Se ci si ferma a pensare, fa sinceramente impressione osservare come a quarant’anni dalla sua scomparsa, Enrico Berlinguer sia capace di scatenare così potentemente parole, idee, perfino suggestioni artistiche, se pensiamo al film di Andrea Segre che a breve sarà nelle sale cinematografiche.
Fa impressione perchè Enrico Berlinguer è stato un uomo politico. Un uomo di cui oggi qualcuno sprezzantemente direbbe: “Ha fatto politica per tutta la vita”,
Un politico di professione, diciamolo. Che riesce ad essere straordinariamente vivo, pulsante nella memoria collettiva, finanche pop, nel tempo in cui la politica “professionale” è demonizzata, considerata una patologia, o figlia di un tempo superato. Enrico Berlinguer è stato un politico in quella dimensione weberiana nella quale l’elemento del “professionismo” si fondeva con una sorta di vocazione potente e totalizzante.


Ovviamente sarebbe impossibile comprendere la grandezza di quella figura senza inserirla nel contesto, nella vicenda storica del comunismo italiano. Berlinguer fu innanzitutto un comunista italiano. Chi voglia astrarre dalla sua biografia un generico uomo politico “per bene”, fautore della moralità e dell’etica pubblica, senza collocare in maniera indissolubile quella personalità nella storia del Pci gli rende di fatto un torto insopportabile.
Enrico Berlinguer incarnò per lunghi anni un’idea, una battaglia politica, perfino un popolo, una comunità capace di essere un Paese nel Paese, come scrisse Pasolini. Che aveva una sua antropologia, che Luca Telese ha raccontato ricostruendo la storia degli uomini che fecero da scorta ad Enrico Berlinguer in anni difficili e insanguinati. Non ci sarebbe potuto essere nessun Enrico Berlinguer senza Pci. Mentre, al contrario, tanti dei partiti personali che abbiamo conosciuto nel tempo furono una emanazione dei loro capi, evidentemente qui il rapporto si capovolge, e la potenza carismatica di quell’uomo derivò probabilmente dalla capacità di rappresentare al meglio un popolo, un mondo, se vogliamo una ideologia, forte e potentemente operante nella storia. Enrico Berlinguer fu il più amato dirigente del Pci.
Cosa resta, oggi, di quella storia, di quelle idee, finanche di quell’esempio? Cosa li rende così vivi nel dibattito pubblico?
Ovviamente è assai complicato rispondere a questa domanda, ma un elemento penso si possa affermare.
Enrico Berlinguer non fu solo il promotore, con Aldo Moro,del compromesso storico. Anche per questo penso sia un pò azzardato limitare il racconto della sua vita politica agli anni 1973-1978, come avviene nel film di Segre.
Quelli furono anni complessi in cui Berlunguer fu protagonista di scelte e analisi non banali, non scontate, che ne fecero un dirigente con la capacità di assumersi responsabilità e di indicare anche al suo popolo una strada, una rotta, di spiegarla anche quando poteva non esserene così immediata la comprensione.


Ma io mi spingo a dire che, paradossalmente, il Berlnguer più moderno e “visionario”, fu quello che venne dopo. Perchè iniziò a vedere con lucidità e coraggio i fattori fondamentali di crisi della sinistra, quelle trasformazioni che determinarono una progressiva perdita di forza e potere politico del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici. Quel Berlinguer, inoltre, guardò con attenzione a temi che fino ad allora non erano stati così centrali nella elaborazione politica e culturale del movimento comunista: penso all’ambiente, penso al rapporto Nord Sud del Mondo, penso alle libertà personali e alle questioni di genere.
Enrico Berlinguer descrisse i caratteri della questione morale circa dieci anni prima dell’avvento di Tangentopoli con una chiarezza quasi profetica, seppe stare con i lavoratori della Fiat a Mirafiori pure dentro una fase si arretramento e sconfitte del movimento operaio perchè capì che quello era il posto della sinistra e dei comunisti. Enrico Berlinguer capì che il taglio della scala mobile con il decreto di San Valentino sarebbe stato solo il primo passo di un processo che ha visto nei decenni una costante erosione del potere d’acquisto di stipendi e salari. Enrico Berlinguer vide avviarsi un ciclo drammatico che avrebbe indebolito stagioni di conquiste e progresso sociale. Vide tutto questo, anche quando altri a sinistra, pure nel Pci, gli davano del conservatore, lo accusavano di spostare il Pci su un terreno arretrato, incapace di leggere gli spiriti del nuovo tempo.


Quarant’anni dopo, penso invece che occorra dare atto a Enrico Berlinguer di aver visto esattamente ciò che tanti altri non volevano vedere, che hanno continuato a non vedere per anni.
E che in quella critica ai caratteri dei nuovi assetti dell’economia, della società italiana, ma direi occidentale, che si andavano affermando, ci sta esattamente il senso della sua “modernità”. Ci sono in fondo gli elementi di critica del neoliberismo che nei decenni successivi animeranno movimenti, soggetti politici della sinistra che non hanno voluto cedere alla convenienza del pensiero unico. So bene che forse è anche il Berlinguer più scomodo, questo qui, Ma non di una figurina su album abbiamo bisogno, quanto piuttosto di pensieri lunghi, “scomodi”. Di pensieri potenti, come una storia ancora così viva.

Roberto Montefusco

Vuoi ricevere un avviso sulle novità del nostro sito web?
Iscriviti alla nostra newsletter!

Termini e Condizioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *