La guerra sta prendendo il sopravvento sulla politica. La sta snaturando. Sta diventando il suo linguaggio ordinario. Quasi unico. Sta diventando il nostro modo normale di pensare.
Io penso che se non rimettiamo in discussione questo, se non lo contestiamo alla radice, se non delineiamo l’alternativa necessaria, ben difficilmente risaliremo la china di una convivenza civile.
E ben difficilmente questo tempo si schioderà dal crinale di violenza in cui appare immerso, in questo mare di peccato senza neanche redenzione.
Per la violenza, per la guerra ci sarà sempre un alibi. E’ la risposta più semplice. Più immediata.
Ma è la pace che costruisce futuro. Ed è il futuro che ci serve perché senza, il presente ci si presenta oscuro, incerto, pericoloso, a volte perfino osceno. Ci serve il futuro per animare la speranza. E la speranza ci serve per riprendere a camminare, insieme, nella ricerca mai conclusa di giustizia. Per animare quello stesso conflitto sociale che invece dalla guerra è annichilito e senza il quale una pace vera non si costruisce.
Per questo la pace reclama una scelta radicale.


E voglio dirlo proprio in questo 7 ottobre, ad un anno esatto da quel rigurgito di violenza e di dolore che ancora agisce e che non trova giustificazione alcuna.
Ma oggi, un anno dopo, si vede sempre di più come dietro quel sangue innocente versato, quel dolore che non smetterà di agire, si è innescato un processo che, usandolo quel dolore, sta snodando una strategia di annientamento che non è diversa da quell’altra folle. E, a differenza dell’altra, è anzi dotata di una potenza tecnologica armata che ha pochi eguali sulla faccia della terra. E la sta usando senza risparmio contro tutto e tutti. Soprattutto donne, bambini, uomini inermi. L’alibi per una guerra che travolge ogni forma di diritto con le vite innocenti che consuma e con la terra che distrugge.
Ogni misura scompare. E Gaza diventa prigione insanguinata. E si colpisce a distanza in Siria, in Iran. E ora di nuovo il Libano diventa epicentro di un’altra azione militare, di una violazione quotidiana, sul terreno come nell’aria. Quel Libano e quelle terre che Amin Maalouf non ci smette di raccontare per quel che sono stati nel segno della laicità e della cultura in termini di dialogo, coesistenza, lavoro comune di religioni, fedi, culture diverse.
Se il governo israeliano è il protagonista principe, bisogna dire che può tanto, osa tanto perché, nonostante l’ONU e le sue risoluzioni, nonostante il diritto internazionale, nonostante le Corti internazionali, gode dell’impunità in un sistema mondiale oramai senza governo o meglio affidato al solo governo della legge del più forte. E gli USA sono un gigante senza più una visione globale che non sia quella appunto dell’affermazione della forza, ed è questa la vera garanzia dell’impunità per Netanyahu: in fondo se da tutto questo viene un colpo forte all’Iran, che male c’è?…


Uno stato del mondo nel quale Putin invade proditoriamente l’Ucraina e dopo due anni e più di guerra e di distruzioni, ancora oggi, non esiste una azione ossessiva per la pace ma invece l’idea che in fondo più la guerra dura, più non si cerca e trova una soluzione per la pace, più l’Ucraina è martoriata e più la Russia si indebolisce, rimane impantanata, paga prezzi alti. E di nuovo dietro questa idea c’è la visione gretta di ruolo internazionale ad opera degli USA che anzi, dal punto di vista economico, delle loro esportazioni di petrolio e gas, e dalla riduzione dell’Europa a loro appendice silente, spazio geopolitico dove la politica estera la fa la Nato e non l’Unione; dove Francia, Germania e Inghilterra vivono una crisi di classi dirigenti ogni giorno più evidente, e dove l’Italia si balocca con un provincialismo che sa sempre più di regime, ha visto consolidarsi una situazione inimmaginabile solo pochi anni fa. E se sistemiamo la Russia faremo abbassare la cresta delle pretese alla Cina che sempre più emerge come il vero oggetto di una confrontation che in questo quadro può solo avvitarsi su stessa…


Questo nuovo ordine mondiale sa drammaticamente di disordine. E di guerra. Guerra agli uomini e guerra alla natura: guerre che si moltiplicano e tendono drammaticamente ad unificarsi e nel pieno di una crisi climatica che appare sempre più travolgente e foriera essa stessa di nuove ingiustizie.
Qui ci ha hanno condotto le magnifiche e progressive sorti di un capitalismo e di una modernità scintillante, ora anche nella loro algida intelligenza artificiale, che si sono voluti vincitori e signori assoluti.
E allora davvero abbiamo bisogno di un pensiero di libertà in quanto tale critico, come diceva il nostro caro Mario Tronti – e da cui abbiamo preso il sottotitolo del nostro Bimestrale di pensieri di liberà – che costruisce analisi, che riflette, che restituisce ruolo e funzione a nuove e larghe soggettività sociali.
E davvero in questo potremmo e dovremmo ritrovare radici che pure sono in Europa, nella sua storia e nelle sue culture: il mondo di domani avrà bisogno di una Europa che ritrovi queste radici, non quelle dell’integralismo, dei vangeli armati, dell’Occidente signore del mondo.
L’Europa della Commissione, della BCE, della tecnocrazia…è anch’essa al capolinea, travolta da questo disordine di cui è essa stessa diventata parte non riuscendo ad incarnarne uno nuovo, più avanzato e giusto: e l’Europa si darà se saprà fare forza in primis sulla costruzione di un suo demos, come sostiene la nostra cara amica Maria Luisa Boccia.
Qui c’è un’urgenza rifondativa della politica anche. Europa e politica proprio in una ripresa inedita di pensiero critico possono ritrovare un ruolo ed una funzione indispensabili, possono essere restituite utili al mondo.


Ed è anche di tutto questo che discuteremo il prossimo 16 ottobre nella città di Giordano Bruno, in una sua importante scuola e con suoi studenti, con Massimo Cacciari, uno dei filosofi italiani ed europei più impegnati probabilmente in una ricerca su questo terreno: arduo ma ineludibile terreno se si vuole guardare con fiducia ad un domani.

Gianfranco Nappi



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