La telefonata da lontano mi ha portato, come ormai capita in maniera spettralmente frequente, un’altra notizia ferale: Alberto Leone non c’è più.
Ci sono altri più amici e intimi nella vita di Alberto che possono parlare e raccontarci la sua lezione.
Io ne scrivo più per me che per arricchire la sua memoria.
Alberto, quasi a sua insaputa, è stato per me molto di più di un altro quadro che devo staccare dall’ideale camera delle amicizie.
Da Napoletano trapiantato a Milano ritornare nella città d’origine è sempre un’emozione, tanto più quando la causa era la politica, o meglio, quella politica. Siamo nella prima metà degli anni 70, e giovane quadro de Il manifesto milanese arrivo a Napoli, nella storica sede di via Pessina 56, per riunioni della commissione scuola.
Con Raffaele Tecce mi imbatto in Alberto che fin da subito mi appare meno organico e più irrequieto degli altri. Poco dopo, entrambi ormai fuori dal liceo, ci ritroviamo in discussioni sui giovani e la cultura, e Alberto mi porta il vento d’Abruzzo, come si diceva allora per i primi seguaci di Alberto Abruzzese, il francofortese di Napoli, lo potremmo definire.
Alberto era forse uno dei più emancipati esponenti di quella terra di confine dove l’eterodossia del Manifesto, che in sede napoletana era ancora più forte data la corposità degli attriti che il prestigioso gruppo della rivista, con Liberato Bronzuto, Massimo Caprara e Mario Catalano aveva prodotto con la direzione amendoliana della federazione di via dei Fiorentini, si combinava con un’eterodossia nell’eterodossia con le irrequietezze della commissione cultura autorizzate da Lidia Menapace .
In quelle interminabili discussioni si cimentò un’amicizia istintiva, che attraversava un gruppo variegato che vedeva Alberto sempre in guardia nei confronti di compagni già più inseriti negli organismi dirigenti, come Massimo Alselmo, o più eclettici per la collocazione nel giornale, come Sandro Ruotolo.
Le concatenazioni di posizioni, in cui alternativamente ci si trovava più a destra o più a sinistra l’uno dell’altro sono state infinite.
Il legame di solidarietà e telepatia sulle scelte fondamentali ferreo. Per 40 anni abbiamo alternato periodi di ossessiva frequentazione a lunghi silenzi e distrazioni. Ma ognuno sapeva sempre che in qualsiasi momento avremmo ripreso a baccagliare come se solo pochi minuti prima ci fossimo occasionalmente lasciati . E’ questa certezza che distingue gli amici dai conoscenti: la serena e intima consapevolezza che quello che pensi e elabori trova la sua completezza e riconoscimento nella testa dell’altro.
Con Alberto, grazie appunto ad un altro dei telepatici come Masssimo Anselmo, si siamo poi ritrovati qualche anno fa, e anch’io ho potuto partecipare a quei pellegrinaggi marocchini che la sua residenza a Marrakech rendeva indispensabili. Un capodanno insieme che ha rigenerato e ri-alimentato il serbatoio delle identità e delle differenze: identità fra noi, differenza con gli altri.
Una percezione tribale che nel caos globale comunque ti rassicura: non sei solo , come te sono pochi ma tenaci. Alberto coltivava religiosamente queste identità, te le ricordava, le nutriva, le rivendicava. Come suo figlio Alessandro ben sa.
Era un vero training autogeno, che ti costringeva a costanti ma benefiche sedute di auto coscienza: chi sono che penso e perché non urlo quello che penso ?
Ora queste domande non lo troveranno pronto ad incalzarti, a rilanciare la palla oltre, a pretendere di forzare e dirlo a tutti che pensavamo cose diverse.
Mi ha dato tanto, e avrò tempo, spero, per rielaborare quanto mi voleva dire. E lo dovrò diffondere ad alta voce, come pretendeva.
Alberto a settembre sentirai che urla.
La terra ti sarà lievissima.
Michele Mezza
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Ecco qui Alberto Leone, a destra in piedi di fronte a Massimo Anselmo a sinistra, alla cena di sottoscrizione per Infinitimondi con Luciana Castellina in occasione della presentazione del lavoro di Filippo Maone: 19 aprile 2023.
Un bel ricordo, su chi era Alberto, sull’andamento irregolare delle nostre identità e sulla necessità di affermare/urlare ciò che si pensa.