Il 13 dicembre ‘78 si discusse alla Camera l’adesione dell’Italia al sistema monetario europeo(SME),un accordo monetario fra i paesi comunitari che tendeva a regolarizzare i cambi mantenendoli in una fascia di oscillazione del 6%, un impedimento alle svalutazioni competitive, da noi spesso praticate. Nella replica, Andreotti disse che l’adesione allo SME avrebbe contribuito” all’ulteriore correzione dell’inflazione”e che in ogni caso”lo SME non ci chiede nulla di più di quello che dobbiamo comunque fare…”.
Giorgio Napolitano intervenne a nome del gruppo PCI riaffermando la vocazione europeistica del partito, ma mise in guardia dal rischio di “un europeismo retorico” scisso da una valutazione di merito ed evidenziò che il limite dello SME era nella mancanza “di un rapporto fra la stabilità monetaria….e politiche economiche e finanziarie…verso obiettivi di crescita..”.Il rischio era di “sortire un effetto contrario”. Era del tutto legittimo dal suo punto di vista chiedersi” se lo SME debba servire a garantire un più intenso sviluppo dei Paesi più deboli o debba garantire il paese a moneta più forte…spingendo l’Italia alla deflazione”. Forse, aggiunse, ”si è finito per mettere il carro di un accordo monetario davanti ai buoi di un accordo per le economie.” Respinse anche l’idea che ”il VINCOLO ESTERNO avrebbe potuto fare uscire il nostro Paese dalla crisi”. Per queste ragioni egli chiese di rinviare l’adesione in vista “di una ricerca che meglio tutelasse il nostro Paese”. La proposta non fu accolta e dunque il PCI votò contro l’ingresso immediato e si astenne sul resto.
Tutta la argomentazione di Napolitano non era pregiudizialmente contraria allo SME, quindi, come egli stesso disse alcuni anni dopo, ci si poteva anche astenere. In realtà era ormai agli sgoccioli la politica di solidarietà nazionale e quindi prevalsero motivi politici. Del resto anche la DC per bocca di Galloni riconosceva che esistevano “rischi gravi” ma ”si tratta di una scelta in cui…debbano giocare gli elementi di orientamento politico”. Il tema della stabilità dell’euro e dei prezzi, e il suo rapporto con la crescita economica, è di piena attualità ancora oggi, tanto che è parte centrale del rapporto Draghi. Ma ciò che è cambiato, nel corso di questo lungo tragitto più che trentennale, è stata la piena assunzione della dimensione Europeistica da parte di Giorgio Napolitano e del partito nel suo insieme, su una linea di convinzione Federalistica nel solco di Altiero Spinelli, uno degli estensori del Manifesto di Ventotene. Di ciò Napolitano ha dato conto in modo diffuso nella sua autobiografia (Dal PCI al socialismo europeo. Laterza 2005) in cui sostenne che ”l’europeismo, l’idea di una Europa Unita, nella democrazia e nella pace, è l’esempio più alto di UTOPIA MITE, non violenta, portatrice di libertà e progresso, non rovesciabile nel suo contrario”. Utopia mite, al contrario di quelle “dottrine rivoluzionarie (che) si traducevano in –guide ai comportamenti -che, secondo Isaia Berlin,”possono rivelarsi fatali”. Napolitano è stato Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo dal 1999 al 2004 ed in questa veste è stato uno degli estensori del Trattato di funzionamento della UE che non diventò Costituzione perché fu bocciato nei referendum in Francia ed in Olanda nel 2005.
Ancora oggi i motivi che furono alla base di quei referendum e della mancata Costituzione EU sono del tutto presenti e, se possibile, rafforzati, a fronte di una richiesta da più parti avanzata (da ultimo Draghi) di procedere rapidamente verso una UNIONE POLITICA. A questo fine, Napolitano, auspicava che ”il gruppo dei Paesi dell’euro fossero leva per un governo dell’economia”, o che” con lo strumento delle cooperazioni rafforzate” si costruissero fasi intermedie. Egli intravvide già allora ”i segni di una crisi di consenso che sta investendo il disegno europeo”. Da qui il compito che egli assegnava alla sinistra” che dovrebbe europeizzarsi senza incertezze perché, citando Altiero Spinelli, “è assai importante che la sinistra sia presente perché ne dipenderà che Europa verrà fuori”.
L’Europa è ad un bivio: lo è come UE , associazione di 27 Stati, e come Continente. ”La crisi dell’Europa non è più la crisi del mondo” affermò Giuseppe Guarino. Mai ci saremmo aspettati che la guerra e la pace fossero argomenti di nostra attualità. Domande cruciali si pongono sul perché siamo a questo punto: lo spirito originario dei fondatori si è conservato nel percorso e nell’approdo? Le regole rigide della economia hanno favorito la crescita e lo sviluppo? Non c’è stato un vizio illuministico nel dirigere il processo? Queste ed altre ancora sono le questioni sottese alla fase attuale. Abbiamo la possibilità di correggere e ripartire. Il rapporto Draghi offre spunti di riflessioni dai quali partire e che vanno approfonditi come nel caso del ruolo che egli attribuisce all’industria della difesa. E’ in discussione la visione dell’Europa nei prossimi decenni e la sua funzione nella creazione di una nuova rete di Sicurezza per l’intero Continente. Questi sono i temi che dobbiamo affrontare con coraggio e realismo guardandoci dal rischio che Napolitano chiamò per primo di un ”europeismo retorico”.
Arturo Marzano