Considero importante questo lavoro di Maurizio Pallante, ( LIBERI DAL PENSIERO UNICO. La rivoluzione culturale della spiritualità . LINDAU 2024 ), ultimo di una lunga serie di ricerche, scritti, elaborazioni incentrati sul tema del mutamento del paradigma di organizzazione della produzione, del consumo e dell’intera società contemporanea.
Il tema su cui torna questa volta non è soltanto quello che lo ha già visto impegnato in decenni di impegno, e cioè la messa in discussione di un modello fondato sul produttivismo estremo volto a sostenere un consumismo non meno estremo: sviluppo continuo, pena l’aprirsi di crisi sociali profonde, crescita assunta come sorella del progresso, profitto da assicurare ad ogni costo e sempre.
Torna con forza su questi elementi e invita a riflettere su quanto questo modello sia entrato in urto con natura e vita ad un punto oramai critico, di rottura, tale da richiedere con urgenza un’inversione di rotta.
Compie anche un bilancio critico e amaro Pallante del percorso oramai lungo aperto con le COP dell’Onu, con l’Agenda 2030, con il Green Deal Europeo: tutto incentrato sull’idea di sviluppo sostenibile che invece lui assume come accoppiata ossimorica: se esiste sviluppo, in quanto vocato alla crescita, basata sulla dissipazione di natura e vita, non può esserci sostenibilità. Ed è illusorio ci dice lui pensare che la tecnologia possa assicurarci una crescita senza dissipazione.
La prova di tutto ciò si ritrova nell’incremento di CO2 nell’atmosfera, nell’innalzamento della temperatura che continuano allontanando gli obiettivi di loro riduzione globale.
Qual è allora la risposta?
La sua riflessione spinge per immaginare non la stasi economica, ma una diversa qualificazione di economia e produzione che devono essere finalizzate ad una riduzione selettiva delle merci inutili e dannose, ad un processo che, anche attraverso l’innovazione tecnologica a questo fine volta, riduca sprechi e allunghi la durata delle manifatture realizzate; riduca la quantità di materia prima e natura necessaria a produrle e spinga per una qualificazione dei consumi.
E’ il consumismo, l’induzione al consumo, la spinta a sentirsi insoddisfatti se non si possiede quella cosa, con l’appagamento per il possesso che dura giusto il tempo di veder crescere il bisogno di quell’altra cosa nuova che nel frattempo è stata lanciata, o il covare rabbia per non poter aspirare a quell’altra cosa, necessariamente per ricchi, visto il suo costo, eppure desiderata….il terreno su cui i protagonisti dell’attuale modello hanno affermato la propria egemonia di massa, di questo homo economicus che si sente realizzato solo nel possedere e consumare. E che più fa questo e meno vive, si relaziona, ama, apprezza la bellezza dell’umanità e della naturalità.
Pallante ci parla, e qui sono gli accenti più nuovi che arricchiscono la sua riflessione, della vera e propria mutazione antropologica indotta dall’attuale meccanismo di sviluppo e del bisogno, per contrastarlo, di immaginare una iniziativa eguale e contraria proprio sul terreno delle idee, dei valori alternativi da affermare; di costruire una antropologia alternativa a quella consumistica.
Questa è la sfida che lui vede aperta per chi intende non soggiacere allo stato di cose presenti.
E così, lui che ha coniato il termine della conversione economica dell’ecologia, a voler dimostrare che quest’ultima, oltre a fare ‘bene’ è anche conveniente economicamente, si spinge su un terreno assolutamente non economicistico, individuando anzi nella costruzione di un nuovo vocabolario e un nuovo sistema di valori un modo decisivo per aprire un’altra prospettiva.
E per questa alternativa, la spiritualità è componente fondamentale. Spiritualità intesa non come religiosità ma come sistema di priorità “non compatibile con sistema dei valori su cui si fondano le società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci”. In questo senso, dice Pallante, “mantenerla viva non è soltanto un’esigenza profonda degli esseri umani, ma anche una forma di disobbedienza civile”.
Devo dire che in questa specificazione ho trovato assonanze importanti con l’ultimo Mario Tronti del Dello spirito libero.
E così assumono centralità il dono, la cura, la solidarietà, la socialità delle esperienze comunitarie, l’apprezzamento per la bellezza degli spazi di vita, la valorizzazione della creatività personale, “la comunicazione non verbale con i viventi non umani”: bellissima quest’ultima espressione che apre nella mia mente immediatamente il ricordo di Pietro Ingrao con la centralità che lui attribuiva appunto al bisogno di comprensione del vivente non umano.
