Da quassu’, stamattina, piuttosto annoiato dal racconto pubblico che ormai sta tornando.
Giornali e talk affilano le armi per imbastire la solita stanca commedia.


Si contrappongono nel racconto schieramenti di fatto inconsistenti e l’uno specchio dell’altro.
Media che in realta,’ sempre di piu’, si muovono in proprio.
Ognuno una piccola navicella col suo carico di presunte star e di consistenti contratti reali.
Dio ce ne scampi.
Ora si stanno divertendo un mondo a massacrare il malcapitato di turno.
“La tragedia di un uomo ridicolo”.
La realtà come sempre sta da un’altra parte.
Pare che però al progressismo nostrano questo non interessi poi tanto.
All’insieme della platea progressista eh,
non parlo solo dei loro singolari dirigenti (si fa per dire) politici.
Qualche giorno fa – avvertendo con acutezza la miseria del presente del centro sinistra – il mio caro amico Gianfranco Nappi, con un articolo sul periodico Infiniti Mondi che brillantemente dirige, ha avanzato alcune domande di fondo alle quali si spera risponda qualcuno.
Ma non ci saranno risposte.
E non solo perche’ il tipo di musica che intona Gianfranco difficilmente arriva a certe orecchie.
Anche perché quelle domande di Nappi sono prive di forza.
Non hanno riferimenti a soggetti concreti, sono questioni, elenco di questioni.
Sono la declamazione di un dover essere.
Non sono un essere.
Non recano disturbo alcuno al racconto dei media – rassicurante per le platee simil progressiste – tantomeno alle pantomime dei campi più o meno larghi o ristretti.
Possiamo descrivere e analizzare preoccupati il quadro d’insieme quanto vogliamo.
Possiamo farlo nel modo migliore, quale e’ certo quello del mio amico Gianfranco.
Non spostiamo pero’ le cose di una virgola.
Come è ormai chiaro da anni.


Rossobruni, populisti e neofascisti a me fanno orrore.
E pero’ l’alternativa a loro – che non a caso si affermano un po’ dappertutto in occidente – non può essere, dovrebbe ormai essere chiaro, l’establishment simil progressista intrecciato al neocapitalismo e alla grande finanza.
Per non dire del mare di sangue che arriva da genocidi e da guerre, da cui pure il progressismo non è certo esente.
E allora, come la mettiamo?


Sono anni ormai che chi soffre e lavora, o il lavoro addirittura neppure c’è l’ha, vota diciamo così a destra.
Cerca confusamente cioè in una protesta, a suo modo eccentrica rispetto ai grandi poteri reali, quella alternativa che la sinistra un tempo bene o male incarnava.
Questo è il tema, continuare ad eluderlo ormai non ha senso.

Dagli Usa alla Francia, dalla Germania all’Italia.
Italia dove perfino una destra piuttosto allineata al quadro dei grandi poteri reali e’ stata ritenuta maggiormente scardinatrice rispetto allo status quo del conformismo progressista nostrano.
Questo il punto.
Che nessuna illusione americana post Biden, nè i giochini social così divertenti col dalli al Ministro malcapitato di turno, potranno cancellare.
Torna per intero il nodo dei soggetti, quello della loro ricerca e individuazione.
E torna il nodo della loro coscienza di classe.
Ancor piu’ oggi nell’era della rivoluzione tecnologica e della intelligenza artificiale.
Lavoro manuale, lavoro precario, lavoro tecnico, lavoro intellettuale.
Lavoro scientifico.
Tutto egualmente lavoro ed egualmente del tutto sussunto nel capitale.
E’ questo il nostro problema, la nostra rivoluzione.
Come rintracciare, riorganizzare e liberare – anche grazie alle innovazioni tecniche di cui disponiamo – questo lavoro.

Non trovare il modo come andare al governo con qualche trovata politicista che non ci affiderebbe niente altro che il compito – al massimo – di amministrare il presente.
Con tutte le sue ingiustizie planetarie e sociali.
E nemmeno suggerire ad orecchie, che non possono per loro natura ascoltare – caro Gianfranco – argomenti e temi che, se non incarnati in un inedito e moderno Movimento di classe, restano dolci illusioni per i nostri impegnati convegni.

Vito Nocera

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5 SETTEMBRE ARTURO MARZANO

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