L’Epica deve necessariamente raccontare grandiose epopee, meravigliose imprese, deve per forza essere costituita da narrazioni di gesta eroiche compiute da personaggi semidivini, spesso aiutati dalle divinità in lite fra loro?
Può esistere anche una Epica minimale, fatta di piccole cose, ordinarie e quotidiane, una epica che racconta minuscole vicende altrettanto poetiche e grandiose?
Sembrerebbe di sì, secondo quanto scrive Luis Borges nella “Poesia gauchesca”:
“[……] da questa corretta applicazione della legge della causalità si deduce che il più piccolo fatto presuppone l’inconcepibile Universo e inversamente che l’Universo ha bisogno anche del più piccolo fatto.”
E nel corso imprevedibile della vita e delle sue distrazioni, ambasce, lusinghe e aspirazioni, si può diventare pendolari di affetti, emozioni e ricordi che riconducono sempre e comunque ai luoghi di origine?


Su queste due tematiche, esistenziali e sentimentali si svolgono i quattordici racconti di Antonio Cuomo della raccolta “La giovane dalla pelliccia rossa ed altri racconti”. L’Autore non dà soluzioni, ma si limita a narrare a volte con la precisione della buona cronaca, a volte con immagini di una poetica fantasia simbolica.
Ci sono racconti che attraversano le grandi vicende, anche tragiche e dolorose del Novecento Italiano, la Guerra, la Resistenza Partigiana, ma osservate e descritte con l’occhio di chi, suo malgrado, appena diciassettenne si è trovato a fare i conti con la sua coscienza ed a fare scelte, assumere autonome iniziative con entusiasmo e temerarietà e confezionare azioni belliche pur minimali, ma estremamente pericolose.
Non solo, a volte l’Io narrante è solo il presentatore di un protagonista che racconta la sua storia, come nel caso di Elisa che narra, con doglianza, ma con il distacco epico di chi non appartiene più a questo mondo, la violenza sessuale subita e le sue conseguenze con la nascita di una figlia che le viene sottratta.

L’atmosfera rarefatta e tranquillamente tragica che l’Autore crea con affetto rende congrua l’immagine simbolica del Padre di Elisa che consuma il suo dolore scomparendo dal suo mondo e rifugiandosi nel ventre di un ulivo da dove sorveglia la crescita della nipote.
Però buona parte dei racconti ha per protagonisti gli Ulissi dalle labbra sporche del ragù di Caprile, mitico borgo antico e collinare di Gragnano, dal quale si sono allontanati e dispersi in tante altre terre, tra le quali Luino dove vive il nostro Autore.
Sono degli Ulissi, annualmente pendolari, con la scusa delle vacanze, che a Caprile si ritrovano bambini e trattati come tali dai parenti e conoscenti locali, figure eterne, al pari di divinità, come le zie Mentina e Melina dell’omonimo racconto.
Le zie Mentina e Melina esprimono gioie, affetti, tutta la tavolozza dei sentimenti umani tramite la loro cucina tradizionale che confezionano con cura ed orgoglio; con sollecitudine badano che sia gustata ed apprezzata fino in fondo. Gli Ulissi commensali, si abbandonano pacificati a quella atmosfera che riempie l’anima di odori, sapori della loro lontana, ma sopita infanzia.
Tornano i ricordi, emerge la figura dell’erculeo Carlo (“Al rientro di Carlo da Milano”) furbo camionista degli anni ’50, quando le autostrade non c’erano ancora ed i viaggi erano di per sé mitiche avventure, il quale riunisce la domenica gli ingenui paesani sotto il fanale della piazzetta di Caprile e racconta, racconta avventure vere e quelle che gli propone la fantasia. Narra mirabolanti fatti, ad un pubblico meravigliato e desideroso di ascoltare le sue storie eccezionali, descrive una Milano straordinaria dove gli uomini hanno la testa più grande perché deve contenere un cervello più grande e dove le donne hanno bellissime, lunghissime gambe.
Non manca naturalmente la profonda saggezza popolare del contadino comunista Domenico, protagonista del precedente lavoro dell’Autore “Il Compagno Domenico”, al quale l’amico Nicola si rivolge in un tramonto annunciato dal Sole “accomodato tra Ischia e Capri”, per risolvere l’interrogativo che lo affligge delle donne milanesi dalle gambe lunghe più di un metro.


È un libro “liquido”, leggerlo ti inumidisce senza che te ne accorgi, ti trovi madido di immagini, colori, ricordi tuoi e di altri, di emozioni e sensazioni. Sono parole e costruzioni di parole che evocano forme nell’acqua, pareidolie sfuggenti che non fai in tempo ad osservare, ma che nel loro complesso ti lasciano un sapore di familiare e d’antico, il piacere tranquillo delle piccole cose che possono diventare epicamente stupende, un’idea fiduciosa di futuro ed una sensazione di tenera consapevolezza anche di se stessi.
Elio Pentonieri


Laureato in Economia e Commercio, pensionato bancario, formatore, si è sempre occupato di Storia e Letteratura con collaborazioni a vari quotidiani. Finalista al Premio Calvino nel 1990. Socio dell’Unione Astrofili Italiani, si interessa attualmente di Astronomia culturale, di cui è docente presso l’Humaniter e l’Unitre di Napoli.

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