IL 9 agosto sul Quotidiano il Trentino Giorgio Tonini è intervenuto sul tema dell’autonomia differenziata a difesa del titolo V del 2001 e contro la scelta referendaria del Pd. Il giorno prima, sul Corriere del Mezzogiorno, Marco Demarco ha ricordato che Guido Fanti “lanciò” la lega del Po. Gli argomenti utilizzati in entrambi i casi sono di tutto rispetto e meritano una riflessione.  

Secondo Tonini oggi il discrimine è “fra chi vuole l’autonomia e chi vuole il centralismo”,non solo,”ma a sinistra c’è sempre stata una componente giacobina che guarda allo Stato come deus ex machina.. Ma c’è una componente liberale e degasperiana che crede in uno Stato multilivello..”.Ora a me non sembra che oggi in Italia ci sia qualche centralista: perfino gli eredi del MSI vogliono l’autonomia differenziata!. Quanto poi al giacobinismo, va detto che il PCI non è stato mai toccato da questa suggestione, basti ricordare le polemiche sul Concordato con il fronte laico-azionista e con settori dello stesso mondo cattolico e tutte le politiche fatte su delicate questioni etiche come l’aborto. Altra cosa dal giacobinismo è per la sinistra il ruolo indispensabile dello Stato nelle politiche pubbliche. La rivendicazione della nascita dello Stato unitario, da Gramsci in poi, non ha mai taciuto che”essa è stata una conquista regia ”ed un allargamento dello Stato piemontese” piuttosto che ” una conquista dal basso”. E su questa linea interpretativa si è sviluppata tutta l’azione meridionalistica del PCI. Lo stesso dibattito alla Costituente smentisce la tesi di Tonini. Nel luglio del 46, nella seconda sottocommissione, il relatore DC Gaspare Ambrosini affermò ” Non si può giungere ad elevare la regione alla dignità di quello che suole chiamarsi Stato membro di uno Stato federale”, e lo stesso Mortati mettendo in guardia dal rischio “di un accentramento regionale più pericoloso di quello statale,”disse”non si può negare l’esigenza unitaria dello Stato moderno”. Einaudi, poi, in modo molto netto affermo” noi non siamo nella situazione di un gruppo di Stati che intendono federarsi noi partiamo dallo Stato unitario che vogliamo mantenere”. Questa è la concezione autonomistica dei Padri Costituenti liberali e DC. Non è in alcun modo il Titolo V del 2001 che Tonini ammette essere ”l’unica strada per il rafforzamento dell’impianto federale”.

Con argomenti analoghi Marco Demarco è tornato sul tema sostenendo che la sinistra nel riformare il Titolo V  non è stata “vittimizzata dalla Lega” ma  ha fatto una scelta “figlia naturale del PCI” dato che Guido Fanti, già Presidente dell’Emilia, aveva enunciato nel 75 l’idea di una macroregione padana. E’vero. Ma quella suggestione non ha mai avuto seguito nel partito in nessuna sede ordinaria né congressuale. Il PCI ha sempre combattuto i tentativi di incrinare o rompere l’Unità Nazionale, basti ricordare la battaglia qui a Napoli contro il separatismo laurino o contro la rivolta di Reggio Calabria nel 70. La rottura dello Stato Unitario è sempre stata considerata un disegno reazionario contro la democrazia italiana, la sinistra e la cultura del Risorgimento. E’ vero anche, come dice Demarco, che “l’autonomia ineluttabile ha radici profonde nella Storia italiana” ma questa autonomia, che è cosa diversa dal federalismo surrettizio del Titolo V, è stata Municipale,non regionale e tantomeno federale. Vorrei aggiungere che il tema dei LEP, cui fanno riferimento entrambi, una volta assodato, incide ai fini” del superamento del divario storico nord-sud”solo in alcuni ambiti. Il divario strutturale,invece, è stato intaccato, in modo incisivo, solo nei primi due decenni della Casmez, con infrastrutture ed investimenti industriali decisi centralmente. Bisognerebbe studiare in modo approfondito il rapporto che passa fra regionalismo e sviluppo perché anche l’esperienza della Germania ci dice che tutti i lander dell’est “sono rimasti indietro” in ogni settore della vita sociale ed economica ivi incluso il gap salariale intorno al 20%. E’ giusto il rilievo che la fine dell’intervento straordinario è una delle cause del ritardo meridionale e per questo occorre unificare le politiche di investimenti al Sud programmate e concertate con le Regioni. Non vedo un’altra strada per un serio e moderno meridionalismo. E’ centrale dunque il ruolo dello Stato e “il recupero di questa centralità”(si è dunque perduta!)è la condizione per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ecco perché l’autonomia differenziata è una mina sotto lo Stato Unitario ed il Sud ed è arduo escogitare ”correttivi”. E’ del tutto legittimo rivendicarla ma essa si inscrive in un ORIZZONTE POSTCOSTITUZIONALE ingiustificato e rischioso. 

 Arturo Marzano

L’immagine in evidenza è di Mariana Sofia Gonzàlez tratta da Infinitimondi 35/2024

            

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