Così come tutto l’interrogarsi suo su come organizzare in modo diverso e secondo altre scale di priorità economia e società rimanda nella mia mente direttamente alle domande che pose Enrico Berlinguer sul finire degli anni ’70, sul “ perché, su cosa, sul come e quanto produrre” delineando su questo un protagonismo del mondo del lavoro e la messa in primo piano rispetto ai canoni quantitativi dello sviluppo un discorso di qualità e finalità dello stesso.
In Pallante c’è una critica radicale alla modernità, un rigettare quel pensiero che è diventato poi dominante, unico appunto, che dal 1500 in poi, ha fatto della concezione dell’uomo signore di una natura considerata materia inerte e disponibile quel sistema che oggi ha varcato più di un punto limite.
E severa è la sua critica anche ad una storia della sinistra che ha fatto propria l’idea del bisogno di produrre e consumare sempre di più in competizione con il capitalismo ( quell’Est che poi ha perso questa competizione con l’Occidente ), o quella di praticare una idea puramente redistributiva della ricchezza senza mettere in discussione i fondamenti dell’assetto della società ( la sinistra occidentale e socialdemocratica ).
In entrambe queste declinazioni la sinistra si è presentata non come portatrice di un disegno alternativo.
E ha concorso a demolire sistemi di valori, pratiche, culture che invece, pur precedenti alla modernizzazione o sue coeve senza adeguarvisi, potevano rappresentare risorse decisive per contrastare l’affermazione del pensiero unico: e qui c’è un capitolo dedicato a Pasolini, alla sua critica della modernità e della Chiesa che lui vedeva sostanzialmente subalterna ad essa.
Lavoro importante, dunque, questo di Maurizio Pallante. Incrociandolo con le mie sensibilità ed in interlocuzione positiva mi viene una osservazione fondamentale.
Pallante non definisce quasi mai il modello del pensiero unico con il suo nome giusto a mio modo di vedere: capitalismo ( neo,iper,turbo,cognitivo,estrattivo, digitale e della sorveglianza…che si voglia ).
E credo di capire anche il perché: il non voler associare il piano della sua critica o ad un anticapitalismo solo verbale e verboso, da duri e puri senza alcuna presa nella società, o il suo farlo coincidere con una storia, quella della sinistra, che su questo terreno ha molto da farsi perdonare.
E però, il rischio che vedo è che, in questo modo, si possa essere involontariamente succubi di quel meccanismo di mimetizzazione che proprio il capitalismo ha saputo realizzare scomparendo dal dibattito pubblico proprio quando è diventato il sistema che tende ad unificare il mondo: si nasconde per nascondere proprio quel suo essere ‘unico’ attraverso la sua religione universale del consumo. E per mascherare il suo riprodurre, in costanza e in accelerazione, insieme ai meccanismi di sfruttamento della natura un eguale processo di sfruttamento degli uomini e delle donne, natura anch’essi del resto.
Il cuore della simbiosi di giustizia ambientale e sociale per me sta esattamente in questo incrocio di meccanismi di sfruttamento e di liberazione negata.
E allora, invece, nominarlo il capitalismo, nominare i nuovi padroni del mondo e le regole che presiedono al loro comando, io penso che sia atto decisivo per animare una consapevolezza nuova e suscitare la mobilitazione più larga nel cuore della società.
Gianfranco Nappi
p.s. Su invito di Maurizio Pallante e di Nino Pascale ho avuto modo di prendere parte sabato scorso 16 novembre all’incontro nazionale di SEQUS ( Sostenibilità. EQUità, Solidarietà ), l’Associazione appunto da Pallante presieduta. Ho lì raccontato l’esperienza di Rigenera Campania, a cui del resto Sequs ha aderito proprio negli ultimi mesi. Si è trattato di un’occasione importante di confronto per la quale con Infinitimondi, sempre come anche contributo di idee al lavoro di Rigenera, vorremmo proseguire immaginando un prossimo numero monografico dedicato proprio ai temi di quella riflessione, del tutto interna al piano di lavoro di idee che Pallante racchiude in questo suo lavoro del resto, e arricchita in quella circostanza da una notevole relazione di Raniero La Valle sui temi della pace e della guerra.
interessante riflessione