Era data per spacciata da gran parte di osservatori ed analisti, eppure Ursula von der Leyen è la vera vincitrice di tutto questo processo politico che darà ufficialmente l’avvio alla legislatura europea 2024÷2029.
Questo naturalmente può piacere o meno, ma tant’è.
Mi sovviene però precisare come da un punto di vista politico ed istituzionale abbiamo un Parlamento in pratica a “trazione centrosinistra” che dovrà fare i conti con la Commissione che ha dovuto necessariamente operare un sensibile “slittamento a destra”.
Ma proprio questo è il capolavoro di Ursula bis che ha saputo tutelarsi con i Verdi ma non ha voluto rinunciare a Ecr di Giorgia Meloni non solo per tenere più alla larga i socialisti ma anche per usare i conservatori come ponte salvifico verso l’ultradestra sovranista.
L’abbraccio Ursula/Giorgia non è affettivo ma di interesse reciproco. E pertanto bisogna convenire che anche la nostra premier esce rafforzata e per niente isolata, anzi, come forse sperava la nostra politica interna come sempre provinciale che anche in un consesso internazionale vede l’avversario politico come un nemico da abbattare. Ma questo è un deja-vu!
Ciò che è accaduto nel post voto europeo ha una spiegazione strutturale: il Parlamento europeo è l’unico organismo eletto in modo quasi del tutto proporzionale, ovvero democraticamente, attraverso i voti dei circa 400 milioni di cittadini.
Ma la democrazia nella Unione europea è un “ossimoro politico” poiché la democrazia per essere tale presuppone uno Stato che non c’è.
Ma la nostra attuale Ue è un “agglomerato di Stati” e quindi ha un deficit identitario di base che il voto, bensì democratico, non può colmare e altresi offrire necessariamente risultanze congruenti e conseguenziali.
La nuova Commissione segue l’aria che tira: il dossier immigrazione tolto ai socialisti e dato ai popolari, con Brunner, a poco dall’atteso exploit dell’ultradestra a Vienna. Per il Mediterraneo la strada è quella dei patti e memorandum, affidata al duo Kallas-Šuica. È l’abdicazione definitiva ai principi di accoglienza e solidarietà? Vedremo!
Il lettone Valdis Dombrovskis (Ppe) avrà il portafoglio all’Economia e la produttività, non sarà più vicepresidente esecutivo ma sarà uno dei perni centrali nello sviluppo della nuova Commissione.
Ma è spagnola Teresa Ribera (Pse) che ha ricevuto l’incarico più influente della nuova Commissione Europea: si occuperà di transizione ecologica e concorrenza, e sarà anche vicepresidente esecutivo.
Un posto di prestigio è stato garantito al dirigente più fidato di Giorgia Meloni (Raffaele Fitto, sovranista ma mica poi tanto); la Difesa ai baltici, ma assicurandosi di mantenere il controllo di tutto. E riuscendo perfino, con un ultimo azzardo, a liberarsi del collega-rivale più ostico che rischiava di ritrovarsi alle calcagna per altri cinque anni: il francese Thierry Breton.
Nell’autunno alle porte qualcuno dei Commissari designati potrebbe saltare, certo, nei delicati processi di audizione cui dovranno sottoporsi al Parlamento europeo.
Con il candidato maltese e quello ungherese tra i primi indiziati.
E se così sarà, l’entrata formale in servizio del nuovo Collegio potrebbe slittare di qualche settimana o più.
Poco male, per von der Leyen, rientrata mai così forte e sorridente nel suo ufficio di Bruxelles, dove ha già offerto caffè e prime raccomandazioni alla sua nuova squadra.
Si è già precipitata a Kiev, a rappresentare con sicurezza quella Ue di cui ora pare davvero padrona, complice pure la debolezza cronica di quelli che dovrebbero essere i due governi guida dell’Unione: Francia e Germania.
I protagonisti politici della nuova stagione europea potrebbero emergere allora proprio dall’interno del suo nuovo Collegio.
Resta però da non sottovalutare che i 26 candidati devono ancora fare i “salti mortali” prima di poter assumere il loro incarico di commissari.
I 26 candidati dovranno, infatti, innanzitutto compilare e presentare dei moduli sul conflitto di interessi, indicando eventuali lavori precedenti, attività secondarie o attività finanziarie che potrebbero impedire loro di svolgere liberamente il proprio ruolo.
Gli Affari legali del Parlamento (i Jurì) esamineranno tutte le 26 dichiarazioni in un tempo estremamente ristretto di 24÷48 ore. Dovrà quindi redigere una lettera che confermi l’assenza di conflitti per ciascun candidato prima che questi possa passare alle proprie audizioni specifiche.
I candidati che superano questo vaglio legale passeranno infatti ad essere interrogati pubblicamente in un’audizione parlamentare: un’opportunità per gli eurodeputati (direi l’unica che hanno prima di rientrare nella purtroppo loro reale marginalità) democraticamente eletti di interrogarli sulle loro esperienze, competenze e impegno nei confronti dei loro nuovi incarichi.
La decisione su quale commissione debba interrogare i candidati spetta ai Leader politici del Parlamento, che si consultano prima con i Presidenti delle commissioni.
Si prevede che il processo si svolga in questo modo:
Prima delle audizioni, i candidati presentano risposte scritte a una serie di domande poste dalle commissioni.
L’audizione dura in genere tre ore, ma può arrivare a quattro.
I Presidenti delle commissioni e i Leader politici si riuniscono subito dopo l’audizione e devono decidere se approvare o respingere il candidato entro 24 ore (per un verdetto positivo è necessario che i due terzi della commissione sostengano il candidato).
Sebbene le audizioni siano notoriamente estenuanti, il tasso di successo è generalmente elevato. Questa volta, però, i gruppi centristi e socialisti sono cauti perché la porta dell’esecutivo è stata spalancata ai conservatori che sono fuori dalla maggioranza.
Quella maggioranza allargata di fatto ai Verdi poiché Ursula von der Leyen temeva di essere “impallinata” da una parte dei socialisti e da una parte dei suoi stessi popolari.
Dopo l’approvazione di tutti i membri del collegio, von der Leyen dovrebbe presentare formalmente la sua squadra alla Plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo.
L’intero collegio sarà messo ai voti e sarà necessaria la maggioranza dei voti espressi per nominare l’intera squadra.
Con così tanti possibili blocchi lungo il percorso, il voto potrebbe essere ritardato fino alla fine di quest’anno, lasciando la squadra nominata, per ora, in un limbo.
Benché di regola sia il 1⁰ dicembre la data per il “go ahead” della neo Commissione.
Ma c’è l’esigenza di politica estera, piuttosto pressante, di anticipare almeno l’esito delle elezioni presidenziali americane.
Perché, nonostante i limiti palesati, la Ue è comunque uno dei major players, con Usa, Nato, Cina, a dover possibilmente portare a negoziato e poi soluzione la guerra russo-ucraina come quella in Medioriente.
Rosario Muto