è onore per tutti i lavori possibili.  Tutti: dai più raffinati ai più umili.  

Ma se il lavoro prevalente diventa solo quello povero, non va bene, anche perché tende ad essere sempre più impoverito e privato di diritti.

No. In quelle riunioni per il futuro produttivo dell’Area Torrese Stabiese non immaginavamo proprio questo.

Non pensavamo proprio che alla classe operaia dovesse succedere una larga, diffusa e sempre più generalizzata classe servente.

Gianfranco Nappi

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